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Perchè diventare Imprenditori di sè stessi

Arriva il giorno in cui ti senti sprecato, su quella sedia in ufficio. Costretto a fare cose che il più delle volte non ti interessano. È l’inizio di un percorso senza possibilità di ritorno, il percorso verso la liberazione.

Questo articolo racconta come si possa diventare imprenditori di se stessi, scegliendo di non mettere da parte aspirazioni e ambizioni personali. Quelle che si traducono nella passione per il proprio lavoro. Reinventarsi è possibile, a patto di volerlo davvero. Con un pizzico di rischio e molta voglia di tornare a sentirsi liberi e creativi. In Italia, ma soprattutto all’estero. Dove la parola ‘meritocrazia’ acquista un senso nuovo, più autentico.

Perché mettersi in proprio

Chi non si sente a proprio agio nel proprio posto di lavoro o ha la percezione di essere costretto ad assumere un ruolo non scelto, potrebbe a un certo punto domandarsi se lavorare da dipendenti non significhi, in definitiva, lasciare affogare i propri talenti e mettere a tacere le proprie passioni. Al dipendente sono richieste obbedienza ed efficienza, ma che posto rimane per la motivazione interiore e il piacere di impiegare il proprio tempo in qualcosa di veramente utile e piacevole?

Un’altra domanda che è importante porsi è che cosa resta di tutto il tempo prezioso venduto al proprio datore di lavoro. Il lavoro da dipendente può essere un buon trampolino di lancio in un paese come la Gran Bretagna, dove la meritocrazia esiste e a chi sa lavorare bene viene garantita la possibilità di partecipare a progetti via via più complessi e di un certo livello. Può essere utile, in determinate condizioni, accettare piccoli compromessi se abbiamo qualcosa da guadagnarci, e occuparci di cose che magari non fanno parte dei nostri interessi principali, ma che ci forniscono strumenti che potremo in futuro reimpiegare in un contesto più significativo. Se questo manca, e l’unica garanzia che il lavoro ci offre è uno squallido stipendio mensile da sopravvivenza, allora potrebbe essere il momento di domandarsi: “Che cosa mi rimarrà in mano dopo che avrò venduto le ore della mia giornata al mio datore di lavoro?”. “Il mio portfolio di esperienze e lavori è veramente espressione delle mie capacità o solo un’accozzaglia di prodotti mediocri che ho creato per accontentare altri, i quali magari si sono arricchiti delle mie ore spese davanti a un computer molto più di quanto non me ne sia arricchito io in prima persona?”.

Se il nostro datore di lavoro guadagna più di noi dalla nostra attività lavorativa, allora viene il momento di chiedersi se non stiamo forse accettando una condizione di sfruttamento. È un po’ come quando, pagando l’affitto ogni mese, garantiamo il mutuo al padrone di casa.

Affrontare il rischio

“In periodo di crisi, avere un posto fisso non è garanzia di nulla. Meglio allora diventare imprenditori di se stessi”. Ribadiamo qui il concetto che durante i periodi di crisi come quello che stiamo attraversando (e che probabilmente tenderà ad aggravarsi, contrariamente a quanto ci vogliono far credere), il posto fisso non è garanzia di nulla, perché da un giorno all’altro ci si potrà sentir chiedere di lasciare l’azienda.

Allora diventare imprenditori di se stessi può essere una via d’uscita e un modo di ripensare la propria vita lavorativa con maggior slancio, entusiasmo e amor proprio. Un lavoro da imprenditore può garantire uno stipendio di molto superiore a quello da dipendente, a patto di essere disposti a scommettere sulle nostre capacità, senza lasciare che prevalga la paura del rischio. Perché ciò avvenga occorre anzitutto scegliere il paese giusto.

Se non si è disposti a lasciare la madre patria per paura di perdere amici e parenti, bisogna essere consapevoli che si scelgono condizioni sfavorevoli come punto di partenza. Questo ovviamente non significa un fallimento garantito, ma l’Italia non è il paese in cui investire su se stessi, diciamolo subito. Le piccole imprese sono travolte da uno stato ostile e da una burocrazia soffocante, si arriva a pagare in tasse più del 50%, la qualità di molti servizi fondamentali per l’impresa è scadente. Ordini a una qualsiasi compagnia di telecomunicazioni una connessione e ti arriva in ritardo con mille problematiche tecniche che potrebbero rimanere irrisolte per mesi. Con un governo che taglia i fondi per la banda larga nonostante l’urgenza assoluta di maggior connettività, e le tariffe per l’adsl più alte d’Europa, avviare un’attività in proprio può diventare davvero un rischio.

Meglio andare in un paese in via di sviluppo oppure in un paese europeo più evoluto. In Gran Bretagna, ad esempio, aprire una piccola impresa con Vat (l’equivalente della nostra Iva) costa pochissimo e si può scegliere di non pagare i contributi per il pensionamento. Con una limited company, che è l’equivalente della nostra srl, con la differenza che si può aprire con meno di 200 euro, e tagliando sulle spese, facoltative, della pensione, nelle tasche del libero professionista rimarrà circa il 70-75% del fatturato totale. Anche in Gran Bretagna lo stato tende a essere ostile piuttosto che servizievole, ma si notano alcune differenze sostanziali che in definitiva hanno un peso non indifferente

Rendersi liberi per tornare a essere creativi.

Chi considera l’idea di aprire un’attività in proprio non deve cadere nella trappola di vedere solo i rischi che questo comporta. La soddisfazione di essere padroni del proprio tempo, di poter scegliere i clienti, di decidere quando concedersi le vacanze senza dover rendere conto al capo, sono tutti fattori che danno le energie per andare avanti e per partorire idee vincenti.

All’imprenditore è richiesta una fede assoluta, tanto più a portata di mano quanto più sarà libero di esprimere il proprio potenziale. L’essere liberi non ci pone di fronte solo difficoltà di scelta, ma al contrario, ci mette in una condizione di naturale spontaneità creativa che renderà ogni scelta più facile.

Forme talvolta manifeste, talvolta sottili, di ricatto ci hanno fatto credere che sia meglio adeguarsi alle richieste altrui anziché ascoltare la propria voce interiore che indica la strada più adatta a ciascuno di noi e ci insegna come far fruttare i nostri talenti.

Mettersi in proprio non significa mettersi nella condizione difficile di dover capire da che parte andare. Siamo esseri umani con straordinarie capacità inventive e siamo capaci di slanci smisurati di energia se messi in condizione di libertà e di libera scelta. Occorre essere consapevoli di come gli ambienti in cui ci troviamo immersi esercitano delle costrizioni che impediscono a quest’energia vitale di manifestarsi.

Ed è allora che nascono i problemi. Lavorare in proprio è una strada in salita con tornanti, non è possibile avere la garanzia di un percorso agevole se non dopo essere arrivati in cima. Del resto, quando si lavora sotto controllo non ci sono comunque rischi, pericoli, ostacoli e ricatti, sotto la falsa garanzia di un posto sicuro? Benché trovare la direzione giusta costi tempo e fatica, il solo fatto di poter contare su se stessi, sulla propria disponibilità a rispettarsi come esseri umani che si nutrono dei propri desideri, garantirà tutta la flessibilità mentale che occorre per andare avanti. Saranno la disponibilità e la determinazione a concedere a ciascuno ciò di cui ha veramente bisogno. Anziché mettere brutalmente a tacere desideri e aspirazioni, si avrà il piacere e la soddisfazione di diventare artefici del proprio destino e di poter scegliere di impiegare il proprio tempo in attività che, pur essendo complesse e rischiose, produrranno un benefici di valore inestimabile. Essere liberi rende creativi e, in termini di qualità di vita, i vantaggi che si ottengono dando libero sfogo alle proprie passioni sono indubbiamente superiori ai rischi.

Diverse sfumature di libertà

Un altro equivoco consiste nel credere che mettersi in proprio sia un passo troppo grande per poter essere affrontato con serenità d’animo. Come si è accennato, un lavoro da dipendente assicura il più delle volte una falsa garanzia, dovuta più che altro alla paura di tutto ciò che non è traccia comune, ma c’è un’infinita gamma di gradi di libertà che è possibile conquistare in modo graduale e ragionato, così da ridurre i rischi al minimo. Una volta in grado di poter decidere del nostro destino, si potrà sempre tornare indietro se la strada da liberi professionisti non piace.

Il primo passo è mettersi in proprio, il che comporta un po’ di burocrazia in più, la necessità di un commercialista, e la consapevolezza di poter contare su alcuni potenziali clienti. Il salto nel vuoto non sarà così traumatico se ogni passettino viene fatto in modo ragionato. Una volta raggiunto questo primo obiettivo, il passo successivo potrà essere quello di smettere di lavorare per altri e intraprendere una vera e propria attività in proprio. Lavorare da libero professionista mette infatti le persone nelle condizioni di essere più padroni del proprio tempo e lavorare quando lo si decide.

Ma ci sono comunque una serie di limitazioni ineludibili:non tutti i clienti accetteranno che si lavori da casa, potrebbero imporre degli orari di lavoro stringenti, e in generale, proporre di partecipare a progetti poco interessanti.

In queste condizioni, essere in proprio è un po’ come essere un animale libero di uscire dalla gabbia ma costretto a tornarci ogni volta che ha bisogno di cibo. Potrebbe allora venire voglia di fare qualcosa che assicuri condizioni di più radicale libertà. Una possibile via alternativa, o anche forma di transizione tra i due percorsi indicati, è quella di chi decide di lavorare ancora per altri, ma anziché limitarsi a forme di semi-schiavismo in cui il lavoro è lo stesso di quando si era dipendenti solo che adesso si è freelance, si offrono servizi che prevedono una minore ripetitività e una maggiore interazione con le persone, quali ad esempio l’attività di insegnamento. Condividere il proprio know-how è il modo migliore per raccogliere tutto ciò che si è imparato fino a un dato momento e, come dimostrano gli studi di psicologia cognitiva, è anche il modo migliore per assimilare e rielaborare i concetti fatti propri.

Non avere paura di cambiare settore

Non c’è niente di più desolante e umiliante del vedere gli esseri umani imprigionati in un ruolo, come naturale conseguenza di una tendenza che comincia già a livello scolastico e universitario. Mentre siamo impegnati a ragionare e ragionare su quale strada prendere, potrebbero acadere fatti inaspettati che non avremmo mai potuto prevedere e che ci inducono a cambiare direzione. Reinventarsi completamente, con la fatica e il rischio che ciò comporta, può essere molto più producente che proseguire su una strada già battuta con scarso successo.

Infinite opportunità

Da imprenditori abbiamo un’infinita gamma di possibilità tra cui poter scegliere. Qualsiasi idea può diventare business se si parte con il piede giusto. Scommettere sulla propria creatività liberamente espressa consentà scelte molto più ampie che consentiranno di costruire il proprio futuro facendo affidamento sulle proprie idee e i propri bisogni anziché sulle idee (spesso mediocri) e i bisogni (spesso modesti) di qualcun’altro. È un ventaglio pressoché infinito di possibilità che appare, in epoca di rivoluzione informatica, sempre più a portata di mano. Potrebbe attenderci un futuro in cui le aziende a misura d’uomo diventeranno più competitive e in cui i piccoli imprenditori saranno in costante aumento e daranno talvolta filo da torcere ai pesci grossi.

Non siamo soli

Decidere di prendere la strada della libera impresa significa trovarsi in mezzo alla competizione, il che è sempre stimolante e uno stimolo al miglioramento, ma cosa più importante, ci sono molte altre persone che hanno scelto la stessa strada e che possono condividere i nostri stessi obiettivi, passioni comuni, conoscenze complementari alle nostre. Con queste persone possiamo creare situazioni collaborative impensabili per un lavoratore dipendente; quando non è più qualcun’altro a decidere per noi, abbiamo la piena libertà di scegliere i nostri collaboratori e costruire con loro i nostri progetti. Gruppi che si autoorganizzano spontaneamente sulla spinta di passioni e interessi comuni possono tranquillamente competere con realtà aziendali più grosse e disorganizzate, che hanno invece una capacità di risposta ai cambiamenti da pachidermi e una cronica mancanza di creatività dovuta al fatto che i dipendenti lavorano controvoglia.

Rimboccarsi le maniche

Chi vuole diventare imprenditore di se stesso deve senz’altro darsi da fare, studiare, mantenersi aggiornato, talvolta fare sacrifici per ottenere risultati sul lungo periodo o anche solo per garantire che il lavoro sia fatto come si deve. È facile cadere nella trappola del vittimismo, pensare che non ci sia abbastanza meritocrazia, riconoscersi incompresi. Questi ragionamenti possono partire da basi reali ma possono anche diventare pericolosi alibi che impediscono di migliorarsi.

Come mantenere la propria posizione salda sul mercato

L’idea di competizione è una perversione tutta moderna, estranea alla mentalità preindustriale in cui ciascuno aveva un proprio posto nella società, il lavoro veniva ridistribuito equamente in caso di surplus e la promozione della propria attività a scapito di altri era considerata immorale. Dovendo comunque fare i conti con la realtà attuale, e volendo rispondere alla domanda: “Come essere competitivi? Come rimanere sul mercato?”, alcune risposte di ordine generale possono essere le seguenti: Non smettere mai di studiare e tenersi aggiornati.

Sono fondamentali i libri ma altrettanto importanti i blog e gli articoli online, grazie ai quali è possibile seguire gli ultimissimi aggiornamenti. Moltissimi siti ormai offrono servizi di indicazione mediante Rss, il che significa poter seguire tutti gli aggiornamenti utilizzando un unico strumento (es. Omea reader, Google reader e tanti altri). Non è consigliabile spendere soldi per i corsi a meno che non ci siano ragioni ben valide. I libri sono molto meno costosi e più efficaci. I corsi sono per le aziende, che possono permettersi spese anche inutili, mentre il professionista che lavora in proprio ha un budget molto più ragionevole.

Più utile, semmai, affiancare un professionista affermato dal quale imparare un tutti i segreti del mestiere; riunire in sé competenze diverse, non pensare mai di essere inadeguati, anche quando è necessario allontanarsi dal proprio nucleo di competenze di base. È indispensabile imparare a padroneggiare strumenti nuovi, continuamente. Laddove lo sforzo è insostenibile o insensato, si potrà cercare collaboratori validi di cui possiamo fidarci e unire le forze attraverso varie forme di collaborazione (se possibile, evitare forme societarie).

Capire il cliente

Ogni lavoro si riduce in definitiva al fare qualcosa per gli altri, allora dobbiamo capire a fondo quali sono le esigenze di queste persone, quali motivazioni possono spingerli verso i nostri prodotti, quali strumenti usano, in quali contesti, con che obiettivi. L’impresa di successo non può essere un’attività narcisistica e anche quando si vuole scommetere su un’idea per lanciarsi in modo avventuroso, è bene non affidarsi al caso. Occorre studiare quello che fa la concorrenza, intervistare i propri potenziali clienti per capirne le esigenze, saper promuovere i propri servizi in modo da garantire quello di cui gli altri hanno bisogno, piuttosto che quello che noi abbiamo bisogno di vendere; produrre innovazione, non avere paura di fare cose nuove che nessun altro sta già facendo. Ricordiamoci che ciascuno di noi è un essere unico e irripetibile.

Per concludere

Per concludere, un passaggio tratto da "La violenza della calma" di Viviane Forrester (1980): “Massa di sfruttati ben presto inutili e che trovandosi disoccupati si considerano superflui giacché l’impostura vuole che sia valorizzato ciò che ‘fa vivere’ e non la vita vissuta; la vita che li abita e i loro corpi vivi che manifestano la vita. Vale solo ciò che si paga. E si paga l’alienazione. La vita che viene tolta. A buon mercato. In nome dell’economia, che è davvero sacra ”.