Guglielmotti Alumni

Nihil difficile volenti


Dizionario Biografico degli Italiani - Volume 61 (2004)
di Piero Crociani

GUGLIELMOTTI, Alberto. - Figlio di Lorenzo e di Reginalda Pallini, nacque il 3 febbr. 1812 a Civitavecchia, presso Roma, e fu battezzato con il nome di Francesco, assumendo quello di Alberto, in onore di s. Alberto Magno, al momento del suo accoglimento nell'Ordine dei domenicani nel 1827.

Sulla sua formazione ebbero un'influenza decisiva l'ambiente familiare - il padre era stato ufficiale di marina e console di Ragusa - e la città natale, nella quale trascorse gli anni dell'infanzia e della prima giovinezza. Civitavecchia era stata, infatti, sino a qualche anno prima la base della Marina da guerra pontificia che per secoli si era battuta contro i corsari saraceni, turchi e barbareschi e di questi eventi permaneva, nella città, ancora vivissima la memoria. Nelle sue opere il G. avrebbe fatto cenno agli ultimi superstiti di quella Marina, che aveva conosciuto da ragazzo e dalla cui viva voce aveva raccolto i ricordi.

Il richiamo di questo mondo scomparso si sarebbe però fatto avvertire soltanto più tardi, negli anni della maturità; l'adolescente G., avvertita la chiamata della vita religiosa, fu accolto come novizio nel convento romano dei domenicani di S. Sabina. Dopo un iniziale periodo di difficoltà progredì rapidamente negli studi che - pronunciati i voti il 6 ott. 1828 - proseguì fino al 1830 nel convento di S. Maria sopra Minerva e poi, sino al 1832, in quello della Quercia, presso Viterbo. Ordinato sacerdote quello stesso anno a Perugia, vi rimase fino al 1834, per tornare infine a Roma, dove, il 7 luglio 1837, ottenne la laurea in teologia e in filosofia presso il collegio di S. Tommaso. Subito dopo ricevette l'incarico dell'insegnamento delle scienze fisiche e naturali nello stesso collegio, ed essendo questo sprovvisto di gabinetto scientifico ne curò la realizzazione, giungendo a costruire di propria mano alcuni fra gli strumenti di precisione. Il riconoscimento dei suoi meriti superò presto l'ambito del collegio, tanto che venne incaricato di dirigere la sistemazione dei parafulmini sulla Torre delle Milizie. Già allora erano tanto numerosi gli impegni dell'insegnamento, della vita religiosa e, soprattutto, dello studio, che il G. fu obbligato a chiedere l'autorizzazione a celebrare la messa anche prima dell'alba o fino a un'ora dopo mezzogiorno.

Gli incarichi legati alla sua vita di religioso si susseguirono per circa un ventennio. Sacrista nel 1845, maestro dei novizi tra il 1846 e il 1848, maestro di teologia e reggente degli studi nel suo collegio nel 1849, bibliotecario della Casanatense nel 1850, sindaco - cioè amministratore - del collegio della Minerva nel 1856, nel 1859 il G. fu eletto superiore di quel convento e nominato teologo casanatense, incarico, quest'ultimo, di notevole rilevanza, affidato soltanto a sei esponenti del suo Ordine, scelti per la loro preparazione e la loro dottrina. Nel 1860, infine, il capitolo lo elesse provinciale dei domenicani della provincia romana, carica che mantenne fino al 1862. Da allora - e senza trascurare i doveri propri della sua condizione, perché fu sempre, prima di tutto, un religioso - il G. si sarebbe dedicato agli studi di storia navale e di filologia che aveva iniziato circa vent'anni prima.

L'insegnamento delle scienze fisico-naturali e gli incarichi ricoperti non avevano infatti rimosso il suo interesse per la storia e già nel 1844 era apparso il suo primo libro, Le missioni cattoliche nel Regno del Tonchino. Quest'opera, pur tradotta in spagnolo due anni dopo, fu giudicata, però, poco favorevolmente per quanto riguardava lo stile. Colpito dall'osservazione il G. ritirò il volume dal commercio e decise di dare un più solido fondamento alla sua preparazione, iniziando dalle basi, dalla grammatica di B. Puoti, e passando poi allo studio dei classici e delle lingue. Così, poco a poco, le sue ricerche si rivolsero alla filologia, soprattutto per quanto atteneva ai vocaboli del linguaggio marittimo e militare, in relazione anche al suo interesse per la storia della Marina da guerra pontificia, ridestatosi quando ebbe a curare l'edizione della Storia di Civitavecchia di monsignor V. Annovazzi, apparsa nel 1853, nella quale la sua partecipazione nella stesura del testo andò ben al di là della semplice cura.

Nel 1854 il G. pubblicò una Storia della Marina militare pontificia dal secolo VIII al XIX (Roma) che, avendo deciso di dedicare all'argomento studi di ben maggiore spessore, tolse subito dalla circolazione. Intensificò allora le ricerche del materiale occorrente per questo fine, che si prolungarono negli anni mettendolo in contatto con archivisti e bibliotecari italiani e stranieri, con ufficiali di marina, con filologi e con storici: contatti di cui resta traccia nell'epistolario conservato in sei raccoglitori presso l'Archivio storico dell'Ordine, a Roma.

A tal proposito c'è da notare come l'epistolario si contragga bruscamente dopo il 1875, quando il G., viste pubblicate senza il suo consenso alcune sue lettere a Nino Bixio, limitò al massimo la propria corrispondenza.

Le ricerche sulla Marina pontificia lo portarono naturalmente a interessarsi anche dei mezzi di difesa del litorale dello Stato della Chiesa: nel 1860 apparve I bastioni di Antonio di Sangallo disegnati sul terreno per fortificare e ingrandire Civitavecchia l'anno 1515 e, nel 1862, Della rocca d'Ostia e delle condizioni dell'architettura militare in Italia prima della calata di Carlo VIII, compresi rispettivamente nel Giornale arcadico e negli Atti della Pontificia Accademia romana di archeologia. Questi lavori saranno poi completati con i due tomi della Storia delle fortificazioni nella spiaggia romana, risarcite ed accresciute dal 1560 al 1570 (Roma 1880).

Fu però solo con la pubblicazione di Marc'Antonio Colonna alla battaglia di Lepanto (Firenze 1862), che il nome del G., noto sino ad allora soprattutto nell'ambiente culturale romano, divenne conosciuto in tutta Italia. Di là dall'indubbia validità dell'opera, infatti, l'attenzione dei lettori italiani venne immediatamente attratta dalla rivendicazione delle glorie e dei meriti delle Marine dei diversi Stati italiani nella lotta contro il Turco per la difesa della civiltà cristiana. Rivendicazione che cadeva a proposito in quei primissimi anni di vita del Regno d'Italia, che vedevano anche la nascita di una moderna Marina da guerra che aveva bisogno di una tradizione nazionale cui rifarsi, non potendole bastare, come avveniva per l'Esercito, quella, piuttosto limitata, della Marina sarda.

Il libro ebbe ben quindici ristampe e il G. venne da allora correntemente considerato come il padre della storia navale italiana. Gli altri volumi, dedicati al completamento della storia della Marina da guerra pontificia, uscirono successivamente nel giro di una ventina d'anni: nel 1871 la Storia della Marina pontificia nel Medioevo (ibid.), nel 1876 La guerra dei pirati e la Marina pontificia dal 1500 al 1560 (I-II, ibid.), nel 1882 La squadra permanente della Marina romana: storia dal 1573 al 1644 (Roma), nel 1883 La squadra ausiliaria della Marina romana a Candia e alla Morea: storia dal 1644 al 1699 (ibid.) e nel 1884 Gli ultimi fatti della squadra romana da Corfù all'Egitto: storia dal 1700 al 1807 (ibid.). Anche questi volumi, ugualmente tesi a rivendicare, oltre che i meriti della Marina pontificia, anche quelli delle Marine degli altri Stati italiani nella secolare lotta contro i pirati, incontrarono il favore del pubblico e degli storici, confermando la sua fama. Alla sua opera e alla sua autorità facevano infatti ricorso scrittori di cose navali, ufficiali di marina e politici, anche coloro che per pensiero e formazione politica, come N. Bixio, avrebbero dovuto essere riluttanti a condividere le idee di un frate scrittore.

Assai ben documentati, per l'epoca, anche se scritti talvolta con qualche arcaismo e, spesso, con eccesso di partecipazione e di passione, i lavori del G. non si limitavano a narrare le vicende belliche ma abbracciavano anche la vita sul mare in ogni suo aspetto, dall'architettura navale al funzionamento dei servizi, alla vita quotidiana a bordo delle navi, ciò che li rende, nel complesso, validi ancor oggi.

Per realizzarli il G. aveva intensificato le sue ricerche compiendo anche due viaggi all'estero: il primo in Levante tra l'agosto 1863 e l'aprile 1864, toccando Dalmazia, Albania, Grecia, Turchia, Palestina, Egitto e Malta; il secondo, tra il settembre e il novembre 1864, in Austria, Germania, Belgio, Gran Bretagna e Francia, concluso a La Spezia dove era stato ricevuto a bordo delle navi da guerra, su ordine del ministro della Marina, con gli onori riservati agli ammiragli. Di questi viaggi sono rimasti alcuni taccuini ricchi di efficaci, brevi annotazioni, di disegni di oggetti e di schizzi topografici.

Se la rievocazione della storia dell'antica Marina pontificia (e di quella degli altri Stati preunitari) permetteva alla Marina e all'opinione pubblica dell'Italia unita di riallacciarsi a gloriose tradizioni, il ricordo del ruolo svolto per secoli da quella Marina favoriva al tempo stesso la rievocazione di un aspetto, non marginale, della storia dello Stato della Chiesa, ciò che non poteva allora spiacere alla Santa Sede, da pochi anni privata del potere temporale. Ciò spiega perché Leone XIII autorizzasse la Tipografia vaticana a provvedere a una nuova edizione della Storia della Marina pontificia, che apparve in dieci volumi, comprensivi di un atlante, tra il 1886 e il 1893.

In quello stesso periodo e sempre grazie a un intervento esterno - stavolta quello di Umberto I che sottoscrisse direttamente 200 copie e ne fece sottoscrivere al ministero della Marina altre 150 - vide la luce a Roma, nel 1889, l'altra grande opera del G., il Vocabolario marino e militare, per la cui realizzazione, nel 1873, il ministero della Pubblica Istruzione aveva negato il suo apporto, motivandolo con la mancanza di fondi.

Il volume, frutto di quarant'anni di studi e ricerche, aveva un indiscutibile valore scientifico, con alcune voci che costituivano veri e propri piccoli trattati; voci che, già prima della stampa del Vocabolario, avevano meritatamente reso noto il G. tra i filologi e gli studiosi e che sin dal 1871 lo avevano fatto nominare socio corrispondente dell'Accademia della Crusca. Per il G., poi, il Vocabolario - al pari delle opere storiche - voleva essere uno strumento che, partendo dalla valorizzazione filologica dei termini in uso negli antichi Stati italiani, doveva fornire all'Esercito e, soprattutto, alla Marina dell'Italia unita un proprio linguaggio tecnico-scientifico, di schietta derivazione nazionale, proponendosi egli di far escludere dall'uso i termini di origine straniera che nella Marina - e ancor più nell'Esercito - si contavano numerosi. Come scrisse il G. stesso, suo obiettivo era stato quello di "rimettere in fiore le voci e le frasi del linguaggio marino e militare usato a Roma, a Pisa, a Livorno e per tutta la penisola, onorata e non piccola parte del nostro patrimonio artistico e letterario", cosicché ci si liberasse "dalla miseria e dalla vergogna di andare adottando pel mondo voci e frasi o servili o straniere o inutili".

Il Vocabolario e i volumi dedicati alla Marina sintetizzarono, con il loro contenuto, quei tre diversi aspetti della personalità del G. che, in tempi e ambienti difficili, se non ostili, egli riuscì ugualmente a fondere armoniosamente: fedeltà alla Chiesa e al Papato, mantenendosi, però, sempre alieno da esternazioni politiche; profondo senso di italianità, sia per motivi famigliari - essendo stato suo fratello Pietro, esule dopo il 1849, il primo sindaco di Civitavecchia italiana -, sia per ragioni sentimentali e culturali; amore allo studio. L'Italia di fine Ottocento lo aveva compreso e nella Roma umbertina il G., grazie anche al suo aspetto energico e quasi marziale (soleva salutare in maniera militare, portando la mano al cappello) e all'abitudine a lunghe passeggiate, era un personaggio ben conosciuto.

Fino all'ultimo continuò a lavorare preparando gli aggiornamenti al suo vocabolario e la morte lo colse al suo scrittoio a Roma il 31 ott. 1892.

Alla sua memoria vennero rese solenni onoranze, cui si associò lo stesso re. La R. Marina pose la notizia della sua scomparsa al primo posto nell'ordine del giorno del 1° novembre, i suoi ufficiali gli dedicarono una lapide nella Biblioteca Casanatense; il suo nome venne imposto, poi, in successione, a due sommergibili, destinati a essere affondati uno nella prima e l'altro nella seconda guerra mondiale. Roma e Civitavecchia, infine, gli dedicarono un busto.

Fonti e Bibl.: Le carte del G., conservate a Roma nell'Archivio storico dell'Ordine dei predicatori, sono catalogate nella serie XIV del Novus catalogus, nn. 193-195 (27 buste). Comprendono, fra l'altro, i manoscritti delle sue opere edite e inedite. Tra queste ultime sono da segnalare l'Archeologia navale, svolta e dimostrata con vocaboli tecnici, italiani, latini e greci in ordine di materia (b. 195/d) e la traduzione dell'edizione tedesca delle Tavole attiche e documenti della Marina ateniese (b. 195/i). A Roma, presso l'Ufficio storico del ministero della Marina, si conserva il fascicolo personale del Guglielmotti.