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Ing. Emerito Maurizio Ammannato

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Il Contratto di Rete

Un nuovo modo di interpretare l’impresa

Il contratto di rete, in questi ultimi mesi, è stato oggetto di molte pubblicazioni sia sui giornali, che sul web; è stato oggetto di convegni e incontri dove si sono sviscerate tutte le opportunità di questo nuovo strumento e le motivazioni che lo promuovevano.

Tutti sanno ormai come funziona e quali sono le sue peculiarità; si sa che é un contratto che permette nuove forme di collaborazione tra le aziende che rimangono giuridicamente ed economicamente indipendenti, ma possono, appartenendo a una rete e condividendo regole comuni, intraprendere progetti industriali comuni ed innovativi.

Ormai é risaputo che il Contratto di Rete come strumento legislativo é molto aperto; la sua funzione principale é la definizione di regole dispositive, dunque derogabili dalle parti, con i suoi vantaggi, ma anche con i suoi limiti. Ovvero definiti gli obiettivi strategici, il Programma di Rete permette di scegliere il tipo di governance, l’apporto o meno di capitali e la definizione dei rapporti tra le aziende partecipanti.

Il Contratto di Rete crea un’aggregazione che non forza l’individualità delle imprese, ma consente di integrarne le energie, senza snaturarne né la flessibilità tipica delle PMI né l’individualità, che sono alla base della loro essenza. L’obiettivo è di presentare una nuova struttura che, mantenendo le peculiari caratteristiche delle PMI, può ridurre il divario competitivo con le multinazionali.

Da questo é facile trarre, una serie di considerazioni: Il Contratto di Rete è uno strumento che aiuta in competitività, fa superare il nanismo delle PMI italiane, concorre al superamento degli ostacoli che ogni piccolo o medio imprenditore deve superare ogni giorno. Il Contratto di Rete deve essere, vista la sua attuale disciplina legislativamente ‘a maglie larghe’, ben definito da regole condivise, chiare e con un progetto imprenditoriale strategico che, oltre a coniugarsi con quello delle singole imprese, si integra e ne é ben compreso.

Riassumendo il Contratto di Rete segue questa disciplina (L.l22/2OIO art 42): Il contratto si configura come un accordo plurilaterale con comunione di scopo; lo scopo comune é la crescita della capacità innovativa o la crescita della competitività sul mercato, e obbligatoriamente stipulato in forma dell’atto pubblico o della scrittura privata, forma necessaria ai fini degli adempimenti pubblicitari previsti.

L’oggetto del contratto contempla in via alternativa, la collaborazione in forme e ambiti predeterminati attinenti all’esercizio delle varie imprese, scambio d’informazioni, l'esercizio in comune di un'attività rientrante nell’oggetto di una o più aziende partecipanti.

Il tutto sulla base di un Programma di Rete che, identificato l’oggetto, deve indicare i diritti e gli obblighi di ciascun partecipante, le modalità specifiche che consentono l’ attuazione degli obblighi, la realizzazione dello scopo comune e la possibile modifica del programma stesso.

I suoi contenuti obbligatori sono il nome o la ragione sociale di ogni partecipante, l’indicazione degli obiettivi strategici con i modi concordati per la misurazione dell’avanzamento degli stessi, la definizione del Programma di Rete, con evidenza dei diritti e degli obblighi di ciascun partecipante e la modalità di realizzazione, la durata del contratto, le modalità di adesione di altri soggetti, le regole per l’assunzione delle decisioni dei partecipanti.

I suoi contenuti facoltativi sono l’istituzione di un fondo patrimoniale comune, l'eventuale nomina di un organo comune, la regolamentazione delle cause facoltative di recesso anticipato dal contratto.

Per approcciarsi ai contratti di rete serve quindi una condivisione d’intenti, una condivisione nelle modalità di attuazione ed un buon studio legale che sappia redigere, nell’interesse sia dei partecipanti che della rete stessa, un contratto che regoli in maniera chiara i rapporti tra la rete e i partecipanti ed all’interno della rete stessa in tutte le sue casistiche e peculiarità.

Qui si aprono due discussioni: 1- perché fare rete e 2- come fare rete. La nostra tradizione imprenditoriale è costellata da realtà individualiste che trovano nella propria individualità l’eccellenza che ci viene riconosciuta a livello mondiale. La carta europea per le piccole imprese (The Small Business Act) infatti riconosce ad esse la figura di spina dorsale dell'economia europea, riconosce che sono fonte primaria di posti di lavoro, riconosce che lo spirito imprenditoriale che le anima è un’abilità umana valida e produttiva, ne riconosce oltre l’impegno anche la flessibilità.

Riconosce anche le difficoltà che le PMI incontrano tutti i giorni, che possiamo riassumere in: un quadro fiscale normativo non favorevole, l'accesso ai mercati esteri complesso ed oneroso, importanti costi per ricerca ed innovazione, accesso al credito sicuramente più difficoltoso che per le multinazionali. In più con la globalizzazione dei mercati la visibilità delle piccole e medie imprese diventa inadeguata in un territorio molto più vasto che richiede risorse finanziarie produttive e tecnologiche più importanti.

Le sfide sono sicuramente attraenti, ma in un periodo di crisi, dove si sono dovuti utilizzare i capitali accantonati per mantenere le quote di mercato e occupazionali, diventa difficile aver le risorse per accettare e vincere le sfide che ogni giorno sono proposte.

A questo bisogna aggiungere che il taglio delle PMI Italiane, la loro capacità produttiva, tecnologica e innovativa è progettata per un mercato nazionale o europeo e, quindi, difficilmente può competere su mercati più ampi, diversi e lontani.

Negli ultimi anni è cambiato per tutti lo scenario, ma non sono cambiate le abitudini, le politiche produttive e commerciali, non hanno avuto lo stesso trend d’innovazione che era richiesto dai mutamenti mondiali, anzi lo scenario interno è andato a peggiorare con maggiori oneri burocratici che tendono a ingessare le aziende.

La condivisione non è parte della cultura imprenditoriale italiana; anzi il conservare all’interno delle proprie aziende la conoscenza e la propria tecnologia ha determinato sicuramente un’eccellenza nei prodotti, ma una scarsa visione delle potenzialità aziendali e del mercato.

Oggi non si può più trascendere da nessuna prospettiva e per questo solo un'azione condivisa che metta in rete competenze, risorse e tecnologia può scardinare quel circolo vizioso che impedisce la crescita. Una rete d’imprese può eliminare il divario competitivo e innovativo tra le PMI e le aziende di grandi dimensioni.

Sicuramente è la strada da percorrere. Tutti gli analisti vedono in questo modello un modello vincente che può concorrere alla sconfitta della crisi che da anni ormai attanaglia le imprese.

Qui nasce però un problema culturale, le aziende italiane, o meglio gli imprenditori italiani, non hanno mai messo in comunione il proprio Know-How, anzi la paura della concorrenza, il credere nella propria unicità ha sempre rallentato i processi aggregativi. Per l’imprenditore italiano è concettualmente più facile acquistare un’azienda, a complemento della propria, piuttosto che trovare un accordo collaborativo.

Ecco che forse bisogna interpretare il Contratto di Rete non solo come uno strumento, ma come un nuovo modo di interpretare l'azienda, aprire le porte per far entrare le opportunità e far aggregare competenze e tecnologie.

Un piccolo passo per iniziare a comprendere le potenzialità di questa nuova filosofia è realizzare delle reti di base, ovvero reti che mettono in comune servizi e prodotti, e non vanno ad incidere negli asset strategici della azienda.

E' un primo passo che non risolve i problemi, non dà certamente quella carica espansiva tipica di un Contratto di Rete, ma permette di familiarizzare con lo strumento, consente di capire quanto si “è capaci di aggregarsi”, quanto si è disposti a mettere in rete.

Un'analisi fatta sul campo senza "rischiare" è sicuramente un passaggio che può aiutare molte aziende a prepararsi a un nuovo modo di fare impresa. Si possono realizzare reti per la logistica, non comportano "rischi sugli asset strategici" e si verifica e sperimenta la propensione alla condivisione d’informazioni.

Per esempio si possono realizzare reti nell’ambito delle location produttive ovvero realizzare gruppi di acquisto dei servizi legati alla location stessa (assicurazioni, vigilanza, energia, etc.).

Il passo successivo può essere l’aggregazione ad una rete per la fornitura di una gamma di prodotti: ovvero non aver in rete un competitor, ma solo delle aziende che insieme, ognuna con i suoi prodotti, generano una gamma diversificata.

La politica dei piccoli passi permette alle aziende di approcciarsi a questa filosofia senza sconvolgimenti e permette di aver il tempo di strutturarsi, di comprendere a pieno come interpretare al meglio le aggregazioni aziendali, anche perché il futuro avrà bisogno di aziende flessibili, creative, effervescenti come le PMI, ma con la capacità di innovare, di investire e di competere delle grandi aziende.