Secondi riferimenti di Luca

LUCA 21:25 VI SARANNO SEGNI NEL SOLE, NELLA LUNA E NELLE
STELLE, E SULLA TERRA ANGOSCIA DI POPOLI IN ANSIA PER IL FRAGORE DEL MARE E DEI FLUTTI,

LUCA 21:26 MENTRE GLI UOMINI MORIRANNO PER LA PAURA E PER
L'ATTESA DI CIÒ CHE DOVRÀ ACCADERE SULLA TERRA. LE POTENZE DEI CIELI INFATTI SARANNO SCONVOLTE.

LUCA 21:27 ALLORA VEDRANNO IL FIGLIO DELL'UOMO VENIRE SU UNA NUBE CON POTENZA E GLORIA GRANDE.

La profezia escatologica contenuta in questi tre versetti è costruita a partire da due citazioni del libro di Daniele 7, 13-14. Proprio a partire dalla citazione biblica sembra potersi spiegare il senso delle parole di Gesù: come nell’Antico Testamento la fine di Gerusalemme fu paradigma della fine di un mondo e della rinascita di un mondo nuovo (Ger 31,33), così la distruzione gesuana di Gerusalemme è paradigma della nuova Gerusalemme, ma questa volta di una città “che non tramonta mai, e il suo regno è tale che non sarà mai distrutto”.

Come la figura del tempio distrutto e riedificato in tre giorni, Gerusalemme è simbolo del regno che muore e rinasce: Gesù si appella all’Antico Testamento, richiama alla memoria degli astanti quei terribili momenti (la città circondata, il terrore, la paura, la fame e gli stenti, la deportazione, etc.), ma il tutto è propedeutico alla venuta del Figlio dell’uomo.

La dottrina giudaica delle due età (2Esdr 7, 12-13) è presente nelle parole di Gesù in maniera lampante, e sarà tema significativo anche nella prima predicazione cristiana (cfr. Gal 1,4): il vino nuovo contrapposto al vino vecchio, il tema della nuova nascita (episodio di Nicodemo nel Vangelo di Giovanni), ed altri, consentono di leggere le parole contenute nel Vangelo secondo Luca con la prospettiva della rivelazione che Gesù offre ai suoi ascoltatori.

D’altronde, l’episodio si inserisce nel 21° capitolo e di lì a poco inizierà la Passione, quindi un discorso rivelatore si incastra nei tempi e nei modi giusti nell’economia del testo: è lo stesso Gesù a non determinare la cronologia di tali eventi (cronologia conosciuta soltanto dal Padre, Mt 23, 36) ed anzi più oltre aggiunge che tutte le cose di cui ha parlato (guerre, carestie, deportazioni, tradimenti e persecuzioni) avverranno tutte prima che quella generazione sarà passata (Lc 21, 32). Eppure, non sembra che nei successivi 20 anni i cristiani abbiano subito cotante angherie: l’evangelista dunque avrebbe messo in bocca al Maestro parole e frasi senza alcun riscontro con la realtà, la qual cosa è quanto meno strana, se non completamente opinabile (presentare il proprio Maestro, il Figlio di Dio, come un falso profeta?).

Anche se non si volesse accettare questo tipo di lettura, non di meno il passo di Luca non ha alcun appiglio retrospettivo alla distruzione romana di Gerusalemme per almeno tre buoni motivi:

  • 1. Le tecniche militari d’assedio utilizzate nella cattura di Gerusalemme erano in uso da secoli, quindi non c’è neanche bisogno di supporre che Gesù fosse un profeta ma semplicemente che sapeva ragionare con logica
  • 2. La presenza della profezia escatologia è la migliore prova che non v’è alcuno sguardo all’indietro, perché Luca non avrebbe mai messo in bocca al Signore parole riguardanti eventi che non si sono mai verificati
  • 3. Ananias a partire dal 62 profetò lungamente la distruzione della città e l’episodio raccontato da Giuseppe Flavio non fa alcuna difficoltà agli storici
Come nessuna difficoltà hanno nel riconoscere veritiera la predizione che Giuseppe Flavio stesso fece a proposito di Vespasiano per ingraziarsi l’imperatore romano: in base a quale criterio si dice che l’unico che non possa fare predizioni, tanto più chiaramente appellanti a motivi veterotestamentari, sia Gesù, è qualcosa che sfida la logica.

Individuare in Luca un qualche riferimento alla distruzione di Gerusalemme è quindi operazione frettolosa se non, nel peggiore dei casi, pregiudizievole: il modo in cui nell’Apocalisse 18, 1-21 si descrive la caduta di Roma, seguendo il ragionamento applicato dagli esegeti per Luca, presuppone che l’autore sia stato testimone oculare degli eventi: siccome ciò che è avvenuto con la presa di Roma da parte dei Vandali nel 455 sembra perfettamente riecheggiato nel testo giovanneo, ne consegue che sia stato scritto dopo tale data, quando lo scrittore riflette intensamente sugli eventi accaduti.

Tuttavia l’Apocalisse è un testo conosciuto già nel II secolo, quindi è possibile escludere a priori una sua composizione nel V secolo, il che obbliga ad immaginare che il modo di descrivere eventi di guerra e distruzione fosse in un certo qual senso standardizzato e basato sulla letteratura del tempo: ancora oggi, quale modo migliore di descrivere l’orrore della guerra se non richiamando immagini di distruzione, morte, desolazione, devastazione e quant’altro?