Δημοκρατία

Il futuro della Democrazia (Norberto Bobbio)

Premessa all’edizione 1984

Il volume raccoglie alcuni scritti dell’autore sulle “trasformazioni” della democrazia. L’autore utilizza il termine “trasformazione” in luogo di “crisi” perché, precisa, “per un regime democratico il suo essere in trasformazione è il suo stato naturale: la democrazia è dinamica, il dispotismo è statico e sempre uguale a se stesso.” (p. XIX)

1. Il futuro della democrazia
L’autore propone in apertura una definizione minima di democrazia: “l’unico modo di intendersi quando si parla di democrazia, in quanto contrapposta a tutte le forme di governo autocratico, è di considerarla caratterizzata da un insieme di regole, primarie o fondamentali, che stabiliscono chi è autorizzato a prendere le decisioni collettive e con quali procedure.” (p.4) Per quanto riguarda i soggetti, un regime democratico è caratterizzato dall’attribuzione del potere di decisione ad un numero molto alto di soggetti. Per quanto riguarda invece le procedure, la regola fondamentale della democrazia è la regola della maggioranza. 

L’unanimità è richiesta soltanto nel caso di una decisione molto grave, per cui i decisori hanno diritto di veto, o per una decisione di scarsa importanza, per cui si dichiara consenziente chi non si oppone espressamente. A queste due condizioni se ne aggiunge una terza: che i soggetti siano posti di fronte ad alternative reali e siano messi in condizione di poter sceglier tra l’una e l’altra. A tal fine è necessaria la garanzia dei diritti di libertà, d’opinione, di espressione della propria opinione, di riunione, di associazione, ecc. In questo senso, stato liberale e stato democratico si presuppongono a vicenda.

Rispetto alle trasformazioni della democrazia, l’autore non si propone di focalizzare l’attenzione sulle sue degenerazioni, bensì sullo scarto tra ideali democratici e “democrazia reale”, indicando sei promesse non mantenute rispetto a ciò che è stato effettivamente attuato del pensiero liberale e democratico di Locke, Rousseau, Tocqueville, Bentham, Stuart Mill:

la nascita della società pluralistica
La democrazia nasce da una concezione individualistica della società, secondo cui essa è un prodotto artificiale della volontà degli individui. A questa concezione hanno concorso il contrattualismo settecentesco, l’economia politica e la priorità dell’homo oeconomicus sullo politikon zoon, la filosofia utilitaristica di Bentham e Mill. Partendo dalla concezione dell’individuo sovrano, la dottrina democratica aveva ipotizzato uno stato senza corpi intermedi. Gli stati democratici come si cono attuati sono invece società policentriche o poliarchiche, dove i gruppi (partiti, associazioni, sindacati,…) e non gli individui sono i protagonisti. La società democratica è pluralistica.

rivincita degli interessi
La democrazia moderna, nata come democrazia rappresentativa, avrebbe dovuto essere caratterizzata dalla rappresentanza politica, secondo la quale il rappresentante, essendo chiamato a rappresentare gli interessi della nazione, non è soggetto a mandato vincolato. Nella democrazia reale, divenuta democrazia di gruppi politici, invece, i rappresentanti sono espressione di interessi particolari.

persistenza delle oligarchie
il principio ispiratore del pensiero democratico è sempre stato il principio della libertà come autonomia, ossia capacità di dar leggi a se stessi, senza distinzione tra governanti e governati. Tuttavia la democrazia rappresentativa si è andata configurando come governo di élites. L’ipotesi di una democrazia diretta attraverso la computer-crazia rischia di produrre un eccesso di partecipazione e di portare al fenomeno del cittadino totale (Dahrendorf), cioè all’apatia elettorale. “Nulla rischia di uccidere la democrazia più che l’eccesso di democrazia.” (p. 14). La caratteristica di un governo democratico, tuttavia, non è l’assenza di élites, ma la concorrenza tra élites per il voto popolare (Macpherson).

lo spazio limitato
la democrazia non è riuscita ad occupare tutti gli spazi in cui si prendono decisioni vincolanti per il corpo sociale. Si tratta in questo caso della distinzione tra potere ascendente e potere discendente. Dopo la conquista del suffragio universale, la sfida della democrazia non sta nel passaggio tra democrazia rappresentativa e diretta, ma tra democrazia politica e democrazia sociale, cioè nell’ampliamento degli spazi nei quali si esercita il diritto di voto. Vanno pertanto coinvolti anche gli spazi di potere dall’alto, spazi non politici, ossia l’impresa e l’apparato amministrativo.

il potere invisibile
la democrazia moderna nasce con la prospettiva di fugare i poteri invisibili per realizzare un sistema di potere completamente trasparente. La pubblicità degli atti di governo è dunque fondamentale per permettere al cittadino la loro conoscenza e il potere di controllo. L’avvento della computer-crazia tuttavia ha aumentato a dismisura la capacità dei governanti di conoscere perfettamente le azioni dei cittadini. Si pone allora il problema fondamentale di chi controlla i controllori. Nel caso dell’aumento di potere dei controllori si tratta non solo di una premessa non mantenuta, ma di una tendenza contraria alle premesse.

il cittadino non educato
la democrazia si realizza nella pratica democratica di cittadini attivi. Nele democrazie più avanzate si assiste tuttavia all’apatia elettorale di cittadini sempre più passivi, e alla pratica del voto di scambio, orientato agli interessi particolari garantiti, in luogo del voto di opinione, basato su una cultura politica e una più ampia educazione alla democrazia. 

Tutte queste promesse non erano in realtà mantenibili. La società odierna è infatti molto più complessa di un tempo e ha presentato, rispetto agli ideali iniziali, tre ostacoli non prevedibili: 

l’aumento dell’esigenza di un governo dei tecnici, sorto con il passaggio da un’economia familiare all’economia di mercato. Tuttavia la tecnocrazia è contraria alla democrazia, che prevede non il governo di pochi competenti, ma di tutti;

la crescita dell’apparato burocratico ordinato gerarchicamente dall’alto al basso, cioè in senso opposto alla struttura del potere democratico. Tuttavia lo stato burocratico, nato con l’estensione dei servizi, è strettamente collegato allo sviluppo dello stato democratico e all’ampliamento del diritto di voto;

lo scarso rendimento del sistema democratico e la sua ingovernabilità. Data l’estensione della partecipazione a tutto il corpo sociale, si è realizzato un effetto di sovraccarico di domande poste dai cittadini ai governanti, la necessità di scelte escludenti e la formazione di malcontento. Inoltre la rapidità dell’evoluzione delle domande si scontra con la lentezza dell’apparato democratico.


Tuttavia, dopo la seconda guerra mondiale, lo spazio dei regimi democratici è andato aumentando e consolidandosi, mantenendo i requisiti minimi. Le regole democratiche inoltre sono state prodotte attraverso grandi lotte ideali, che hanno fatto emergere alcuni valori fondamentali: la tolleranza, la nonviolenza, il rinnovamento graduale della società attraverso il libero dibattito delle idee e il cambiamento delle mentalità, la fratellanza. “in nessun paese del mondo il metodo democratico può perdurare senza diventare un costume. Ma può diventare un costume senza il riconoscimento della fratellanza che unisce tutti gli uomini in un comune destino?” (p. 30).


2. Democrazia rappresentativa e democrazia diretta
Negli ultimi anni la richiesta di maggiore democrazia si è espressa come richiesta di una democrazia diretta in luogo di quella rappresentativa. Se la richiesta è quella di una partecipazione dei cittadini a tutte le scelte che li riguardano, la richiesta è insensata. L’ideale del cittadino rousseauiano corrisponde al “cittadino totale” (Dahrendorf), corrispettivo dello stato totale: entrambi hanno alla base la riduzione di tutti gli interessi umani agli interessi della polis, eliminando la sfera privata.

Le democrazie rappresentative sono democrazie in cui per rappresentante s’intende una persona che a) in quanto gode della fiducia del corpo elettorale, una volta eletto non è revocabile, b) non è responsabile direttamente davanti ai suoi elettori perché egli è chiamato a difendere gli interessi generali della società civile e non gli interessi particolari di una categoria.

La critica alla democrazia rappresentativa si declina come critica al divieto del mandato imperativo e alla rappresentanza generale in luogo di quella di interessi o organica. Secondo l’autore nessuna delle due proposte trasforma la democrazia rappresentativa in diretta. 

La rappresentanza di categoria non riguarda visioni globali e non permette decisioni generali. La rigidità delle istruzioni propria di un mandato imperativo non è funzionale ai corpi collettivi. la democrazia integrale risulta infatti da una commistione tra democrazia rappresentativa e democrazia diretta. Di quest’ultima due sono gli istituti: l’assemblea dei cittadini e il referendum. La prima è tipica di piccole società, la seconda riguarda casi straordinari.

Ciò cui assistiamo oggi non è la trasformazione della democrazia da rappresentativa a diretta, bensì l’allargamento della democrazia politica e rappresentativa, relativa allo stato, agli spazi della società. Ci si è accorti dunque che la democratizzazione dello stato deve essere affiancata alla democratizzazione della società e dei suoi spazi di potere e di organizzazione. Per verificare lo stato di avanzamento della democrazia è pertanto opportuno chiedersi quanti sono gli spazi in cui il cittadino può esercitare il suo diritto-dovere di elettore. I due grandi blocchi di potere discendente e gerarchico, la grande impresa e l’amministrazione pubblica, tuttavia non sono ancora stati intaccati dal processo di democratizzazione.

Lo spostamento dello sguardo sulla società mostra come vi siano molti centri di potere: la democrazia è posta dunque di fronte al problema del pluralismo. Democrazia e pluralismo sono due regimi che convergono contro l’abuso del potere, l’una contro il potere autocratico, l’altro contro il potere monocratico. La democrazia moderna nasce da questa doppia tensione, come potere democratico e policratico insieme. Il difetto della democrazia rappresentativa è corretto dalla presenza di una pluralità di oligarchie concorrenti, quali i partiti. 

Il pluralismo inoltre rende evidente un carattere centrale della democrazia moderna: la libertà del dissenso, considerato fecondo e non distruttivo del regime democratico. Soltanto dove il dissenso è libero di manifestarsi, il consenso è reale e il regime è effettivamente democratico. Un allargamento della democrazia politica a quella sociale passa dunque per un pluralismo che renda possibile il dissenso e una maggiore distribuzione del potere.


3. I vincoli della democrazia
Un sistema democratico è un insieme di regole procedurali delle quali quella della maggioranza è la principale ma non la sola. Chi voglia parlare di “nuova politica” deve fare i conti con tali regole. Un sistema democratico è certamente un sistema nel quale le regole possono essere riviste, va stabilito però quali e come. Le regole del gioco democratico infatti stabiliscono simultaneamente anche gli attori del gioco e le mosse, ed essi sono insieme solidali.


4. La democrazia e il potere invisibile
Si può definire la democrazia come il governo del potere pubblico in pubblico, dove “pubblico” ha due significati a seconda che venga contrapposto a “privato” oppure a “segreto”. Alla pubblicità del potere si collega il principio della rappresentanza: esso consta nel rendere presente e visibile qualcosa che è invisibile e altrimenti resterebbe nascosto (C. Schmitt). Accanto a questo tema vi è quello del decentramento, inteso come rivalutazione della rilevanza politica della periferia e del locale rispetto al centro. Il potere infatti è tanto più visibile quanto più è vicino. Inoltre la pubblicità del potere si lega e si sottopone all’opinione pubblica. Kant stesso sottolinea come un criterio di giudizio del buon governo sia la suscettibilità di pubblicità
delle sue decisioni (seconda Appendice alla Pace perpetua), esposte al libero uso della ragione
dei governati.

A differenza della democrazia, il potere autocratico non solo si occulta aspirando a divenire invisibile e onniveggente (Panopticon - Foucault), ma anche occulta. Là dove il potere è invisibile, lo è anche il contropotere. Il confronto con la democrazia reale deve tener conto della tendenza di ogni dominio alla segretezza (occultare) e al mascheramento (occultarsi). Il secondo caso riguarda la comunicazione pubblica, là dove essa tende a manipolare i cittadini estorcendo il consenso verso il potere politico, anche se tale occultamento è contrastato dalla libera critica. Per quanto riguarda la segretezza, gli attuali regimi democratici non hanno ancora superato il potere invisibile: alla democrazia si affianca infatti un “sottogoverno”, che è il governo dell’economia, e un “criptogoverno”, ossia l’insieme di forze eversive che agiscono in collegamento con i
servizi segreti.

Un ultimo argomento riguarda l’onniveggenza del governante, oggi resa possibile dal controllo capillare dei computer: esso potrebbe dare vita alla tendenza contro-democratica del massimo controllo dei governati da parte del potere.


5. Liberalismo vecchio e nuovo
La democrazia è considerata il prolungamento storico del pensiero liberale. Tuttavia l’evoluzione della democrazia e l’allargamento della domanda di servizi dalla base ha condotto allo stato assistenziale. Quest’ultimo risulta incompatibile con la dottrina liberista che vuole uno stato minimo e non interventista. L’obiettivo del nuovo liberismo è quello di salvare la democrazia senza uscire dal capitalismo.

Il modo è quello di una sovrapposizione tra mercato economico e stato democratico, cui assistiamo, descrivibile come mercato politico, in cui il leader-imprenditore tende al massimo profitto corrispondente ai voti e dunque agli interessi di cui si fa portatore. Ciò che il neoliberalismo contesta è lo stato assistenziale, stato insieme massimo e debole; ciò che propone è lo stato insieme minimo e forte.


6. Contratto e contrattualismo nel dibattito attuale
La moderna democrazia capitalistica può essere descritta come “mercato politico”: in essa i rapporti tra i gruppi di interesse (i partiti) che caratterizzano la società poliarchica sono descrivibili attraverso una terminologia propria del diritto privato e tipica dei rapporti di scambio finalizzati al raggiungimento di un patto tra le parti. In questo senso si parla di nuovo contrattualismo. In tale contesto si paventa la scomparsa dell’unità organica delle parti rappresentata dallo stato e si denuncia il “particolarismo”, ossia il prevalere di interessi privati su quelli pubblici, tanto da definire la democrazia una “merecrazia” (governo delle parti). 

Le parti in causa nell’agone democratico sono i partiti: i loro rapporti sono regolati dalla logica privatistica dell’accordo, non disciplinato dalla Costituzione. Sebbene i rappresentanti non siano vincolati da un mandato, tuttavia nella democrazia reale essi rappresentano interessi particolari. Mentre tra partiti si svolge il grande mercato, tra cittadini elettori e partiti si svolge il “piccolo mercato”, dove ancora una volta si passa dalla logica pubblicistica a quella privatistica del do ut des e dello scambio su base di interessi privati. L’elettore si trasforma in cliente in quanto il mandato libero si trasforma in realtà in mandato vincolato. Al voto di opinione si sostituisce il voto di scambio.

A partire dal contrattualismo che sta all’origine dell’ideale di stato democratico, con annesso individualismo, si assiste oggi ad una contrattualizzazione della politica e della società, frutto della frantumazione del potere in tanti diversi centri diffusi. Il neo-contrattualismo nasce dal problema della ingovernabilità delle società più complesse ed evolute: esso invoca un nuovo patto tra le parti sociali ed investe anche l’accordo tra le parti a livello internazionale. La sfida cui il esso va incontro è quella di garantire non soltanto la tutela delle libertà dei contraenti e delle proprietà di scambio, ma anche della giustizia tra le parti e di una equa distribuzione delle risorse.

7. Governo degli uomini o governo delle leggi?
“Qual è il governo migliore, quello degli uomini o quello delle leggi?” è la domanda centrale della storia del pensiero politico: non si tratta di una domanda sulla forma di governo ma sul modo di governare. Mentre il primato della legge è positivo data la sua universalità, che presuppone che anche il governante vi sia sottomesso, ma esclude i casi particolari, il primato dell’uomo invece presuppone il buon governante ed espone al rischio della sua parzialità.

I due criteri del buongoverno nei secoli sono stati: il governo del bene comune contrapposto agli interessi privati e il governo secondo leggi stabilite contro il governo arbitrario. Al governo sub leges e per legem si contrappone il potere carismatico (che M. Weber pone tra le forme di potere legittimo). Il potere tradizionale sta nel mezzo tra i due estremi: è un potere personale la cui legittimità deriva dalla forza della tradizione. Il potere carismatico è il prodotto delle grandi crisi storiche, mentre quello legale e tradizionale rappresentano i tempi lunghi della storia. 

Weber, cui va ail merito di aver affrontato in modo inedito la domanda di fondo sull’articolazione tra potere delle leggi e degli uomini, coniuga la legittimità democratica con la presenza di un governante carismatico attraverso l’idea della “democrazia plebiscitaria”, contrapposta a quella “acefala”.

Secondo l’autore, tuttavia, la democrazia rappresenta il trionfo del potere legale e il governo delle leggi per eccellenza. Ogni volta che dimentica questo principio, si trasforma in potere autocratico.