Ing. Maurizio Ammannato

Family Mgr. Tina Volpato-Ammannato

I tre moschettieri dell'aria


Athos Ammannato, medaglia d'oro

I fratelli Ammannato 
Figli di Valentino, fratello maggiore di Arturo mio nonno. Quindi primi cugini di mio padre.

La storia dei fratelli Ammannato è unica nell'aviazione italiana: non è per caso che vennero definiti "i tre moschettieri". La loro storia, che riprendo dal bellissimo libro "Aviatori Italiani" di Franco Pagliano, iniziò dalla volontà del padre, il cavaliere Valentino Ammannato, bersagliere e maestro d'armi della Real Casa, di battezzare i figli con i nomi dei celebri moschettieri.

E i figli non erano neppure gemelli: il primo nacque dalla madre Ines l'11 novembre 1911, giorno nel quale cadeva anche il compleanno del re: all'epoca per chi aveva l'onore di servire la Casa Reale era considerato quasi un tacito obbligo battezzare il figlio col nome del sovrano. Invece, il cavalier Ammannato era determinato a dare ai suoi figli nomi di spadaccini, i più famosi di tutti. Perciò, chiamò il suo primogenito Athos.

Tre anni dopo, il 23 dicembre 1914, la signora Ines gli dette un altro maschietto, che la coppia battezzò Aramis. Il terzo "moschettiere" arrivò solo dopo gli anni della grande guerra, il 7 luglio 1920, e fu naturalmente battezzato Porthos. Tutti e tre i fratelli erano considerati ragazzi svegli, aperti, sportivi e leali nell'ambiente romano che frequentavano, e tutti e tre seguirono lo stesso percorso di studi, frequentando la scuola presso i Padri Stimmatini di Santa Croce in via Flaminia, gli istituti di scuola media superiore, e approdando infine all'Accademia Aeronautica di Caserta, sia pure ovviamente a distanza di anni l'uno dall'altro. Athos infatti frequentò il corso "Leone", Aramis l'"Orione", Porthos il "Turbine".

Athos uscì dell'Accademia nel 1935, in tempo per partecipare alle operazioni aeree in Africa Orientale, dove si distinse nel corso di alcune difficili operazioni di aerorifornimento di un piccolo presidio assediato da truppe abissine. Venne rimpatriato nel 1937, e nel frattempo Aramis era uscito dall'Accademia ed era andato volontario in Spagna, dove nel luglio dell'anno precedente era scoppiata una sanguinosissima guerra civile, e dove venne raggiunto dal fratello Athos, entrambi assegnati allo stesso reparto.

I due fratelli, molto uniti fra loro, scrivevano e leggevano assieme le lettere che si scambiavano con i genitori e con Porthos, che allora stava ancora frequentando l'Accademia, e che faceva fatica a tenere a freno la frustrazione di dovere restare in patria mentre i due fratelli si facevano onore in Spagna. Quando i due fratelli tornarono dalla Spagna, il terzo a sua volta stava terminando l'Accademia, e tutti insieme si ritrovarono a casa, sotto gli occhi fieri ed orgogliosi di loro del padre, e quelli di amore della madre.

Purtroppo però una nuova guerra era imminente, molto più impegnativa e tragica per le armi italiane, e per il destino del nostro paese. Nei primi mesi dopo quel fatale 10 giugno 1940, il più giovane dei fratelli rimase a Caserta, mentre gli altri due furono assegnati al 41° Stormo da bombardamento di base in Sicilia, ed equipaggiato con i Savoia Marchetti SM.79. Il reparto nel novembre venne trasferito in Africa per dare il cambio al 14° Stormo, e poco tempo dopo si trovò a fronteggiare la prima offensiva britannica, che costrinse le nostre truppe ad abbandonare il lembo di territorio egiziano conquistato, e a lasciare in mani nemiche un'ampia fetta della Cirenaica.

Ad ostacolare l'offensiva vennero impiegati senza risparmio i reparti della Regia Aeronautica, che si dissanguarono negli attacchi contro le colonne nemiche avanzanti. Il 14 dicembre Aramis, mentre era alla guida di una sezione di S.79, venne attaccato da una pattuglia di caccia Hurricane nemici: il suo gregario venne abbattuto, lui e il suo equipaggio si difesero strenuamente, riuscirono ad abbattere un nemico, ma l'aereo venne colpito e tre compagni vennero feriti. Riuscì a riportare il trimotore oltre le nostre linee, dove fu costretto a compiere un atterraggio di fortuna, salvando il suo equipaggio.


Il Capitano Aramis Ammannato davanti ad un Messerschmitt Bf-110 italiano da caccia notturna

L'offensiva britannica costò gravissime perdite alla V Squadra Aerea italiana: dei 444 aerei che aveva in carico il 9 dicembre 1940, la data d'inizio dell'offensiva, solamente un mese dopo, e nonostante l'arrivo di rinforzi, ne rimanevano efficienti appena 92. Degli altri, un centinaio erano stati distrutti, gli altri erano stati più o meno gravemente danneggiati, ed erano in carico alle squadre di riparazione. Dopo due mesi cadde anche Bengasi, e gli aerei distrutti erano saliti a 148, un tasso di perdite insostenibile per qualunque forza aerea, anche quelle sostenute da apparati industriali ben più efficienti del nostro.

Athos Ammannato era allora al comando della 235ª Squadriglia, che ebbe il compito di proteggere la ritirata, mentre il 41° Stormo stava per essere rimpatriato per essere riequipaggiato. Il fratello Aramis chiese di essere assegnato al reparto del fratello, per affiancarlo e aiutarlo nel difficile compito.

Rimasero assieme fino al 20 febbraio 1941, e fu per l'ultima volta: Athos partì per l'Italia lasciando Aramis in Libia, sul campo di Zavia. Al termine del lungo volo di trasferimento, quando si trovava sul golfo di Napoli, il suo aereo venne colpito da un fulmine e precipitò in mare, senza scampo per i suoi occupanti. Alla sua memoria venne concessa la medaglia d'oro al valore militare.

Aramis per onorare la memoria del fratello chiese ed ottenne che gli venisse assegnato il comando di quella stessa 235ª Squadriglia, che ricoprì fino a quando venne costituito il primo reparto di intercettori notturni, del quale venne chiamato a far parte.
In questo ruolo riuscì ad abbattere un bombardiere quadrimotore inglese Avro Lancaster, e a danneggiare gravemente un altro velivolo, e i suoi furono i primi successi di questa specialità, nuova ed embrionale per la Regia Aeronautica.

Porthos nel frattempo aveva terminato brillantemente l'Accademia ed era stato assegnato ad un reparto di aerosiluranti, dove era stato scelto per partecipare ad una missione particolarmente rischiosa e difficile: l'attacco alle navi nel lontano porto della piazzaforte inglese di Gibilterra. L'azione era prevista nella primavera del 1943, quando sarebbero stati pronti dieci trimotori S.79, modificati a Gorizia con nuovi motori Alfa Romeo 128, un serbatoio supplementare da 1.000 litri. Porthos sarebbe stato il secondo pilota di uno degli equipaggi.


Gli aerei vennero trasferiti sul campo di Istres, in Francia, perché più vicino all'obiettivo e perché dotato di pista che permetteva il decollo in sovraccarico. La base però era posta in un territorio ostile che pullulava di partigiani, e il trimotore sul quale era imbarcato Porthos ebbe un grave incidente in decollo, causato da un atto di sabotaggio. Porthos riportò un forte trauma interno che lo tenne lontano dal fronte un anno, nel corso del quale il Paese visse la tragedia dell'Armistizio, che lo divise in due: lui, coerentemente con la sua appartenenza ad una famiglia leale alla casa Savoia, si schierò con l'aeronautica cobelligerante del sud, operando nei Balcani in appoggio alle truppe italiane ivi stanziate e alle formazioni partigiane di Tito.



Porthos Ammannato davanti ad un Martin Baltimore dell'Aviazione cobelligerante

Anche Aramis era tra gli aviatori del Sud, ma nel 1945, durante una bonifica di ordigni inesplosi nell'aeroporto di Frosinone una bomba gli scoppiò fra le mani, causandogli gravi ferite al viso. I medici riuscirono a salvargli la vita, ma perse l'uso della vista.

I tre moschettieri meritarono complessivamente una medaglia d'oro, sei d'argento e cinque di bronzo, ma pagarono un altissimo tributo alla Patria: il primo cadde, il secondo divenne cieco, il terzo portò addosso per il resto della sua vita i segni delle ferite riportate in azione.
Al capitano Athos Ammannato è stato intitolato il 1º maggio 1971 il 41º Stormo dell'Aeronautica Militare.