Datazione degli Atti

Dunque, in che modo è possibile ancorare l’ipotesi di datazione degli Atti? Il modo probabilmente più sicuro è quello di guardare alla morte dei principali protagonisti.

L’uccisione del discepolo di Cristo Stefano ha per Luca una importanza non secondaria: occupa infatti l’intero capitolo 7. Neanche ad un evento capitale quale dovette essere il Concilio di Gerusalemme fu concesso l’onore di occupare un capitolo intero, pur venendo utilizzato da Luca come spartiacque per passare da Pietro a Paolo.

Secondo l’idea comunemente accettata, il programma lucano è molto semplice ed è stato esposto all’inizio: nel primo libro da un oscuro villaggio della Galilea il messaggio di Gesù raggiunge Gerusalemme, mentre nel secondo libro da Gerusalemme approda a Roma, capitale dell’impero romano, passando per le città pagane dell’Asia Minore.

Il testo si chiude con Paolo che predica nell’Orbe dopo esservi giunto due anni prima. Gli esegeti con molta disinvoltura dicono che Luca non ebbe altro da dire una volta fatto arrivare Paolo a Roma, tanto più infatti che dedica appena 20 versetti di un libro di 28 capitoli a questo tema. Ma qui entra in gioco la tradizione: dati unanimi ed incontrovertibili, sia testuali che archeologici, narrano di Pietro e Paolo uccisi nel corso della persecuzione neroniana, probabilmente nell’anno 64.

Né nel Vangelo né negli Atti degli Apostoli vi è un solo versetto, neanche mezzo, che possa in qualsivoglia modo indurre a pensare che Luca sapesse qualcosa della fine dei due apostoli, né tanto meno di quella di Giacomo, il fratello del Signore (di cui addirittura nulla sembra riecheggiare in tutto il Nuovo Testamento): eppure, nel Vangelo secondo Giovanni il martirio di Pietro viene rievocato con precisione storica. Dunque, chi sapeva ha scritto.

C’è anche un altro elemento da considerare: la profezia di Agabo al cap. 21. Questo profeta preannunciò che Paolo sarebbe stato arrestato dagli Ebrei e poi consegnato ai Romani: Paolo disse di essere pronto ad essere incatenato e a morire per Cristo. Nulla di tutto ciò è avvenuto: furono i Romani a prendere in consegna Paolo per difenderlo dal linciaggio in quanto cittadino romano. Le fonti dicono poi che Paolo morì a Roma per iniziativa del potere statale.

Ancora una volta, è impensabile che Luca possa aver presentato Agabo come falso profeta: per quale motivo allora l’autore ha tramandato una profezia che oggi si sa non essersi avverata? Perché dal punto di vista di Luca, l’unico modo per sapere se quella profezia “senza tempo” fosse vera o falsa era conoscere gli eventi: dal momento che le parole di Agabo in nessun modo richiamano il martirio di Paolo, ne consegue che Luca non sapeva nulla della sua morte, quindi non solo poteva continuare a presentare Agabo come profeta verace, ma lo poteva fare ancora a distanza di qualche anno.

Si potrebbe continuare, ma non è questo il luogo per trattare di altre questioni quali le sezioni in prima persona che qualificano Luca come testimone oculare di parte dei suoi racconti. Preme soltanto sottolineare che mettendo insieme pochi dati, dai testi emerge in tutta evidenza come utilizzando un minimo di logica spicciola si debba necessariamente concludere che nulla ostacola una datazione degli scritti di Luca ante-70 anzi, gli Atti in 28, 30 forniscono la possibilità di datare la loro composizione all’anno 62, al più tardi 63, comunque prima del 64, anno probabile della morte di Pietro e Paolo.

Ne consegue che il Vangelo deve essere stato scritto immediatamente prima, cosa che induce a porre l’intera composizione lucana nei primi anni del sesto decennio del I secolo d.C. È del tutto evidente che la morte di Pietro e Paolo a Roma, con i cristiani perseguitati come lo erano stati a Gerusalemme, forniva un formidabile argomento della tenacia dei discepoli di Cristo e quale miglior esempio dei due principali protagonisti da poter addurre? Pietro e Paolo sarebbero stati i primi martiri romani, come Stefano fu il primo martire cristiano, e Luca avrebbe avuto moltissime buone ragioni per farli parlare come aveva fatto con Stefano. Altre argomentazioni, come un disinteresse totale o addirittura un Luca che si ferma perché gli è finita la carta o l’inchiostro non paiono sufficientemente convincenti.