Roma storica,geografica e sociale

Edmundson affronta la ricostruzione dei fatti e degli scritti che caratterizzarono l’affermarsi della religione cristiana a Roma inquadrando in primo luogo i fenomeni dal punto di vista storico, geografico e sociale. L’impero romano, nonostante la sua estensione sul continente, è da lui definito una potenza essenzialmente mediterranea, e la sua capitale come una città cosmopolita, con preponderanza di schiavi, a fronte di poche migliaia di possidenti, nelle case dei quali la mescolanza delle razze era la norma. 

La lingua d’uso a Roma era il greco. Gli ebrei godevano privilegi fiscali e cultuali: per questo erano odiati dalla popolazione, ma esercitavano un certo fascino per la particolarità della loro religione (la fede giudaica aveva successo specialmente tra le matrone), e suscitavano anche una certa ammirazione per la loro laboriosità e intraprendenza. Dalle iscrizioni conosciamo il nome di almeno sette sinagoghe a Roma, tra cui una detta ‘dell’Olivo’. Questa denominazione richiama alla memoria l’immagine usata da Paolo in Rom. 11, 17-24, e probabilmente ne spiega la ragione.

Il cristianesimo esercitò in più, rispetto al giudaismo, i richiami propri di una religione di tipo misterico e di una morale di tipo stoico. Da questo derivò la concorrenza col giudaismo, che sfociò negli scontri dell’anno 50, con il conseguente decreto di espulsione firmato da Claudio (Suet., Cl. 25). A questo proposito, però, Edmundson richiama l’attenzione su una testimonianza di Cassio Dione (60, 6, 6), dalla quale si deduce che tale decreto comportò il divieto di riunirsi piuttosto che la loro cacciata dalla città.

Tra gli espulsi da Roma furono Prisca e Aquila, amici di Paolo. Essi sono ricordati sei volte nel Nuovo Testamento: in quattro casi Prisca è nominata per prima, evidentemente perché doveva trattarsi di una matrona romana facoltosa. Nei due anni e tre mesi di soggiorno ad Efeso, Paolo fu ospite loro (Act. 18, 2; 19, 10); nella loro casa si riunivano i cristiani di quella città (1 Cor. 16, 19). Nel 56, morto Claudio, Prisca e Aquila poterono tornare a Roma: progettava di andarci anche Paolo, ma lo tratteneva il fatto che la capitale non faceva parte del territorio di missione a lui assegnato (Rom. 15, 20-24).