DOPO che i due briganti furono stati preparati, i soldati, sotto il comando di un centurione, partirono per la scena della crocifissione. Il centurione che comandava questi dodici soldati era lo stesso capitano che aveva condotto i soldati romani la notte precedente per arrestare Gesù a Getsemani. I Romani avevano l’abitudine di assegnare quattro soldati ad ogni persona che doveva essere crocifissa. I due briganti furono debitamente flagellati prima di essere portati via per essere crocifissi, ma Gesù non subì nuove punizioni fisiche; senza dubbio il capitano riteneva che egli fosse già stato sufficientemente flagellato prima ancora della sua condanna.
I due ladri crocifissi con Gesù erano collaboratori di Barabba e avrebbero dovuto essere messi a morte più tardi con il loro capo se questi non fosse stato rilasciato in virtù del perdono di Pilato per la Pasqua. Gesù fu così crocifisso al posto di Barabba.
Ciò che Gesù sta ora per fare, sottomettersi alla morte sulla croce, lo fa di sua libera volontà. Predicendo questa esperienza egli disse: “Il Padre mi ama e mi sostiene perché sono disposto ad abbandonare la mia vita. Ma io la riprenderò. Nessuno può togliermi la vita - io l’abbandono da me stesso. Io ho l’autorità per abbandonarla ed ho l’autorità per riprenderla. Ho ricevuto tale comandamento da mio Padre.”
Era poco prima delle nove di questa mattina quando i soldati condussero Gesù dal pretorio verso il Golgota. Essi erano seguiti da molti che simpatizzavano segretamente per Gesù, ma la maggior parte di questo gruppo di duecento o più persone erano suoi nemici o fannulloni curiosi che desideravano semplicemente godere l’emozione di assistere alle crocifissioni. Soltanto alcuni dei dirigenti ebrei andarono a vedere Gesù morire sulla croce. Sapendo che era stato consegnato da Pilato ai soldati romani, e che era condannato a morire, essi si occuparono della loro riunione nel tempio, dove discussero che cosa si dovesse fare dei suoi discepoli.
Prima di lasciare il cortile del pretorio, i soldati posero la trave trasversale sulle spalle di Gesù. Era costume obbligare il condannato a portare la trave trasversale fino al luogo della crocifissione. Tale condannato non portava tutta la croce, ma soltanto questa grossa trave più corta. I pezzi di trave verticali e più lunghi per le tre croci erano già stati trasportati sul Golgota e, quando arrivarono i soldati e i loro prigionieri, erano stati saldamente piantati nel terreno.
Conformemente al costume, il capitano condusse la processione portando delle assicelle bianche su cui erano stati scritti a carboncino i nomi dei criminali e la natura dei crimini per i quali erano stati condannati. Per i due ladri il centurione aveva dei cartelli che indicavano i loro nomi, sotto i quali era scritta la sola parola: “Brigante”. Era costume, dopo che la vittima era stata inchiodata sulla trave trasversale e issata al suo posto sulla trave verticale, d’inchiodare questo cartello sulla sommità della croce, appena sopra la testa del criminale, affinché tutti i testimoni potessero sapere per quale crimine il condannato era crocifisso. La didascalia che il centurione portò per metterlo sulla croce di Gesù era stata scritta da Pilato stesso in latino, in greco e in aramaico, e diceva: “Gesù di Nazaret - il Re dei Giudei.”
Alcune delle autorità ebraiche che erano ancora presenti quando Pilato scrisse questa didascalia protestarono vigorosamente contro la qualifica di Gesù quale “re dei Giudei”. Ma Pilato ricordò loro che tale accusa faceva parte dell’imputazione che aveva portato alla sua condanna. Quando i Giudei videro che non avrebbero potuto influire su Pilato per fargli cambiare idea, chiesero che essa fosse almeno modificata in: “Egli ha detto: ‘Io sono il re dei Giudei.’ ” Ma Pilato fu inflessibile e non volle modificare lo scritto. A tutte le suppliche successive egli si limitò a rispondere: “Ciò che ho scritto, ho scritto.”
Ordinariamente era costume andare al Golgota per la via più lunga, affinché un gran numero di persone potessero vedere il criminale condannato, ma questo giorno essi presero la via più diretta per la porta di Damasco, che portava fuori della città verso nord, e seguendo questo percorso, essi arrivarono presto al Golgota, il luogo ufficiale delle crocifissioni a Gerusalemme. Oltre il Golgota c’erano le ville dei ricchi, e dall’altra parte della strada c’erano le tombe di molti Ebrei benestanti.
La crocifissione non era un genere di punizione ebrea. I Greci e i Romani appresero questo metodo d’esecuzione dai Fenici. Anche Erode, con tutta la sua crudeltà, non faceva ricorso alla crocifissione. I Romani non crocifissero mai un cittadino romano; soltanto schiavi e popoli assoggettati erano sottoposti a questo genere di morte disonorevole. Durante l’assedio di Gerusalemme, giusto quarant’anni dopo la crocifissione di Gesù, tutto il Golgota fu coperto da migliaia e migliaia di croci sulle quali, giorno per giorno, periva il fior fiore della razza ebraica.
Mentre la processione funebre passava lungo le strette vie di Gerusalemme, molte donne ebree dal cuore tenero che avevano ascoltato le parole d’incoraggiamento e di compassione di Gesù, e che conoscevano la sua vita di ministero amorevole, non seppero trattenersi dal piangere quando lo videro condotto verso una morte tanto ignobile. Al suo passaggio molte di queste donne piangevano e si lamentavano. E quando alcune di loro osarono anche seguirlo camminando al suo fianco, il Maestro si volse verso di loro e disse: “Figlie di Gerusalemme, non piangete per me, ma piangete piuttosto per voi stesse e per i vostri figli. La mia opera è quasi terminata - presto io andrò da mio Padre - ma i tempi di terribili afflizioni per Gerusalemme stanno per cominciare. Ecco, stanno per giungere giorni in cui direte: benedette le sterili e quelle il cui seno non ha mai allattato i loro piccoli. In quei giorni voi pregherete le rocce delle colline di cadere su di voi per essere liberate dal terrore delle vostre pene.”
Queste donne di Gerusalemme furono veramente coraggiose a manifestare simpatia per Gesù, perché era severamente proibito dalla legge mostrare sentimenti amichevoli ad uno che stava per essere condotto alla crocifissione. Era solo permesso alla folla schernire, beffeggiare e canzonare il condannato, ma non era permesso esprimere alcuna simpatia. Anche se Gesù apprezzò la manifestazione di simpatia in quest’ora oscura in cui i suoi amici erano nascosti, non volle che queste donne di buon cuore incorressero nel rigore delle autorità per aver osato mostrare compassione nei suoi confronti. Anche in un momento come questo Gesù non pensava affatto a se stesso, ma solo ai terribili giorni di tregenda che aspettavano Gerusalemme e l’intera nazione ebrea.
Mentre il Maestro avanzava faticosamente verso la crocifissione, si sentì molto affaticato; era quasi esausto. Egli non aveva ricevuto né cibo né bevanda dall’Ultima Cena a casa di Elia Marco; né gli era stato permesso di godere di un istante di sonno. Inoltre c’era stato un interrogatorio dopo l’altro fino all’ora della sua condanna, senza menzionare le flagellazioni abusive con le loro conseguenti sofferenze fisiche e perdite di sangue. Sovrapposti a tutto ciò c’erano la sua estrema angoscia mentale, la sua acuta tensione spirituale ed un terribile sentimento di solitudine umana.
Poco dopo aver oltrepassato la porta che conduceva fuori della città, mentre Gesù barcollava portando la trave trasversale, le sue forze fisiche vennero momentaneamente meno ed egli cadde sotto il peso del suo pesante fardello. I soldati inveirono contro di lui e gli diedero dei calci, ma egli non riusciva ad alzarsi. Quando il capitano vide ciò, sapendo quello che Gesù aveva già subito, comandò ai soldati di desistere. Poi ordinò ad un passante, un certo Simone di Cirene, di togliere la trave trasversale dalle spalle di Gesù e lo costrinse a portarla per il resto della strada sino al Golgota.
Questo Simone aveva percorso tutta la strada da Cirene, nell’Africa del Nord, per assistere alla Pasqua. Egli si era fermato con altri Cirenei appena fuori le mura della città e si stava recando in città ad assistere ai servizi del tempio quando il capitano romano gli ordinò di portare la trave trasversale di Gesù. Simone si trattenne per tutto il periodo della morte del Maestro sulla croce, parlando con molti dei suoi amici e con i suoi nemici. Dopo la risurrezione e prima di lasciare Gerusalemme, egli divenne un intrepido credente nel Vangelo del Regno, e quando ritornò a casa fece entrare la sua famiglia nel regno celeste. I suoi due figli, Alessandro e Rufo, divennero degli insegnanti molto efficaci del nuovo Vangelo in Africa. Ma Simone non seppe mai che Gesù, di cui aveva portato il fardello, ed il precettore ebreo che un tempo aveva soccorso suo figlio ferito, erano la stessa persona.
Erano da poco passate le nove quando la processione di morte arrivò al Golgota, e i soldati romani si misero all’opera per inchiodare i due briganti e il Figlio dell’Uomo sulle loro rispettive croci.
I soldati legarono prima le braccia del Maestro alla trave trasversale con delle corde, e poi inchiodarono le sue mani al legno. Quando ebbero issato questa trave trasversale sul montante, e dopo averla solidamente inchiodata sulla trave verticale della croce, essi legarono e inchiodarono i suoi piedi al legno usando un solo chiodo lungo per forare entrambi i piedi. La trave verticale aveva un grosso piolo inserito ad altezza adeguata, che serviva come una specie di sellino per sostenere il peso del corpo. La croce non era alta; i piedi del maestro erano solo a circa un metro dal suolo. Egli fu perciò in grado di udire tutto ciò che fu detto di lui per deriderlo e di distinguere bene l’espressione del viso di tutti coloro che si burlarono così irriguardosamente di lui. Ed anche coloro che erano presenti poterono udire facilmente tutto ciò che Gesù disse durante queste ore di prolungata tortura e di morte lenta.
Era costume togliere tutti i vestiti a coloro che stavano per essere crocifissi, ma poiché gli Ebrei si opponevano grandemente all’esposizione pubblica della figura umana nuda, i Romani mettevano sempre un’apposita fascia ai fianchi di tutte le persone crocifisse a Gerusalemme. Di conseguenza, dopo che furono tolte le vesti a Gesù, egli fu cinto in tal modo prima di essere messo sulla croce.
Si ricorreva alla crocifissione per infliggere una punizione crudele e prolungata; la vittima talvolta non moriva che dopo parecchi giorni. A Gerusalemme c’era un considerevole sentimento di opposizione alla crocifissione, ed esisteva un’associazione di donne ebree che mandava sempre una rappresentante alle crocifissioni per offrire alla vittima del vino drogato per diminuire le sue sofferenze. Ma quando Gesù assaggiò questo vino narcotizzato, benché egli fosse assetato, rifiutò di berlo. Il Maestro scelse di conservare la sua coscienza umana fino all’estremo. Egli voleva affrontare la morte, anche sotto questa forma crudele e disumana, e vincerla con la sottomissione volontaria alla piena esperienza umana.
Prima che Gesù fosse messo sulla sua croce, i due briganti erano già stati posti sulle loro croci, maledicendo continuamente i loro carnefici e sputando su di loro. Le sole parole di Gesù mentre lo inchiodavano sulla trave trasversale furono: “Padre, perdona loro, perché non sanno quello che fanno.” Egli non avrebbe potuto intercedere con tanta misericordia ed amore per i suoi carnefici se questi pensieri di devozione affettuosa non fossero stati il movente principale di tutta la sua vita di servizio altruista. Le idee, i moventi e i desideri ardenti di tutta una vita si rivelano apertamente in una crisi.
Dopo che il Maestro fu issato sulla croce, il capitano inchiodò il titolo sopra la sua testa, e vi si leggeva in tre lingue: “Gesù di Nazaret - il Re dei Giudei.” I Giudei erano infuriati per questo presunto insulto. Ma Pilato era irritato per le loro maniere irriverenti; egli sentiva di essere stato intimidito e umiliato, e adottò questo metodo per ottenere una meschina vendetta. Egli avrebbe potuto scrivere: “Gesù, un ribelle.” Ma egli sapeva bene quanto questi Ebrei di Gerusalemme detestavano il nome stesso di Nazaret, ed era determinato ad umiliarli in questo modo. Egli sapeva anche che essi sarebbero stati feriti proprio nel vivo vedendo chiamare questo Galileo giustiziato “il Re dei Giudei”.
Molti dirigenti ebrei, quando seppero come Pilato aveva cercato di prenderli in giro ponendo questa iscrizione sulla croce di Gesù, si affrettarono ad andare sul Golgota, ma non osarono tentare di rimuoverla perché i soldati romani montavano la guardia. Non potendo rimuovere il titolo, questi capi si mescolarono alla folla e fecero tutto il possibile per incitare alla derisione e allo scherno, per timore che qualcuno prendesse sul serio l’iscrizione.
L’apostolo Giovanni, con Maria madre di Gesù, Rut e Giuda, arrivò sulla scena subito dopo che Gesù era stato issato nella sua posizione sulla croce, e nel momento in cui il capitano stava inchiodando il titolo sopra la testa del Maestro. Giovanni fu il solo degli undici apostoli ad assistere alla crocifissione, ed anche lui non fu presente per tutto il tempo, perché corse a Gerusalemme per condurre qui sua madre e le sue amiche subito dopo aver condotto sulla scena la madre di Gesù.
Quando Gesù vide sua madre con Giovanni, suo fratello e sua sorella, sorrise ma non disse nulla. Nel frattempo i quattro soldati assegnati alla crocifissione del Maestro avevano diviso, secondo il costume, le sue vesti tra di loro: uno prese i sandali, uno il turbante, uno la cintura e il quarto il mantello. Restava la tunica, o veste senza cintura che scendeva quasi fino alle ginocchia, da essere tagliata in quattro pezzi, ma quando i soldati videro quanto fosse insolita questa veste, decisero di trarla a sorte. Gesù li osservava mentre essi si dividevano i suoi vestiti e la folla irriverente si burlava di lui.
Fu un bene che i soldati romani si fossero impossessati delle vesti del Maestro. Altrimenti, se i suoi discepoli avessero preso possesso di queste vesti, sarebbero stati tentati di farne delle reliquie oggetto di adorazione superstiziosa. Il Maestro desiderava che i suoi discepoli non avessero niente di materiale da associare alla sua vita terrena. Egli voleva lasciare all’umanità soltanto il ricordo di una vita umana dedicata all’alto ideale spirituale di essere consacrato a fare la volontà del Padre.
Verso le nove e mezzo di questo venerdì mattina Gesù fu appeso alla croce. Prima delle undici più di mille persone si erano riunite per assistere a questo spettacolo della crocifissione del Figlio dell’Uomo. Durante queste ore terribili le schiere invisibili dell’ Universo stavano ad osservare in silenzio questo fenomeno straordinario del Creatore che stava morendo della morte della creatura, addirittura della morte più infamante di un criminale condannato.
Vicino alla croce, in un momento o in altro durante la crocifissione, ci furono Maria, Rut, Giuda, Giovanni, Salomè (madre di Giovanni) ed un gruppo di donne sincere credenti tra cui Maria, la moglie di Clopa e sorella della madre di Gesù, Maria Maddalena e Rebecca, un tempo abitante a Sefforis. Questi ed altri amici di Gesù rimasero in silenzio ad osservare la sua grande pazienza e forza d’animo e videro le sue intense sofferenze.
Molti passanti scuotevano la testa e, inveendo contro di lui, dicevano: “Tu che volevi distruggere il tempio e ricostruirlo in tre giorni, salva te stesso. Se sei il Figlio di Dio, perché non scendi dalla tua croce?” In maniera analoga alcuni dirigenti ebrei si burlavano di lui dicendo: “Ha salvato gli altri, ma non può salvare se stesso.” Altri dicevano: “Se sei il re dei Giudei, scendi dalla croce e crederemo in te.” E più tardi si burlarono ancora di più di lui dicendo: “Si è affidato a Dio perché lo liberi. Ha anche affermato di essere il Figlio di Dio - guardatelo ora - crocifisso tra due ladri.” Anche i due ladri inveirono contro di lui e lo riempirono d’insulti.
Poiché Gesù non replicava alcunché ai loro sarcasmi, e poiché si avvicinava il mezzodì di questo giorno speciale di preparazione, alle undici e mezzo la maggior parte della folla che lo derideva e beffeggiava se n’era andata; rimasero sulla scena meno di cinquanta persone. I soldati si prepararono ora a mangiare il loro pasto e a bere il loro vino aspro e scadente, disponendosi per la lunga veglia ai moribondi. Mentre bevevano il loro vino, essi fecero un brindisi derisorio a Gesù dicendo: “Salute e buona fortuna! Al re dei Giudei.” Ed essi furono stupiti nel vedere l’espressione tollerante del Maestro di fronte alle loro derisioni e alle loro beffe.
Quando Gesù li vide mangiare e bere, guardò verso di loro e disse: “Ho sete.” Quando il capitano della guardia udì Gesù dire “ho sete”, prese un po’ di vino dalla sua bottiglia e, appuntando il tappo spugnoso impregnato sull’estremità di un giavellotto, lo alzò fino a Gesù perché potesse inumidire le sue labbra inaridite.
Gesù aveva deciso di vivere senza ricorrere al suo potere soprannaturale, e similmente scelse di morire sulla croce come un mortale ordinario. Egli era vissuto come un uomo e voleva morire come un uomo - facendo la volontà del Padre.
Uno dei briganti inveì contro Gesù dicendo: “Se tu sei il Figlio di Dio, perché non salvi te stesso e noi?” Ma quando ebbe rimproverato Gesù, l’altro ladro, che aveva ascoltato molte volte il Maestro insegnare, disse: “Non hai paura nemmeno di Dio? Non vedi che noi stiamo soffrendo giustamente per le nostre azioni, ma che quest’uomo soffre ingiustamente? Faremmo meglio a cercare il perdono per i nostri peccati e la salvezza per la nostra anima.” Quando Gesù udì il ladro dire questo, volse il suo viso verso di lui e sorrise in segno di approvazione. Quando il malfattore vide il viso di Gesù girato verso di lui, fece appello al suo coraggio, ravvivò la fiamma tremolante della sua fede e disse: “Signore, ricordati di me quando entrerai nel tuo regno.” Ed allora Gesù disse: “In verità, in verità ti dico oggi, tu sarai un giorno con me in Paradiso.”
Il Maestro ebbe il tempo, in mezzo ai tormenti della morte mortale, di ascoltare la confessione di fede del brigante credente. Quando questo ladro cercò la salvezza, trovò la liberazione. Molte volte in precedenza egli era stato tentato di credere in Gesù, ma solo in queste ultime ore di coscienza si volse con tutto il suo cuore verso l’insegnamento del Maestro. Quando vide il modo in cui Gesù affrontava la morte sulla croce, questo ladro non poté resistere più a lungo alla convinzione che questo Figlio dell’Uomo era in verità il Figlio di Dio.
Durante questo episodio della conversione e dell’accoglimento del ladro nel regno da parte di Gesù, l’apostolo Giovanni era assente, essendo andato in città per condurre sua madre e le sue amiche sulla scena della crocifissione. Luca seppe successivamente questa storia dal capitano romano delle guardie convertito.
L’apostolo Giovanni parlò della crocifissione come ricordava il fatto dopo due terzi di secolo dall’avvenimento. Le altre esposizioni furono basate sul racconto del centurione romano di servizio il quale, a causa di ciò che vide e udì, credette successivamente in Gesù ed entrò pienamente nella comunità del regno dei cieli sulla terra.
Questo giovane uomo, il brigante pentito, era stato portato ad una vita di violenza e di misfatti da coloro che esaltavano una tale missione di ruberie come un’efficace protesta patriottica contro l’oppressione politica e l’ingiustizia sociale. Questo genere d’insegnamento, aggiunto allo stimolo per l’avventura, portò molti giovani altrimenti ben intenzionati ad arruolarsi in queste audaci spedizioni di ruberie. Questo giovane aveva considerato Barabba un eroe. Ora vedeva che si era ingannato. Qui sulla croce accanto a lui vedeva un uomo realmente grande, un vero eroe. Qui c’era un eroe che infiammava il suo zelo ed ispirava le sue più alte idee di dignità morale, e ravvivava i suoi ideali di coraggio, di risolutezza e di audacia. Osservando Gesù, crebbe nel suo cuore un sentimento irresistibile d’amore, di lealtà e di autentica grandezza.
E se qualche altra persona tra la folla che scherniva avesse sentito nascere la fede nella sua anima ed avesse fatto appello alla misericordia di Gesù, sarebbe stata accolta con la stessa affettuosa considerazione mostrata verso il brigante credente.
Subito dopo che il ladro pentito udì la promessa del Maestro che si sarebbero incontrati un giorno in Paradiso, Giovanni ritornò dalla città conducendo con lui sua madre ed un gruppo di una dozzina di donne credenti. Giovanni riprese il suo posto accanto a Maria, madre di Gesù, sostenendola. Suo figlio Giuda stava dall’altra parte. Quando Gesù posò il suo sguardo su questa scena era mezzogiorno, e disse a sua madre: “Donna, ecco tuo figlio!” E parlando a Giovanni disse: “Figlio mio, ecco tua madre!” Poi si rivolse ad entrambi dicendo: “Desidero che vi allontaniate da questo luogo.” E così Giovanni e Giuda condussero via Maria dal Golgota. Giovanni portò la madre di Gesù nel luogo in cui egli alloggiava a Gerusalemme e poi si affrettò a ritornare nel luogo della crocifissione.
Dopo che Maria si fu allontanata, le altre donne si ritirarono a breve distanza e rimasero in attesa fino a che Gesù spirò sulla croce, ed esse erano ancora là quando il corpo del Maestro fu tirato giù per essere sepolto.
Benché fosse presto in questa stagione per un tale fenomeno, poco dopo le dodici il cielo si oscurò a ragione della sabbia fine nell’aria. La popolazione di Gerusalemme sapeva che ciò significava l’arrivo di una di quelle tempeste di sabbia con vento caldo provenienti dal deserto d’Arabia. Prima dell’una il cielo era talmente buio da oscurare il sole, e il resto della folla si affrettò a rientrare in città. Quando il Maestro abbandonò la sua vita poco dopo quest’ora, erano presenti meno di trenta persone, soltanto i tredici soldati romani e un gruppo di una quindicina di credenti. Questi credenti erano tutti donne eccetto due, Giuda, il fratello di Gesù e Giovanni Zebedeo, che era tornato sul posto poco prima che il Maestro spirasse.
Poco dopo l’una, tra la crescente oscurità della violenta tempesta di sabbia, Gesù cominciò a perdere la sua coscienza umana. Le sue ultime parole di misericordia, di perdono e di esortazione erano state pronunciate. Il suo ultimo desiderio - concernente la cura di sua madre - era stato espresso. Durante quest’ora dell’approssimarsi della morte, la mente umana di Gesù ricorse alla ripetizione di molti passaggi delle Scritture ebraiche, particolarmente dei Salmi. L’ultimo pensiero cosciente del Gesù umano riguardò la ripetizione mentale di una parte del Libro dei Salmi ora conosciuta come Salmi ventesimo, ventunesimo e ventiduesimo.
Mentre le sue labbra si muovevano spesso, egli era troppo debole per pronunciare le parole mentre questi passaggi, che conosceva così bene a memoria, passavano per la sua mente. Solo poche volte coloro che si trovavano vicino afferrarono qualche citazione, quale: “So che il Signore salverà il suo unto”, “La tua mano scoprirà tutti i miei nemici” e “Dio mio, Dio mio, perché mi hai abbandonato?” Gesù non ebbe per un solo istante il minimo dubbio di aver vissuto conformemente alla volontà del Padre, e non dubitò mai che stava abbandonando ora la sua vita nella carne conformemente alla volontà di suo Padre. Egli non pensava che il Padre l’avesse abbandonato; stava soltanto recitando nella sua coscienza che svaniva numerose Scritture, tra cui questo Salmo ventiduesimo, che comincia con “Dio mio, Dio mio, perché mi hai abbandonato?” E capitò che questo fu uno dei tre passaggi che furono pronunciati con sufficiente chiarezza da essere uditi da coloro che stavano vicino.
L’ultima richiesta che il Gesù mortale fece ai suoi simili fu formulata verso l’una e mezzo quando, una seconda volta, disse: “Ho sete”, e lo stesso capitano della guardia umettò di nuovo le sue labbra con la stessa spugna impregnata nel vino aspro, in quel tempo comunemente chiamato aceto.
La tempesta di sabbia crebbe d’intensità e il cielo si oscurò sempre di più. I soldati e il piccolo gruppo di credenti stavano là. I soldati si rannicchiarono vicino alla croce, raggomitolati insieme per proteggersi dalla sabbia sferzante. La madre di Giovanni ed altre persone osservavano a distanza da un luogo in cui erano un po’ riparate da una roccia sovrastante. Quando il Maestro rese infine il suo ultimo respiro, erano presenti ai piedi della sua croce Giovanni Zebedeo, Giuda fratello di Gesù, sua sorella Rut, Maria Maddalena e Rebecca, un tempo dimorante a Sefforis.
Era poco prima delle tre quando Gesù esclamò ad alta voce: “È finita! Padre, rimetto il mio spirito nelle tue mani.” E dopo che ebbe parlato così, reclinò il capo e abbandonò la lotta per la vita. Quando il centurione romano vide come Gesù era morto, si batté il petto e disse: “Questo era davvero un uomo retto; deve essere stato veramente un Figlio di Dio.” E da quel momento egli cominciò a credere in Gesù.
Gesù morì realmente - così come aveva vissuto. Egli ammise francamente la sua regalità e rimase padrone della situazione per tutto quel tragico giorno. Andò volontariamente verso la sua morte infamante, dopo aver provveduto alla salvezza dei suoi apostoli scelti. Egli impedì saggiamente a Pietro di causare disordini con la sua violenza e fece in modo che Giovanni potesse restare vicino a lui sino alla fine della sua esistenza di mortale. Rivelò la sua vera natura al crudele Sinedrio e ricordò a Pilato la fonte della sua autorità sovrana come Figlio di Dio. Egli partì per il Golgota portando la sua trave trasversale e terminò il suo conferimento d’amore rimettendo il suo spirito che aveva acquisito come mortale al Padre del Paradiso. Dopo una tale vita - e al momento di una tale morte - il Maestro poté veramente dire: “È finita.”
Poiché questo era il giorno della preparazione sia alla Pasqua che al sabato, gli Ebrei non volevano che questi corpi rimanessero esposti sul Golgota. Perciò essi andarono da Pilato per chiedere che le gambe di questi tre uomini fossero spezzate e che fosse dato loro il colpo di grazia, in modo che potessero essere tolti dalla croce e gettati nelle fosse funebri prima del tramonto. Quando Pilato udì questa richiesta, mandò subito tre soldati a spezzare le gambe e a dare il colpo di grazia a Gesù e ai due briganti.
Quando questi soldati arrivarono al Golgota, agirono di conseguenza sui due ladri, ma, con loro grande sorpresa, trovarono Gesù già morto. Tuttavia, per essere certi della sua morte, uno dei soldati trafisse il suo fianco sinistro con la lancia. Sebbene fosse comune per le vittime della crocifissione rimanere in vita sulla croce per due o tre giorni, l’opprimente agonia emotiva e l’acuta angoscia spirituale di Gesù provocarono la fine della sua vita mortale nella carne in poco meno di cinque ore e mezza.
In mezzo all’oscurità della tempesta di sabbia, verso le tre e mezzo, Davide Zebedeo mandò l’ultimo dei messaggeri a portare la notizia della morte del Maestro. Egli inviò l’ultimo dei suoi corrieri a casa di Marta e di Maria a Betania, dove supponeva che la madre di Gesù si trovasse con il resto della sua famiglia.
Dopo la morte del Maestro, Giovanni mandò le donne, sotto la guida di Giuda, a casa di Elia Marco, dove esse stettero fino al giorno dopo il sabato. Quanto a Giovanni, essendo ormai ben conosciuto dal centurione romano, rimase sul Golgota fino a quando arrivarono sul posto Giuseppe e Nicodemo con un ordine di Pilato che li autorizzava a prendere possesso del corpo di Gesù.
Così terminò un giorno di tragedia e di dolore per un vasto Universo, le cui miriadi d’intelligenze erano rabbrividite di fronte allo scioccante spettacolo della crocifissione dell’incarnazione umana del loro amato Sovrano; esse erano sconvolte da questa esibizione d’insensibilità mortale e di perversità umana.
IL GIORNO e mezzo in cui il corpo mortale di Gesù rimase nella tomba di Giuseppe, il periodo tra la sua morte sulla croce e la sua risurrezione, è un capitolo incerto dell’incarico terreno di Gesù. Non è possibile ipotizzare cosa successe a Gesù durante questo periodo di circa trentasei ore, dalle tre del pomeriggio di venerdì alle tre di domenica mattina. Questo periodo dell’incarico del Maestro cominciò poco prima che fosse tolto dalla croce dai soldati romani. Egli rimase sulla croce per circa un’ora dopo la sua morte. Ne sarebbe stato tolto più presto se non fosse stato per il ritardo dovuto a dare il colpo di grazia ai due briganti.
I dirigenti degli Ebrei avevano progettato che il corpo di Gesù fosse gettato nelle fosse comuni, a cielo aperto, della Geenna, a sud della città; era costume sbarazzarsi in tal modo delle vittime della crocifissione. Se questo piano fosse stato seguito, il corpo del Maestro sarebbe stato abbandonato alle bestie feroci.
Nel frattempo, Giuseppe d’Arimatea, accompagnato da Nicodemo, era andato da Pilato e chiese che il corpo di Gesù fosse consegnato loro per un’adeguata sepoltura. Non era raro che gli amici delle persone crocifisse offrissero delle regalie alle autorità romane per avere il privilegio di entrare in possesso di tali corpi. Giuseppe si presentò a Pilato con una forte somma di denaro, nel caso fosse stato necessario pagare per l’autorizzazione a trasportare il corpo di Gesù in una tomba funebre privata. Ma Pilato non volle accettare del denaro per questo. Dopo aver ascoltato la richiesta, egli scrisse rapidamente l’ordine che autorizzava Giuseppe a recarsi al Golgota e a prendere immediato e pieno possesso del corpo del Maestro. Nel frattempo, essendo la tempesta di sabbia considerevolmente diminuita, un gruppo di Ebrei rappresentanti il Sinedrio era partito per il Golgota per assicurarsi che il corpo di Gesù fosse portato con quelli dei briganti nelle fosse pubbliche aperte di sepoltura.
Quando Giuseppe e Nicodemo arrivarono al Golgota, trovarono i soldati che tiravano giù Gesù dalla croce e i rappresentanti del Sinedrio presenti per vedere che nessuno dei discepoli di Gesù impedisse che il suo corpo fosse gettato nelle fosse di sepoltura dei criminali. Quando Giuseppe presentò al centurione l’ordine di Pilato per il corpo del Maestro, gli Ebrei sollevarono un tumulto e protestarono per il suo possesso. Nella loro furia, essi cercarono d’impadronirsi con la forza del corpo, e quando fecero questo, il centurione chiamò quattro dei suoi soldati al suo fianco, e con le spade sguainate si posero a cavalcioni del corpo del Maestro che giaceva là al suolo. Il centurione ordinò agli altri soldati di abbandonare i due ladri e di respingere questa marmaglia adirata di Ebrei infuriati.
Quando l’ordine fu ristabilito, il centurione lesse agli Ebrei l’autorizzazione di Pilato e, facendosi da parte, disse a Giuseppe: “Questo corpo è tuo per farne ciò che ritieni opportuno. Io e i miei soldati ti accompagneremo per assicurarci che nessuno interferisca.”
Una persona crocifissa non poteva essere sepolta in un cimitero ebreo; c’era una legge severa contro tale procedura. Giuseppe e Nicodemo conoscevano questa legge, e andando al Golgota avevano deciso di seppellire Gesù nella nuova tomba di famiglia di Giuseppe, scavata nella solida roccia e situata a breve distanza, a nord del Golgota, dall’altro lato della strada che portava in Samaria. Nessuno era mai stato sepolto in questa tomba, ed essi ritennero appropriato che il Maestro riposasse là. Giuseppe credeva realmente che Gesù sarebbe risuscitato dalla morte, ma Nicodemo era molto scettico. Questi vecchi membri del Sinedrio avevano mantenuto la loro fede in Gesù più o meno segreta, benché i loro colleghi Sacerdoti del Sinedrio li avessero sospettati da lungo tempo, ancor prima che si ritirassero dal consiglio. Da questo momento in poi essi furono i discepoli più espliciti di Gesù in tutta Gerusalemme.
Verso le quattro e mezzo la processione funebre di Gesù di Nazaret partì dal Golgota per la tomba di Giuseppe dall’altro lato della strada. Il corpo era avvolto in un lenzuolo di lino e portato da quattro uomini, seguiti dalle fedeli donne di Galilea rimaste a vegliare. I mortali che portarono il corpo materiale di Gesù alla tomba erano: Giuseppe, Nicodemo, Giovanni e il centurione romano.
Essi portarono il corpo nella tomba, una camera quadrata di circa tre metri di lato, dove lo prepararono in fretta per la sepoltura. Gli Ebrei in realtà non seppellivano i loro morti; essi di fatto li imbalsamavano. Giuseppe e Nicodemo avevano portato con loro grandi quantità di mirra e di aloe, ed avvolsero ora il corpo con delle bende impregnate di queste soluzioni. Quando l’imbalsamazione fu completata, essi legarono una benda attorno al viso, avvolsero il corpo in un lenzuolo di lino e lo posarono rispettosamente su un ripiano della tomba.
Dopo aver posto il corpo nella tomba, il centurione fece segno ai suoi soldati di aiutare a rotolare la pietra di chiusura davanti all’entrata della tomba. I soldati partirono poi per la Geenna con i corpi dei due ladri, mentre gli altri ritornarono tristemente a Gerusalemme per celebrare la festa della Pasqua in conformità alle leggi di Mosè.
Ci fu una considerevole fretta e furia nella sepoltura di Gesù perché questo era il giorno di preparazione, ed il sabato si avvicinava velocemente. Gli uomini si affrettarono a tornare in città, ma le donne si attardarono vicino alla tomba fino a che fu molto buio.
Mentre si svolgeva tutto ciò, le donne si erano nascoste nelle vicinanze, cosicché videro tutto ed osservarono dove il Maestro era stato posto. Esse si tenevano nascoste così perché non era permesso alle donne di associarsi agli uomini in tali momenti. Queste donne non ritenevano che Gesù fosse stato convenientemente preparato per la sepoltura, e si misero d’accordo di tornare a casa di Giuseppe, di riposarsi tutto il sabato, di preparare degli aromi e degli unguenti, e di ritornare la domenica mattina per preparare adeguatamente il corpo del Maestro per il riposo funebre. Le donne che si attardarono così presso la tomba questo venerdì sera erano: Maria Maddalena, Maria moglie di Clopa, Marta (un’altra sorella della madre di Gesù) e Rebecca di Sefforis.
All’infuori di Davide Zebedeo e di Giuseppe d’Arimatea, pochissimi discepoli di Gesù credettero realmente o compresero che egli doveva risuscitare il terzo giorno.
Se i discepoli di Gesù si dimenticarono della sua promessa di risuscitare il terzo giorno, non lo fecero i suoi nemici. I capi dei sacerdoti, i Farisei e i Sadducei si ricordarono di aver ricevuto dei rapporti sulla sua dichiarazione che egli sarebbe risuscitato dalla morte.
Questo venerdì sera verso mezzanotte, dopo la cena di Pasqua, un gruppo di dirigenti ebrei si riunì a casa di Caifa, dove discussero dei loro timori concernenti le asserzioni del Maestro che sarebbe risuscitato dalla morte il terzo giorno. Questa riunione terminò con la nomina di un comitato di Sacerdoti del Sinedrio che andasse da Pilato il giorno dopo presto, portando la richiesta ufficiale del Sinedrio che una guardia romana fosse posta davanti alla tomba di Gesù per impedire ai suoi amici di accedervi. Il portavoce di questo comitato disse a Pilato: “Signore, noi ricordiamo che questo imbroglione, Gesù di Nazaret, disse, mentre era ancora in vita: ‘Dopo tre giorni io risusciterò’. Noi siamo venuti perciò da te a chiederti d’impartire degli ordini tali da proteggere il sepolcro dai suoi discepoli, almeno fino a dopo il terzo giorno. Noi temiamo grandemente che i suoi discepoli vengano a portarlo via di notte per proclamare poi al popolo che egli è risuscitato dalla morte. Se noi permettessimo che avvenisse ciò, questo errore sarebbe ben maggiore che se gli avessimo permesso di vivere.”
Dopo aver ascoltato questa richiesta dei Sacerdoti del Sinedrio, Pilato disse: “Vi darò una guardia di dieci soldati. Andate e proteggete la tomba.” Essi ritornarono al tempio, riunirono dieci delle loro guardie, e poi andarono alla tomba di Giuseppe con queste dieci guardie ebree e i dieci soldati romani, benché fosse sabato mattina, per metterli di guardia davanti alla tomba. Questi uomini rotolarono ancora un’altra pietra davanti alla tomba e apposero il sigillo di Pilato sopra e attorno a queste pietre, per paura che fossero spostate a loro insaputa. E questi venti uomini rimasero di guardia fino all’ora della risurrezione, e gli Ebrei portarono loro da mangiare e da bere.
Per tutto questo giorno di sabato i discepoli e gli apostoli rimasero nascosti, mentre tutta Gerusalemme parlava della morte di Gesù sulla croce. C’era quasi un milione e mezzo di Ebrei presenti a Gerusalemme in questo periodo, provenienti da tutte le parti dell’Impero Romano e dalla Mesopotamia. Era l’inizio della settimana di Pasqua, e tutti questi pellegrini volevano essere nella città per avere notizie della risurrezione di Gesù e riportarle a casa loro.
Nella tarda serata di sabato, Giovanni Marco invitò gli undici apostoli a venire segretamente a casa di suo padre, dove, poco prima di mezzanotte, essi erano tutti riuniti nella stessa sala al piano superiore in cui due sere prima avevano consumato l’Ultima Cena con il loro Maestro.
Maria madre di Gesù, con Rut e Giuda, ritornarono a Betania per unirsi alla loro famiglia questo sabato sera poco prima del tramonto. Davide Zebedeo rimase a casa di Nicodemo, dove era d’accordo con i suoi messaggeri di riunirsi domenica mattina presto. Le donne di Galilea, che avevano preparato gli aromi per imbalsamare meglio il corpo di Gesù, si fermarono a casa di Giuseppe d’Arimatea.
Sebbene Gesù non sia morto sulla croce per espiare la colpa dell’uomo mortale, né per procurare una sorta di approccio effettivo ad un Dio altrimenti offeso ed implacabile; anche se il Figlio dell’Uomo non si è offerto come un sacrificio per placare la collera di Dio ed aprire ai peccatori la via della salvezza; nonostante che queste idee di espiazione e di propiziazione siano errate, tuttavia vi sono dei significati collegati a questa morte di Gesù sulla croce che non dovrebbero essere trascurati. È un fatto che la Terra sia divenuta nota nell’Universo come il “Mondo della Croce”.
Gesù desiderava vivere una vita mortale completa nella carne sulla Terra. La morte è ordinariamente una parte della vita. La morte è l’ultimo atto del dramma della vita. Nello sforzo di rifuggire dagli errori superstiziosi della falsa interpretazione del significato della morte sulla croce, tuttavia bisogna stare attenti a non commettere l’ errore di mancare di percepire il vero significato e l’autentica importanza della morte del Maestro.
L’uomo mortale non era mai stato proprietà dei super-ingannatori. Gesù non morì per riscattare l’uomo dalle grinfie dei prìncipi decaduti delle sfere celesti. Il Padre che è nei cieli non ha mai concepito la grossolana ingiustizia di condannare un’anima mortale a causa dei misfatti dei suoi antenati. Né la morte del Maestro sulla croce è stata un sacrificio consistente nello sforzo di pagare a Dio un debito che la razza umana aveva contratto verso di lui.
Prima che Gesù fosse vissuto sulla terra, si poteva forse credere in un tale Dio, ma non dopo che il Maestro visse e morì tra i mortali. Mosè insegnò la dignità e la giustizia di un Dio Creatore; ma Gesù descrisse l’amore e la misericordia di un Padre Celeste.
La tendenza a fare il male può essere ereditaria o dettata da circostanze particolari, ma il peccato non è mai trasmesso da genitore a figlio. Il peccato è l’atto di ribellione cosciente e deliberata contro la volontà del Padre e le leggi del Figlio da parte di una singola creatura dotata di volontà.
Gesù visse e morì per l’intero Universo, non soltanto per la razza umana. Il conferimento di Gesù sulla Terra illuminò grandemente per tutti la via della salvezza; la sua morte contribuì molto a rendere per sempre evidente la certezza della sopravvivenza dei mortali dopo la morte nella carne.
Benché non sia appropriato parlare di Gesù come di un sacrificatore, di un riscattatore o di un redentore, è del tutto corretto definirlo un salvatore. Egli rese per sempre la via della salvezza (della sopravvivenza) più chiara e certa; egli mostrò meglio e con più sicurezza la via della salvezza a tutti i mortali dell’Universo.
Una volta accettata l’idea di Dio come Padre vero e amorevole, il solo concetto che Gesù abbia mai insegnato, devono essere immediatamente, in tutta coerenza, abbandonate completamente tutte quelle nozioni primitive su Dio di un monarca offeso, di un sovrano severo ed onnipotente il cui principale piacere è di scoprire i suoi sudditi mentre commettono delle cattive azioni e nel badare che siano adeguatamente puniti, a meno che un essere quasi uguale a lui non accetti volontariamente di soffrire per loro, di morire come un sostituto ed in loro vece. L’intera idea di redenzione e di espiazione è incompatibile con il concetto di Dio quale fu insegnato ed esemplificato da Gesù di Nazaret. L’amore infinito di Dio non è secondario a nulla nella natura divina.
Tutto questo concetto di espiazione e di salvezza sacrificale è radicato e fondato nell’egoismo. Gesù insegnò che il servizio verso i propri simili è il concetto più elevato della fraternità dei credenti nello spirito. La salvezza dovrebbe essere considerata come acquisita da coloro che credono nella paternità di Dio. La principale preoccupazione del credente non dovrebbe essere il desiderio egoista della salvezza personale, ma piuttosto il bisogno altruista di amare, e perciò di servire, i propri simili, come Gesù ha amato e servito gli uomini mortali.
I credenti sinceri non si preoccupano nemmeno tanto della punizione futura del peccato. Il vero credente s’interessa soltanto dell’attuale separazione da Dio. È vero, dei padri saggi possono castigare i loro figli, ma fanno tutto ciò con amore e a scopo correttivo. Essi non puniscono con collera, né castigano per punizione.
Anche se Dio fosse il severo e legale monarca dell’ Universo in cui la giustizia regna sovrana, certamente non sarebbe soddisfatto del piano infantile di sostituire una vittima innocente ad un trasgressore colpevole.
L’intera idea del riscatto dell’espiazione pone la salvezza su un piano d’irrealtà; un tale concetto è puramente filosofico. La salvezza umana è reale; essa è basata su due realtà che possono essere colte dalla fede della creatura ed incorporate così nell’esperienza umana individuale: il fatto della paternità di Dio e la sua verità correlata, la fratellanza degli uomini. È vero, dopotutto, che vi saranno “rimessi i nostri debiti, così come noi li rimettete ai nostri debitori”.
La croce di Gesù mostra la piena misura della devozione suprema del vero pastore ai membri, anche indegni, del suo gregge. Essa pone per sempre tutte le relazioni tra Dio e l’uomo sulla base della famiglia. Dio è il Padre; l’uomo è suo figlio. L’amore, l’amore di un padre per suo figlio, diviene la verità centrale delle relazioni nell’Universo tra Creatore e creatura - non la giustizia di un re che cerca soddisfazione nelle sofferenze e nella punizione del suddito che commette il male.
La croce dimostra per sempre che l’atteggiamento di Gesù verso i peccatori non era né una condanna né un’indulgenza, ma piuttosto la salvezza eterna e amorevole. Gesù è veramente un salvatore nel senso che la sua vita e la sua morte conquistano gli uomini alla bontà e ad una giusta sopravvivenza. Gesù ama talmente gli uomini che il suo amore suscita una risposta d’amore nel cuore umano. L’amore è veramente contagioso ed eternamente creativo. La morte di Gesù sulla croce dona l’esempio di un amore che è sufficientemente forte e divino da perdonare il peccato e da assorbire ogni malvagità. Gesù rivelò a questo mondo una qualità di rettitudine superiore alla giustizia - alla semplice tecnica del bene e del male.
L’amore divino non si limita a perdonare i torti; li assorbe e li distrugge realmente. Il perdono d’amore trascende totalmente il perdono di misericordia. La misericordia attribuisce ad una sola parte la colpa di fare il male; ma l’amore distrugge per sempre il peccato ed ogni debolezza che ne deriva. Gesù portò un nuovo modo di vivere sulla Terra. Egli non insegnò a resistere al male, ma a trovare tramite lui una bontà che distrugge efficacemente il male.
Il perdono di Gesù non è un’indulgenza; esso è salvezza dalla condanna. La salvezza non ignora i torti; li corregge. Il vero amore non viene a compromesso con l’odio né lo perdona; esso lo distrugge. L’amore di Gesù non si accontenta mai del semplice perdono. L’amore del Maestro implica la riabilitazione, la sopravvivenza eterna. È del tutto corretto parlare di salvezza come di redenzione se s’intende questa riabilitazione eterna.
Gesù, con il potere del suo amore personale per gli uomini, poté spezzare la presa del peccato e del male. Egli rese così gli uomini liberi di scegliere dei modi di vita migliori. Gesù presentò una liberazione dal passato che, in se stessa, prometteva un trionfo per il futuro. Il perdono procurava così la salvezza.
La bellezza dell’amore divino, quando è pienamente accolto nel cuore umano, distrugge per sempre il fascino del peccato ed il potere del male.
Le sofferenze di Gesù non furono limitate alla crocifissione. In realtà Gesù di Nazaret passò più di venticinque anni sulla croce di un’esistenza mortale reale ed intensa. Il vero valore della croce consiste nel fatto che essa fu l’espressione suprema e finale del suo amore, il completamento della rivelazione della sua misericordia.
Il trionfo della morte sulla croce è tutto riassunto nello spirito dell’atteggiamento di Gesù verso coloro che lo aggredivano. Egli fece della croce un simbolo eterno del trionfo dell’amore sull’odio e della vittoria della verità sul male quando pregò: “Padre, perdona loro, perché non sanno quello che fanno.” Quella devozione d’amore fu contagiosa in tutto l’ Universo; i discepoli la presero dal loro Maestro. Il primo insegnante del suo Vangelo che fu chiamato a donare la vita per questo servizio, disse, mentre lo lapidavano a morte: “Che questo peccato non ricada su di loro.”
La croce fu un appello supremo a ciò che c’è di meglio nell’uomo perché ha rivelato che l’essere umano è disposto a sacrificare la sua vita al servizio dei propri simili. Nessun uomo può avere un amore più grande di questo: essere disposto a donare la propria vita per gli amici, ma Gesù aveva un tale amore da essere pronto a sacrificare la sua vita, non solo per gli amici ma addirittura per i suoi nemici; un amore più grande di quanto fosse stato conosciuto fino ad allora sulla terra.
Nell’Universo così come sulla Terra, questo spettacolo sublime della morte del Gesù umano sulla croce del Golgota risvegliò le emozioni dei mortali, mentre suscitò la più alta devozione degli angeli.
La croce è quell’alto simbolo del servizio sacro, la consacrazione della propria vita al benessere e alla salvezza dei propri simili. La croce non è il simbolo del sacrificio del Figlio di Dio innocente che si sostituisce ai peccatori colpevoli allo scopo di placare la collera di un Dio offeso, ma essa si erge per sempre, sulla terra ed in tutto il vasto Universo, come un sacro simbolo dei buoni che si dedicano ai cattivi e che così li salvano per mezzo di questa stessa devozione d’amore.
La croce si erge come il simbolo della più alta forma di servizio disinteressato, della suprema devozione della donazione completa di una vita retta al servizio di un ministero svolto di tutto cuore, anche fino alla morte, alla morte della croce. E la vista stessa di questo grande simbolo della vita di conferimento di Gesù ispira veramente tutti quelli che desiderano fare altrettanto.
Quando degli uomini e delle donne guardano a Gesù che offre la sua vita sulla croce, difficilmente si permetteranno di lamentarsi anche delle avversità più dure della vita, ed ancor meno dei futili fastidi e delle loro molte lagnanze in buona parte fittizie. La sua vita fu così gloriosa e la sua morte così trionfante che siamo tutti incitati alla propensione di condividere entrambe. C’è un vero potere d’attrazione in tutto il conferimento di Gesù, dall’epoca della sua giovinezza fino a questo orribile spettacolo della sua morte sulla croce.
Quando si guarda alla croce come ad una rivelazione di Dio, non bisogna guardare con gli occhi dell’uomo primitivo, né secondo il punto di vista del barbaro successivo, poiché entrambi consideravano Dio come un Sovrano implacabile che esercitava una giustizia severa e che imponeva delle leggi rigide.
La croce è in realtà la manifestazione finale dell’amore e della devozione di Gesù verso la missione di conferimento della sua vita sulle razze mortali del suo vasto Universo. Vedete nella morte del Figlio dell’Uomo il punto culminante della rivelazione dell’amore divino del Padre per i suoi figli delle sfere mortali. La croce descrive così la devozione dell’affetto spontaneo e l’effusione della salvezza volontaria su coloro che sono disposti a ricevere tali doni e tale devozione. Non c’è nulla nella croce che il Padre avesse chiesto - soltanto ciò che Gesù diede così spontaneamente e che rifiutò di evitare.
Se l’uomo non riesce ad apprezzare diversamente Gesù e a comprendere il significato del suo conferimento sulla terra, può almeno comprendere che ha condiviso con lui le sue sofferenze di mortale. Nessuno può mai temere che il Creatore non conosca la natura o l’estensione delle sue afflizioni temporali.
La morte sulla croce non avvenne per riconciliare l’uomo con Dio, ma per stimolare la realizzazione dell’uomo dell’amore eterno del Padre e della misericordia infinita di suo Figlio, e per diffondere queste verità universali in tutto l’Universo intero.