NESSUN avvenimento di tutta la movimentata missione terrena di Gesù fu più avvincente, più umanamente entusiasmante quanto questa sua prima visita a Gerusalemme di cui conservò il ricordo. Egli fu particolarmente stimolato dall’esperienza di assistere di persona alle discussioni del tempio, e ciò restò a lungo nella sua memoria come il grande avvenimento della fine della sua fanciullezza e dell’inizio della sua giovinezza. Questa fu la sua prima occasione di godere di alcuni giorni di vita indipendente, la gioia di andare e venire senza costrizioni e restrizioni. Questo breve periodo di vita senza direttive, durante la settimana successiva alla Pasqua, era la prima completamente libera da responsabilità di cui avesse mai goduto. E ci vollero molti anni per avere ancora, sia pure per poco tempo, un periodo altrettanto libero da ogni senso di responsabilità.
Le donne assistevano raramente alla festa della Pasqua a Gerusalemme; la loro presenza non era richiesta. Tuttavia Gesù rifiutò praticamente di partire se sua madre non li avesse accompagnati. E quando sua madre si decise ad andare, molte altre donne di Nazaret si convinsero a fare il viaggio, cosicché il gruppo pasquale comprendeva, in rapporto agli uomini, il maggior numero di donne che fosse mai partito da Nazaret per la Pasqua. Sulla strada per Gerusalemme essi cantarono di tanto in tanto il Salmo centotrenta.
Dal momento in cui lasciarono Nazaret fino a quello in cui giunsero sulla sommità del Monte degli Olivi, Gesù rimase costantemente teso nell’aspettativa. Durante tutta la sua gioiosa fanciullezza egli aveva inteso parlare con rispetto di Gerusalemme e del suo tempio; ora li avrebbe presto contemplati realmente. Visto dal Monte degli Olivi e dall’esterno, esaminandolo più da vicino, il tempio aveva più che soddisfatto le aspettative di Gesù; ma quando ebbe varcato le sue porte sacre cominciò la grande disillusione.
In compagnia dei suoi genitori Gesù attraversò i recinti del tempio per andare a raggiungere il gruppo dei nuovi figli della legge che stavano per essere consacrati cittadini d’Israele. Egli fu un po’ deluso dal comportamento generale della folla nel tempio, ma il primo grande shock di quel giorno fu quando sua madre li lasciò per andare nella galleria delle donne. A Gesù non era mai successo che sua madre non lo accompagnasse alle cerimonie di consacrazione, ed era indignatissimo che essa dovesse subire una così ingiusta discriminazione. Anche se ne fu profondamente risentito, a parte qualche protesta con suo padre, egli non disse nulla. Ma rifletté, e rifletté a fondo, come le sue domande agli Scribi ed agli istruttori rivelarono una settimana più tardi.
Egli passò per i riti della consacrazione, ma fu deluso per il loro carattere superficiale e ordinario. Non vi trovò quell’interesse personale che caratterizzava le cerimonie della sinagoga a Nazaret. Egli ritornò poi a salutare sua madre e si preparò ad accompagnare suo padre nel suo primo giro nel tempio e nei suoi vari cortili, gallerie e corridoi. I recinti del tempio potevano contenere più di duecentomila fedeli per volta, e sebbene l’immensità di queste costruzioni - a paragone di ciò che aveva già visto - avesse fatto una grande impressione sulla sua mente, egli fu maggiormente interessato dalla riflessione sul significato spirituale delle cerimonie del tempio e del culto che vi era collaboratore.
Anche se molti riti del tempio avevano colpito in modo toccante il suo senso del bello e del simbolico, egli era sempre deluso dalle spiegazioni dei significati reali di queste cerimonie che i suoi genitori gli offrivano in risposta alle sue molteplici e penetranti domande. Gesù semplicemente non accettava le spiegazioni sul culto e sulla devozione religiosa che implicavano la credenza nello sdegno di Dio o nella collera dell’Onnipotente. In una nuova discussione su tali questioni, al termine della visita al tempio, quando suo padre insisté dolcemente perché accettasse le credenze ortodosse degli Ebrei, Gesù si girò improvvisamente verso i suoi genitori, guardò suo padre negli occhi in modo supplichevole, e disse: “Padre mio, non può essere vero - il Padre che è nei cieli non può considerare in tal modo i suoi figli che sbagliano sulla terra. Il Padre Celeste non può amare i suoi figli meno di quanto tu ami me. Ed io so bene che, per quanto malaccorti siano i miei atti, tu non potrai mai riversare la tua ira su di me né essere in collera con me. Se tu, mio padre terreno, possiedi tali riflessi umani del Divino, quanto più il Padre Celeste deve essere pieno di bontà e traboccante di misericordia. Io mi rifiuto di credere che mio Padre Celeste mi ami meno di mio padre terreno.”
Quando Giuseppe e Maria udirono queste parole del loro figlio primogenito, tacquero. E non tentarono più di cambiare la sua concezione dell’amore di Dio e della misericordia del Padre che è nei cieli.
In tutti i cortili del tempio che Gesù attraversò, fu colpito e disgustato dallo spirito d’irriverenza che vi notò. Gli sembrava che la condotta delle folle nel tempio fosse incompatibile con la loro presenza nella “casa di suo Padre”. Ma egli ebbe il più grande shock della sua giovane vita quando suo padre lo accompagnò nel cortile dei Gentili dove il loro gergo rumoroso, gli schiamazzi e le imprecazioni si mescolavano caoticamente ai belati delle pecore ed al vociare scomposto che tradiva la presenza degli agenti di cambio e dei venditori di animali sacrificali e di varie altre mercanzie.
Ma soprattutto il suo senso del decoro fu offeso dalla vista delle frivole cortigiane che si pavoneggiavano all’interno di questo recinto del tempio, esattamente come le donne imbellettate che aveva visto recentemente durante la sua visita a Sefforis. Questa profanazione del tempio portò al culmine la sua giovanile indignazione ed egli non esitò ad esprimerla apertamente a Giuseppe.
Gesù ammirò l’atmosfera ed il servizio del tempio, ma fu colpito dalla bruttezza spirituale che traspariva dai visi di tanti adoratori spensierati.
Essi scesero poi nel cortile dei sacerdoti sotto il bordo di pietra davanti al tempio, dove c’era l’altare, per osservare l’uccisione dei branchi di animali ed il lavaggio del sangue dalle mani dei sacerdoti sacrificatori alla fontana di bronzo. Il pavimento macchiato di sangue, le mani imbrattate di sangue dei sacerdoti e le urla degli animali morenti superarono il limite di sopportazione di questo giovane amante della natura. Questo terribile spettacolo disgustò questo ragazzo di Nazaret; egli si attaccò al braccio di suo padre e lo supplicò di condurlo via. Essi riattraversarono il cortile dei Gentili, e persino le risa sguaiate ed i motteggi profani che vi si udirono furono un sollievo rispetto a ciò ch’egli aveva appena visto.
Giuseppe vide come suo figlio fosse disgustato dalla vista dei riti del tempio e lo condusse saggiamente a vedere la “porta della bellezza”, la porta artistica fatta di bronzo corinzio. Ma Gesù ne aveva avuto abbastanza per la sua prima visita al tempio. Essi tornarono a prendere Maria nel cortile superiore e camminarono per un’ora all’aria aperta lontano dalla folla guardando il palazzo di Asmoneo, l’imponente abitazione di Erode e la torre delle guardie romane. Durante questa passeggiata Giuseppe spiegò a Gesù che solo gli abitanti di Gerusalemme avevano il permesso di assistere ai sacrifici quotidiani nel tempio, e che gli abitanti della Galilea ci venivano solo tre volte all’anno per partecipare al culto: alla Pasqua, alla festa della Pentecoste (sette settimane dopo la Pasqua) e alla festa dei Tabernacoli in ottobre. Queste feste erano state istituite da Mosè. Essi discussero poi delle due ultime feste stabilite, quella della Dedicazione e quella di Purim. Dopodiché tornarono al loro alloggio e si prepararono alla celebrazione della Pasqua.
Cinque famiglie di Nazaret furono ospiti della famiglia di Simone di Betania, o associate ad essa, per la celebrazione della Pasqua, avendo Simone acquistato l’agnello pasquale per tutta la compagnia. Era il massacro di questi agnelli in numero così enorme che aveva talmente colpito Gesù durante la sua visita al tempio. Era stato previsto di consumare la Pasqua con i parenti di Maria, ma Gesù persuase i suoi genitori ad accettare l’invito di recarsi a Betania.
Quella notte essi si riunirono per i riti della Pasqua, mangiando la carne arrostita con pane senza lievito ed erbe amare. Essendo Gesù un nuovo figlio dell’alleanza, gli fu chiesto di raccontare le origini della Pasqua, cosa che fece molto bene, ma sconcertò un po’ i suoi genitori includendovi numerosi commenti che riflettevano con moderazione le impressioni che avevano fatto sulla sua giovane ma riflessiva mente le cose che aveva così recentemente visto e udito. Questo fu l’inizio dei sette giorni di cerimonie della festa della Pasqua.
Anche se così giovane, e benché non avesse detto niente ai suoi genitori a questo proposito, Gesù aveva cominciato a meditare sull’opportunità di celebrare la Pasqua senza sacrificare l’agnello. Egli fu mentalmente certo che questo spettacolo delle offerte sacrificali non piaceva a suo Padre Celeste, e nel corso degli anni seguenti, divenne sempre più determinato d’istituire un giorno la celebrazione di una Pasqua senza spargimento di sangue.
Gesù dormì molto poco quella notte. Il suo sonno fu assai disturbato da disgustosi sogni di massacri e di sofferenze. La sua mente era afflitta ed il suo cuore lacerato dalle incoerenze e dalle assurdità della teologia di tutto il sistema cerimoniale ebraico. Anche i suoi genitori dormirono poco. Essi erano molto sconcertati dagli avvenimenti della giornata appena conclusa; erano completamente sconvolti nel loro cuore dall’atteggiamento, secondo loro strano e risoluto, del ragazzo. Maria ebbe i nervi agitati nella prima parte della notte, ma Giuseppe rimase calmo, benché anche lui fosse perplesso. Entrambi temevano di parlare apertamente di questi problemi con il ragazzo, mentre Gesù avrebbe parlato volentieri con i suoi genitori se avessero osato incoraggiarlo.
I servizi al tempio del giorno dopo furono più accettabili per Gesù e contribuirono molto a far dimenticare gli spiacevoli ricordi del giorno precedente. Il mattino seguente il giovane Lazzaro si prese cura di Gesù e i due cominciarono ad esplorare sistematicamente Gerusalemme e i suoi dintorni. Prima della fine del giorno Gesù scoprì i vari luoghi vicino al tempio dove erano in corso le conferenze destinate all’insegnamento ed articolate su domande e risposte. E a parte una qualche visita al Santo dei Santi, dove si chiese con meraviglia che cosa ci fosse realmente dietro il velo di separazione, egli passò la maggior parte del suo tempo vicino al tempio in queste conferenze d’insegnamento.
Durante tutta la settimana di Pasqua, Gesù occupò il suo posto tra i nuovi figli del comandamento, e ciò significava che doveva sedersi fuori delle transenne che separavano tutte le persone che non avevano la piena cittadinanza d’Israele. Reso in tal modo cosciente della sua giovane età, egli si trattenne dal porre le molte domande che fluivano avanti e indietro nella sua mente; quanto meno se ne astenne fino a che la celebrazione della Pasqua fu terminata e le restrizioni imposte ai giovani appena consacrati furono tolte.
Il mercoledì della settimana di Pasqua, Gesù fu autorizzato ad andare a casa di Lazzaro per passare la notte a Betania. Quella sera Lazzaro, Marta e Maria ascoltarono Gesù discutere di cose temporali ed eterne, umane e divine, e da quella sera tutti e tre lo amarono come se fosse stato loro fratello.
Alla fine della settimana Gesù vide meno spesso Lazzaro perché questi non aveva il diritto di accesso nemmeno al cerchio esterno delle discussioni al tempio, anche se assisté a qualche discorso pubblico pronunciato nei cortili esterni. Lazzaro aveva la stessa età di Gesù, ma a Gerusalemme i giovani erano raramente ammessi alla consacrazione dei figli della legge prima di aver compiuto i tredici anni.
Durante la settimana di Pasqua i suoi genitori trovarono moltissime volte Gesù seduto in disparte a riflettere profondamente con la sua giovane testa fra le mani. Essi non l’avevano mai visto comportarsi in questo modo e, non sapendo fino a che punto egli fosse confuso nella sua mente e turbato nel suo spirito dalle esperienze per le quali stava passando, erano dolorosamente perplessi; non sapevano che cosa fare. Essi accolsero con gioia la fine della settimana di Pasqua e desideravano ardentemente vedere il loro figlio dallo strano comportamento ritornare sicuro a Nazaret.
Giorno dopo giorno Gesù faceva un riesame dei suoi problemi. Alla fine della settimana egli aveva fatto molti aggiustamenti; ma quando venne il momento di ritornare a Nazaret, la sua giovane mente formicolava ancora d’incertezze ed era assalita da una moltitudine di domande senza risposta e di problemi non risolti.
Prima di lasciare Gerusalemme in compagnia dell’insegnante di Gesù a Nazaret, Giuseppe e Maria presero accordi precisi per il ritorno di Gesù quando avesse compiuto i quindici anni, per iniziare il suo lungo corso di studi in una delle accademie di rabbini più rinomate. Gesù accompagnò i suoi genitori ed il suo insegnante nella loro visita alla scuola, ma essi furono tutti desolati nel constatare quanto egli sembrasse indifferente a tutto ciò che dicevano e facevano. Maria era profondamente afflitta dalle sue reazioni alla visita di Gerusalemme, e Giuseppe era profondamente perplesso di fronte alle strane osservazioni e alla condotta insolita del ragazzo.
Tutto sommato la settimana di Pasqua era stata un grande avvenimento nella vita di Gesù. Egli aveva avuto l’occasione d’incontrare decine di ragazzi della sua età, candidati come lui alla consacrazione, ed aveva utilizzato questi contatti come mezzo di apprendere come vivevano le genti in Mesopotamia, nel Turkestan e nella Partia, così come nelle province romane dell’Estremo Occidente. Egli era già abbastanza al corrente del modo in cui si sviluppava la gioventù dell’Egitto e di altre regioni vicine alla Palestina. In quel momento c’erano migliaia di giovani a Gerusalemme ed il ragazzo di Nazaret incontrò personalmente ed interrogò in maniera più o meno approfondita molti di loro. Egli era particolarmente interessato a quelli che venivano dall’Estremo Oriente e dai paesi lontani dell’Occidente. Come risultato di questi contatti il ragazzo cominciò a provare il desiderio di viaggiare per il mondo allo scopo di apprendere come i vari gruppi di suoi contemporanei lavoravano per guadagnarsi da vivere.
Era stato convenuto che il gruppo di Nazaret si sarebbe radunato nei pressi del tempio a metà mattina del primo giorno della settimana dopo la fine della festa di Pasqua. Così essi fecero e partirono per il viaggio di ritorno a Nazaret. Gesù era andato al tempio per assistere alle discussioni, mentre i suoi genitori aspettavano il raduno dei loro compagni di viaggio. Ben presto la compagnia si preparò a partire, gli uomini in un gruppo e le donne in un altro, come era loro abitudine per andare alle feste di Gerusalemme e tornarne. Gesù era andato a Gerusalemme in compagnia di sua madre e delle donne. Ora, essendo un giovane uomo consacrato, era autorizzato a fare il viaggio di ritorno a Nazaret in compagnia di suo padre e degli uomini. Ma mentre il gruppo di Nazaret partiva per Betania, Gesù era al tempio completamente assorbito nella discussione sugli angeli e totalmente dimentico che era passata l’ora della partenza dei suoi genitori. E non si rese conto di essere stato lasciato indietro fino a mezzogiorno, al momento della sospensione delle conferenze al tempio.
I viaggiatori di Nazaret non notarono l’assenza di Gesù, perché Maria supponeva che viaggiasse con gli uomini, mentre Giuseppe pensava che viaggiasse con le donne, poiché era andato a Gerusalemme con le donne, conducendo l’asino di Maria. Essi scoprirono la sua assenza solo quando arrivarono a Gerico e si prepararono ad accamparsi per la notte. Dopo aver chiesto informazioni ai ritardatari del gruppo che arrivavano a Gerico ed aver saputo che nessuno di loro aveva visto il loro figlio, essi trascorsero una notte insonne, rimuginando nella loro mente che cosa poteva essergli accaduto, ricordando molte delle sue reazioni insolite agli avvenimenti della settimana di Pasqua e rimproverandosi dolcemente l’un l’altro di non aver controllato che fosse nel gruppo prima di lasciare Gerusalemme.
Nel frattempo Gesù era rimasto nel tempio tutto il pomeriggio, ascoltando le discussioni ed apprezzando l’atmosfera più calma e più decorosa, giacché le grandi folle della settimana di Pasqua erano quasi scomparse. Alla fine delle discussioni del pomeriggio, a nessuna delle quali Gesù partecipò, si recò a Betania, dove arrivò proprio al momento in cui la famiglia di Simone si preparava al pasto serale. I tre giovani furono felicissimi di accogliere Gesù, ed egli rimase nella casa di Simone per la notte. Egli stette molto poco con loro durante la sera, trascorrendo la maggior parte del suo tempo da solo a meditare in giardino.
Il giorno dopo Gesù si alzò di buon mattino per recarsi al tempio. Sul versante dell’Oliveto egli si fermò e si rattristò dello spettacolo che i suoi occhi contemplavano - un popolo spiritualmente povero, prigioniero delle tradizioni e vivente sotto la sorveglianza delle legioni romane. Il mattino presto lo trovò nel tempio con l’idea precisa di prendere parte alle discussioni. Frattanto Giuseppe e Maria si erano anche loro alzati all’alba con l’intenzione di ritornare a Gerusalemme. Prima si recarono in fretta a casa dei loro parenti, presso i quali avevano alloggiato come famiglia durante la settimana di Pasqua, ma l’indagine rivelò che nessuno aveva visto Gesù. Dopo averlo cercato per tutto il giorno e non aver trovato traccia di lui, essi ritornarono per la notte presso i loro parenti.
Alla seconda conferenza Gesù si era azzardato a porre delle domande, e partecipò alle discussioni del tempio in maniera molto stupefacente, ma sempre compatibile con la sua giovane età. Talvolta egli pose delle domande che erano un po’ imbarazzanti per gli eruditi insegnanti della legge ebraica, ma egli dimostrava un tale spirito di candida onestà, unitamente ad una sete evidente di conoscenza, che la maggioranza degli insegnanti del tempio era disposta a trattarlo con ogni considerazione. Ma quando si permise di chiedere se era giusto mettere a morte un Gentile ubriaco che era uscito dal cortile dei Gentili ed era entrato inconsciamente nei recinti proibiti e reputati sacri del tempio, uno degli insegnanti più intolleranti si spazientì per le critiche implicite del ragazzo e, guardandolo in cagnesco, gli chiese quanti anni avesse. Gesù rispose: “Tredici anni meno poco più di quattro mesi.” “Allora”, replicò l’insegnante ora adirato, “perché sei qui quando non hai l’età per essere un figlio della legge?” E quando Gesù ebbe spiegato che aveva ricevuto la consacrazione durante la Pasqua e che era uno studente di Nazaret che aveva completato gli studi scolastici, gli insegnanti replicarono unanimemente con tono di derisione: “Avremmo dovuto saperlo; è di Nazaret.” Ma il loro capo insisté che Gesù non era da biasimare se i dirigenti della sinagoga di Nazaret l’avevano tecnicamente diplomato a dodici anni anziché a tredici. E nonostante che parecchi dei suoi detrattori se ne fossero andati, fu deciso che il ragazzo poteva continuare a prendere parte come allievo alle discussioni del tempio.
Quando questo suo secondo giorno al tempio fu terminato, egli ritornò di nuovo a Betania per la notte. E di nuovo uscì nel giardino a meditare e a pregare. Era evidente che la sua mente era assorbita nella riflessione su gravi problemi.
Il terzo giorno di Gesù nel tempio con gli Scribi e gli insegnanti vide l’afflusso di numerosi spettatori che, avendo sentito parlare di questo giovane della Galilea, vennero a godere l’esperienza di vedere un ragazzo che confonde i sapienti uomini della legge. Anche Simone venne da Betania per vedere ciò che il ragazzo avrebbe fatto. Durante tutto questo giorno Giuseppe e Maria continuarono l’affannosa ricerca di Gesù, andando anche parecchie volte nel tempio, ma non pensando mai d’indagare tra i vari gruppi impegnati nelle discussioni, anche se una volta giunsero quasi a portata della sua affascinante voce.
Prima della fine del giorno tutta l’attenzione del principale gruppo di discussioni del tempio era concentrata sulle domande poste da Gesù. Tra le sue numerose domande vi furono le seguenti:
1. Che cosa c’è realmente nel Santo dei Santi dietro il velo?
2. Perché in Israele le madri devono restare separate dai fedeli maschi nel tempio?
3. Se Dio è un padre che ama i suoi figli, perché tutto questo massacro di animali per guadagnare il favore divino - l’insegnamento di Mosè è stato mal compreso?
4. Dal momento che il tempio è consacrato all’adorazione del Padre Celeste, è logico permettervi la presenza di coloro che sono impegnati in scambi profani e nel commercio?
5. Il Messia atteso sarà un principe temporale che sederà sul trono di Davide, o agirà come la luce della vita nell’istituzione di un regno spirituale?
E per tutto il giorno coloro che ascoltavano si meravigliarono di queste domande, e nessuno fu più stupito di Simone. Per più di quattro ore questo giovane di Nazaret incalzò gli insegnanti ebrei con domande che inducevano a riflettere e che sondavano i loro cuori. Egli fece pochi commenti sulle osservazioni di quelli più anziani di lui. Egli trasmetteva il suo insegnamento tramite le domande che poneva. Con il modo scaltro e sottile di formulare una domanda egli perveniva simultaneamente a mettere in discussione il loro insegnamento e a suggerire il proprio. Nel suo modo di porre una domanda c’era un’attraente combinazione di sagacia e di arguzia che lo faceva benvolere anche da coloro che lamentavano più o meno la sua giovane età. Egli era sempre eminentemente leale e pieno di riguardo nel porre le sue domande penetranti. Nel corso di questo movimentato pomeriggio nel tempio egli manifestò la stessa riluttanza a trarre da un avversario un vantaggio sleale che caratterizzò il suo intero ministero pubblico successivo. Come adolescente, e più tardi come uomo, egli sembrava completamente scevro da ogni desiderio egoista di vincere una discussione semplicemente per il piacere di trionfare sui suoi simili con la logica, essendo supremamente interessato ad una sola cosa: proclamare la verità eterna ed effettuare così una rivelazione più completa del Dio eterno.
Al termine della giornata Simone e Gesù ritornarono a Betania. Durante la maggior parte del tragitto l’uomo ed il ragazzo rimasero in silenzio. Di nuovo Gesù si fermò sulle pendici dell’Oliveto, ma guardando la città ed il suo tempio non si rattristò; reclinò solamente il capo in silenziosa devozione.
Dopo il pasto della sera a Betania egli rifiutò ancora una volta di unirsi all’allegra compagnia e andò invece in giardino, dove si attardò fino a notte inoltrata, tentando vanamente di elaborare un piano preciso per affrontare il problema dell’opera della sua vita e per scegliere il modo migliore di rivelare ai suoi connazionali spiritualmente ciechi un concetto più bello del Padre Celeste, e liberarli così dalla loro terribile schiavitù alla legge, al rituale, al cerimoniale e alla tradizione antiquata. Ma la chiara luce non raggiunse il ragazzo alla ricerca della verità.
Gesù si era stranamente dimenticato dei suoi genitori terreni; anche a colazione, quando la madre di Lazzaro fece notare che i suoi genitori dovevano essere in quel momento vicino a casa loro, Gesù non sembrò rendersi conto che dovevano essere alquanto preoccupati per il fatto che egli fosse rimasto indietro.
Di nuovo egli si recò al tempio, ma non si fermò sulla sommità dell’Oliveto a meditare. Nel corso delle discussioni del mattino gran parte del tempo fu dedicata alla legge e ai profeti, e gli insegnanti furono stupiti che Gesù conoscesse così bene le Scritture, tanto in ebraico che in greco. Ma essi erano stupiti non tanto dalla sua conoscenza della verità, quanto dalla sua giovane età.
Alla conferenza del pomeriggio essi avevano appena cominciato a rispondere alla sua domanda sul proposito della preghiera, quando il capo invitò il ragazzo a farsi avanti, a sedersi vicino a lui e a far conoscere il suo punto di vista riguardo alla preghiera e all’adorazione.
La sera prima i genitori di Gesù avevano sentito parlare di questo strano giovane che argomentava così abilmente con i commentatori della legge, ma non avevano pensato che questo ragazzo fosse il loro figlio. Essi avevano quasi deciso di andare a casa di Zaccaria supponendo che Gesù potesse esservi andato per vedere Elisabetta e Giovanni. Pensando che Zaccaria potesse forse essere al tempio, vi si fermarono sulla loro strada per la Città di Giuda. Mentre erravano attraverso i cortili del tempio, immaginate la loro sorpresa ed il loro stupore quando riconobbero la voce del loro ragazzo smarrito e lo videro seduto fra gli insegnanti del tempio.
Giuseppe rimase senza parole, ma Maria diede libero sfogo alla sua paura e alla sua ansietà dettate dal grande amore che aveva per questo suo figlio; essa si slanciò verso il ragazzo, che si era alzato per salutare i suoi attoniti genitori e disse: “Figlio mio, perché ci hai trattati in questo modo? Sono più di tre giorni che tuo padre ed io ti cerchiamo disperatamente. Che cosa ti ha preso per abbandonarci?” Questo fu un momento di tensione. Tutti gli occhi erano girati verso Gesù per sentire ciò che avrebbe detto. Suo padre lo guardò con aria di rimprovero, ma non disse nulla.
Bisogna ricordare che Gesù era considerato un giovane uomo. Egli aveva terminato la sua scolarità regolare di fanciullo, era stato riconosciuto come figlio della legge ed aveva ricevuto la consacrazione come cittadino d’Israele. Ciononostante sua madre lo riprendeva apertamente davanti a tutta la gente riunita, proprio nel mezzo dello sforzo più serio e sublime della sua giovane vita, mettendo così fine poco gloriosamente ad una delle più grandi opportunità che gli fosse mai concessa di agire come insegnante della verità, predicatore di rettitudine, rivelatore del carattere amorevole di suo Padre Celeste.
Ma il ragazzo si dimostrò all’altezza delle circostanze. Se si prendono ragionevolmente in considerazione tutti i fattori che si combinarono per provocare questa situazione, sarete meglio preparati a capire bene la saggezza della risposta del ragazzo al rimprovero non premeditato di sua madre. Dopo un momento di riflessione, Gesù rispose a sua madre dicendo: “Perché mi avete cercato così a lungo? Non vi aspettavate di trovarmi nella casa di mio Padre, poiché è giunta l’ora di occuparmi degli affari di mio Padre?”
Tutti i presenti furono stupiti dal modo di parlare del ragazzo. Essi si ritirarono in silenzio e lo lasciarono solo con i suoi genitori. Subito dopo il giovane tolse d’imbarazzo tutti e tre dicendo tranquillamente: “Venite, genitori miei, ciascuno ha fatto ciò che credeva fosse meglio. Nostro Padre nei cieli ha disposto queste cose; rientriamo a casa.”
Essi partirono in silenzio, arrivando a Gerico per la notte. Si fermarono solo una volta, sulle pendici dell’Oliveto, quando il ragazzo alzò il suo bastone in aria e, fremendo dalla testa ai piedi sotto l’insorgere di un’emozione intensa, disse: “O Gerusalemme, Gerusalemme ed abitanti suoi, quali schiavi siete - sottoposti al giogo dei Romani e vittime delle vostre stesse tradizioni - ma ritornerò a purificare il tempio e a liberare il mio popolo da questa schiavitù!”
Durante i tre giorni di viaggio verso Nazaret Gesù parlò poco; nemmeno i suoi genitori dissero molto in sua presenza. Essi erano veramente disorientati dalla condotta del loro figlio primogenito, ma conservavano preziosamente le sue parole nel loro cuore, anche senza riuscire a comprenderne pienamente il significato.
Dopo essere arrivati a casa, Gesù fece un breve discorso ai suoi genitori, assicurandoli del suo affetto e lasciando intendere che non dovevano più temere che egli avrebbe nuovamente dato loro l’occasione di restare in ansia a causa della sua condotta. Egli concluse questa solenne dichiarazione dicendo: “Benché io debba fare la volontà di mio Padre che è nei cieli, obbedirò anche a mio padre che è sulla terra. Aspetterò la mia ora.”
Sebbene nella sua mente Gesù rifiutasse spesso di approvare gli sforzi ben intenzionati ma malaccorti dei suoi genitori di dettargli il corso delle sue riflessioni o di stabilire il piano del suo lavoro sulla terra, tuttavia, in tutte le maniere compatibili con la sua consacrazione a fare la volontà di suo Padre del Paradiso, egli si conformava con il garbo migliore ai desideri di suo padre terreno e alle abitudini della sua famiglia nella carne. Anche quando non poteva acconsentirvi, egli faceva tutto il possibile per conformarvisi. Egli era un artista nel modo di conciliare la sua consacrazione al dovere con i suoi obblighi di fedeltà familiare e di servizio sociale.
Giuseppe era perplesso, ma Maria, riflettendo su queste esperienze, riprese coraggio, finendo per considerare i propositi di Gesù sull’Oliveto come profetici della missione messianica di suo figlio.
DI TUTTE le esperienze della vita terrena di Gesù, il quattordicesimo ed il quindicesimo anno furono quelli cruciali. Questi due anni, dopo che egli cominciò a prendere coscienza della sua divinità e del suo destino, e prima di giungere a comunicare in larga misura con il suo Spirito interiore, furono i più difficili della sua movimentata vita sulla Terra. È questo periodo di due anni che potrebbe essere chiamato la grande prova, la vera tentazione. Nessun giovane umano, nel passare per i primi turbamenti ed i problemi di aggiustamento dell’adolescenza, fu mai sottoposto ad una prova più cruciale di quella attraversata da Gesù durante il suo passaggio dalla fanciullezza all’età virile.
Questo importante periodo di sviluppo nella giovinezza di Gesù cominciò alla fine della visita a Gerusalemme e al suo ritorno a Nazaret. Gesù viveva sempre più in compagnia di suo padre anche se cresceva sempre di più l’incomprensione dei suoi genitori circa la sua frequente alternanza tra gli affari di questo mondo e le meditazioni sui suoi rapporti con gli affari di suo Padre. Francamente essi non lo capivano, ma l’amavano sinceramente.
Via via che Gesù cresceva, la sua pietà ed il suo amore per il popolo ebreo aumentavano, ma con il passare degli anni si sviluppò nella sua mente un giusto risentimento contro la presenza, nel tempio di suo Padre, di sacerdoti scelti per ragioni politiche. Gesù aveva un grande rispetto per i Farisei sinceri e per gli Scribi onesti, ma teneva in pessima considerazione i Farisei ipocriti ed i teologi disonesti; considerava con sdegno tutti quei capi religiosi che non erano sinceri. Quando analizzava i dirigenti d’Israele, egli era talvolta tentato di guardare con favore alla possibilità di diventare il Messia liberatore atteso dagli Ebrei, ma non cedette mai a questa tentazione.
Il racconto delle sue gesta fra i saggi del tempio di Gerusalemme era lusinghiero per tutta Nazaret, specialmente per i suoi vecchi insegnanti della scuola della sinagoga. Per qualche tempo il suo elogio fu su tutte le bocche. Tutto il villaggio raccontava la saggezza della sua infanzia e la sua condotta meritoria, e prediceva che sarebbe stato destinato a diventare un grande capo in Israele; finalmente un maestro veramente grande stava per uscire da Nazaret in Galilea. E tutti attendevano impazienti il momento in cui avrebbe compiuto i quindici anni affinché gli fosse regolarmente permesso di leggere le Scritture nella sinagoga il giorno di sabato.
Questo è l’anno solare del suo quattordicesimo compleanno. Egli era divenuto un buon fabbricante di gioghi e lavorava bene la tela da vele ed il cuoio. Stava diventando rapidamente anche un carpentiere ed un ebanista esperto. Questa estate egli salì frequentemente sulla sommità della collina situata a nordovest di Nazaret per pregare e meditare. Egli stava divenendo gradualmente più autocosciente della natura del suo conferimento sulla terra.
Poco più di cento anni prima questa collina era stata “l’alto luogo di Baal” ed ora era il luogo della tomba di Simeone, un sant’uomo stimato d’Israele. Dalla sommità di questa collina di Simeone, Gesù poteva vedere Nazaret e la regione circostante. Poteva vedere Meghiddo e ricordare la storia dell’esercito egiziano che aveva riportato la sua prima grande vittoria in Asia; e come più tardi un esercito simile sconfisse Giosia, il re della Giudea. Non lontano da là poteva vedere Taanak, dove Debora e Barak sconfissero Sisara. In distanza poteva scorgere le colline di Dotan, dove gli era stato insegnato che Giuseppe era stato venduto dai suoi fratelli agli Egiziani come schiavo. Poi poteva volgere il suo sguardo verso Ebal e Garizim e ricordarsi le tradizioni di Abramo, di Giacobbe e di Abimelek. E così ricordava e rimuginava nella sua mente gli avvenimenti storici e tradizionali del popolo di suo padre Giuseppe.
Egli continuò a portare avanti i suoi corsi superiori di lettura con gli insegnanti della sinagoga e continuò anche l’educazione familiare dei suoi fratelli e sorelle a mano a mano che raggiungevano l’età idonea.
All’inizio di quest’anno Giuseppe si organizzò per mettere da parte il ricavato delle sue proprietà di Nazaret e di Cafarnao al fine di pagare il lungo corso di studi di Gesù a Gerusalemme, essendo previsto che egli dovesse andare a Gerusalemme in agosto dell’anno seguente, quando avesse raggiunto il quindicesimo anno di età.
Dall’inizio di quest’anno Giuseppe e Maria ebbero frequenti dubbi circa il destino del loro figlio primogenito. In verità egli era un ragazzo brillante e amabile, ma così difficile da comprendere e così faticoso da sondare, ed inoltre niente di straordinario o di miracoloso era mai accaduto. Decine di volte la sua orgogliosa madre era rimasta in ansiosa attesa, aspettando di vedere suo figlio compiere qualche impresa super-umana o miracolosa, ma le sue speranze naufragavano sempre in amara delusione. Tutto ciò era scoraggiante ed anche demoralizzante. Le persone devote di quel tempo credevano veramente che i profeti e gli uomini della promessa dimostrassero sempre la loro vocazione e stabilissero la loro autorità divina compiendo miracoli e facendo prodigi. Ma Gesù non faceva niente di tutto ciò; per questo la confusione dei suoi genitori aumentava sempre più via via che contemplavano il suo futuro.
Il miglioramento della condizione economica della famiglia di Nazaret si rifletteva in casa in molti modi, specialmente nel numero crescente di tavolette bianche lisce che erano impiegate come lavagnette per scrivere, giacché si scriveva allora a carboncino. Gesù fu anche autorizzato a riprendere le sue lezioni di musica; egli amava molto suonare l’arpa.
Durante tutto quest’anno si poté veramente dire che Gesù “cresceva nel favore degli uomini e di Dio”. Le prospettive della famiglia sembravano buone; il futuro era brillante.
Tutto andò bene fino al giorno fatale di martedì 25 settembre, quando un messaggero proveniente da Sefforis portò alla famiglia di Nazaret la tragica notizia che Giuseppe si era gravemente ferito per la caduta di una trave da carico mentre lavorava nella residenza del governatore. Il messaggero di Sefforis si era fermato al laboratorio prima di andare a casa di Giuseppe, informando Gesù dell’incidente accaduto a suo padre, e i due si recarono insieme a casa per comunicare la triste notizia a Maria. Gesù desiderava andare immediatamente da suo padre, ma Maria voleva ad ogni costo essere lei a recarsi in fretta da suo marito. Essa decise che Giacomo, allora in età di dieci anni, l’avrebbe accompagnata a Sefforis, mentre Gesù sarebbe rimasto a casa con i figli più giovani fino al suo ritorno, poiché lei ignorava la gravità del ferimento di Giuseppe. Ma Giuseppe morì a causa delle ferite prima dell’arrivo di Maria. Essi lo riportarono a Nazaret e il giorno dopo fu deposto nella tomba con i suoi antenati.
Proprio nel momento in cui le prospettive erano buone e l’avvenire sembrava brillante, una mano apparentemente crudele abbatté il capo di questa famiglia di Nazaret. Gli affari di questa casa furono interrotti e tutti i piani per la futura educazione di Gesù furono distrutti. Questo giovane carpentiere, che aveva appena compiuto quattordici anni, prese coscienza che non aveva solo da svolgere la missione di suo Padre Celeste di rivelare la natura divina sulla terra e nella carne, ma che la sua giovane natura umana doveva anche addossarsi la responsabilità di prendersi cura di sua madre vedova e dei suoi sette fratelli e sorelle - e di un altro figlio non ancora nato. Questo giovane di Nazaret divenne ora l’unico sostegno e conforto di questa famiglia così improvvisamente colpita. In tal modo fu permesso il succedersi sulla Terra di quegli avvenimenti d’ordine naturale che obbligarono questo giovane uomo del destino ad assumere così presto le responsabilità pesanti, ma altamente educative e disciplinari, che competono a chi diventa capo di una famiglia umana, padre dei propri fratelli e sorelle, sostegno e protezione della propria madre, custode della casa paterna, la sola che avrebbe conosciuto mentre era su questo mondo.
Gesù accettò di buon grado le responsabilità che si abbatterono così improvvisamente su di lui, e le portò avanti fedelmente sino alla fine. Perlomeno un grande problema ed una prevista difficoltà della sua vita erano stati tragicamente risolti - non ci si aspettava più ora che egli andasse a Gerusalemme a studiare sotto i rabbini. Rimase sempre vero che Gesù “non si sedette ai piedi di nessuno”. Egli era sempre desideroso d’imparare, anche dal più umile bambino, ma non derivò mai da fonti umane la sua autorità per insegnare la verità.
Egli non sapeva ancora nulla della visita di Gabriele a sua madre prima della sua nascita; lo apprese da Giovanni soltanto il giorno del suo battesimo, all’inizio del suo ministero pubblico.
Con il passare degli anni questo giovane carpentiere di Nazaret misurò sempre più ogni istituzione della società ed ogni usanza della religione con un criterio invariabile: che cosa fa per l’anima umana? Avvicina Dio all’uomo? Conduce l’uomo a Dio? Pur non dimenticando completamente gli aspetti ricreativi e sociali della vita, questo giovane consacrò sempre più il suo tempo e le sue energie a due soli propositi: prendersi cura della sua famiglia e prepararsi a compiere sulla terra la volontà del suo Padre Celeste.
Quest’anno i vicini presero l’abitudine di entrare all’improvviso durante le sere d’inverno per ascoltare Gesù suonare l’arpa, per ascoltare le sue storie (perché il ragazzo era un eccellente narratore) e per sentirlo leggere dalle Scritture in greco.
Gli affari economici della famiglia continuavano a scorrere abbastanza tranquillamente perché disponeva di una buona somma di denaro liquido al momento della morte di Giuseppe. Gesù non tardò a mostrare che possedeva un giudizio acuto degli affari e sagacia finanziaria. Egli era liberale ma frugale; era economo ma generoso. Si rivelò un amministratore saggio ed efficace dei beni di suo padre.
Nonostante tutto ciò che Gesù ed i vicini di Nazaret potevano fare per portare conforto alla famiglia, Maria ed anche i bambini erano pieni di tristezza. Giuseppe se n’era andato. Giuseppe era stato un marito ed un padre eccezionale e mancava a tutti loro. E sembrava loro ancor più tragico pensare che era morto prima che avessero potuto parlargli o ricevere la sua benedizione di addio.
Alla metà di questo quindicesimo anno Gesù aveva preso in mano saldamente la conduzione della sua famiglia. Prima della fine di quest’anno le loro risorse erano quasi esaurite ed essi si trovarono nella necessità di vendere una delle case di Nazaret che Giuseppe possedeva in comune con il suo vicino Giacobbe.
Mercoledì sera 17 aprile dell’anno 9 d.C. venne al mondo Rut, l’ultima nata della famiglia, e nel limite del possibile Gesù si sforzò di prendere il posto di suo padre nel confortare e curare sua madre durante questa prova difficile e particolarmente triste. Per quasi vent’anni (fino all’inizio del suo ministero pubblico) nessun padre avrebbe potuto amare ed allevare sua figlia con più affetto ed attaccamento di quanto fece Gesù nell’occuparsi della piccola Rut. Egli fu altrettanto un buon padre per tutti gli altri membri della sua famiglia.
Durante quest’anno Gesù formulò per la prima volta la preghiera che insegnò successivamente ai suoi apostoli e che è stata conosciuta da molti come “Il Padre Nostro”. In un certo senso questa fu un’evoluzione della celebrazione familiare; gli Ebrei avevano numerose formule di lode e parecchie preghiere formali. Dopo la morte di suo padre Gesù tentò d’insegnare ai ragazzi più grandi ad esprimersi individualmente nelle loro preghiere - come lui stesso amava fare - ma essi non riuscivano a capire il suo pensiero e tornavano invariabilmente alle loro forme di preghiera imparate a memoria. Fu in questo tentativo di stimolare i suoi fratelli e sorelle più anziani a recitare delle preghiere individuali che Gesù si sforzò di guidarli con frasi suggestive, e ben presto, senza intenzione da parte sua, tutti impiegarono una forma di preghiera largamente basata sulle linee direttrici che Gesù aveva insegnato loro.
Alla fine Gesù abbandonò l’idea di ottenere che ogni membro della famiglia formulasse preghiere spontanee, ed una sera di ottobre si sedette presso la piccola lampada piatta posta sulla bassa tavola di pietra e, su una tavoletta di cedro liscia di circa quarantacinque centimetri di lato, scrisse con un pezzo di carboncino la preghiera che divenne da quel momento la supplica modello della famiglia.
Quest’anno Gesù fu molto turbato da riflessioni confuse. Le responsabilità familiari avevano allontanato molto efficacemente ogni idea di mettere in esecuzione un piano conforme alla visita di Gerusalemme che lo invitava ad “occuparsi degli affari di suo Padre”. Gesù ragionò giustamente che prendersi cura della famiglia di suo padre terreno doveva avere la precedenza su ogni altro dovere, e che il sostegno della sua famiglia doveva essere il suo primo obbligo.
Nel corso di quest’anno Gesù trovò nel cosiddetto Libro di Enoch un passaggio che lo spinse ad adottare più tardi l’espressione “Figlio dell’Uomo” come designazione della sua missione di conferimento sulla Terra. Egli aveva accuratamente considerato l’idea del Messia ebreo e si convinse fermamente che non sarebbe stato quel Messia. Anelava ad aiutare il popolo di suo padre, ma non pensò mai di mettersi alla testa degli eserciti ebrei per liberare la Palestina dalla dominazione straniera. Egli sapeva che non si sarebbe mai seduto sul trono di Davide a Gerusalemme. E nemmeno credeva che la sua missione fosse quella di un liberatore spirituale o di un educatore morale solo per il popolo ebreo. In nessun senso, quindi, la missione della sua vita poteva essere il compimento dei desideri ardenti e delle supposte profezie messianiche delle Scritture ebraiche; almeno non nella maniera in cui gli Ebrei comprendevano queste predizioni dei profeti. Similmente egli era certo che non sarebbe mai apparso come il Figlio dell’Uomo descritto dal profeta Daniele.
Ma quando fosse venuto per lui il momento di farsi avanti come educatore nel mondo, quale nome avrebbe assunto? Come avrebbe giustificato la sua missione? Con quale nome sarebbe stato chiamato dalle persone che avrebbero creduto nei suoi insegnamenti?
Mentre rimuginava tutti questi problemi nella sua mente, egli trovò nella biblioteca della sinagoga di Nazaret, fra i libri apocalittici che stava studiando, questo manoscritto chiamato “Il Libro di Enoch”. E benché egli fosse certo che non era stato scritto dall’Enoch di un tempo, il libro lo interessò molto, ed egli lo lesse e rilesse parecchie volte. C’era un passaggio che lo colpì particolarmente, il passaggio in cui appariva il termine “Figlio dell’Uomo”. L’autore di questo cosiddetto Libro di Enoch continuava a parlare di questo Figlio dell’Uomo, descrivendo il lavoro che doveva compiere sulla terra e spiegando che questo Figlio dell’Uomo, prima di venire su questo mondo per portare la salvezza all’umanità, aveva attraversato i cortili della gloria celeste con suo Padre, il Padre di tutti; e che aveva rinunciato a tutta questa grandezza e gloria per discendere sulla terra a proclamare la salvezza ai mortali bisognosi. A mano a mano che Gesù leggeva questi passaggi sentiva nel suo cuore e riconosceva nella sua mente che fra tutte le predizioni messianiche delle Scritture ebraiche e tutte le teorie sul liberatore degli Ebrei, nessuna era così vicina alla verità quanto la storia posta in questo Libro di Enoch, solo parzialmente riconosciuto. Ed egli decise seduta stante di adottare come suo titolo inaugurale “il Figlio dell’Uomo”. E così fece quando successivamente cominciò la sua opera pubblica. Gesù aveva un’abilità infallibile nel riconoscere la verità e non esitava ad accoglierla qualunque fosse la fonte da cui sembrava emanare.
In quel tempo egli aveva completamente messo in ordine molte cose concernenti il suo futuro lavoro nel mondo, ma non disse niente di queste cose a sua madre, che era ancora legata, da ebrea figlia di ebrei, all’idea che egli fosse il Messia delle scritture.
Affiorava adesso la grande confusione dell’età giovanile di Gesù. Dopo aver fissato qualcosa circa la natura della sua missione sulla terra, cioè “occuparsi degli affari di suo Padre” - mostrare la natura amorevole di suo Padre a tutta l’umanità - egli cominciò a riflettere nuovamente sulle numerose citazioni delle Scritture riferentisi alla venuta di un liberatore nazionale, un maestro od un re ebreo. A quale avvenimento si riferivano queste profezie? Non era forse un Ebreo? O non lo era? Apparteneva o no alla casa di Davide? Sua madre affermava di sì; suo padre aveva giudicato che non lo era. Egli decise che non lo era. Ma i profeti avevano confuso la natura e la missione del Messia?
Dopo tutto era possibile che sua madre avesse ragione? Nella maggior parte dei casi, quando delle divergenze d’opinione erano sorte in passato, lei aveva avuto ragione. Se egli era un nuovo maestro e non il Messia, allora come avrebbe potuto riconoscere il Messia ebreo se costui fosse apparso a Gerusalemme durante il tempo della sua missione terrena? E quali sarebbero state allora le sue relazioni con questo Messia ebreo? E quali sarebbero stati i rapporti con la sua famiglia dopo che si fosse impegnato nella missione della sua vita? Con la religione e la comunità ebraica? Con l’Impero Romano? Con i Gentili e le loro religioni? Il giovane galileo rigirava nella sua mente ciascuno di questi cruciali problemi e vi rifletteva seriamente mentre continuava a lavorare al banco di carpentiere, guadagnando laboriosamente da vivere per sé, per sua madre e per le altre otto bocche affamate.
Prima della fine di quest’anno Maria si rese conto che i fondi della famiglia diminuivano. Essa affidò la vendita dei piccioni a Giacomo. Ben presto essi acquistarono una seconda mucca e, con l’aiuto di Miriam, cominciarono a vendere latte ai loro vicini di Nazaret.
I suoi periodi di profonda meditazione, i suoi frequenti spostamenti per pregare sulla sommità della collina e le molte strane idee che Gesù enunciava di tanto in tanto, allarmavano sua madre. Talvolta essa pensava che il ragazzo fosse fuori di sé, e poi dominava il suo timore ricordandosi che egli era dopotutto un figlio della promessa e che era sotto molti aspetti differente dagli altri giovani.
Ma Gesù aveva imparato a non esprimere tutti i suoi pensieri, a non esporre tutte le sue idee agli altri, nemmeno alla sua stessa madre. A partire da quest’anno Gesù limitò costantemente la divulgazione di quanto passava per la sua mente; cioè, egli parlò meno di quelle cose che una persona normale non poteva afferrare e che rischiavano di farlo considerare come bizzarro o differente dalla gente comune. Secondo tutte le apparenze egli divenne ordinario e convenzionale, sebbene desiderasse qualcuno che potesse comprendere i suoi problemi. Egli anelava ad avere un amico fedele e degno di fiducia, ma i suoi problemi erano troppo complessi per essere compresi dai suoi compagni umani. La singolarità di questa situazione eccezionale lo induceva a portare il suo fardello da solo.
A partire dal suo quindicesimo compleanno Gesù poteva ufficialmente occupare il pulpito della sinagoga nel giorno di sabato. Molte volte prima, in assenza di oratori, era stato chiesto a Gesù di leggere le Scritture, ma ora era giunto il giorno in cui, secondo la legge, egli poteva condurre il servizio. Perciò il primo sabato dopo il suo quindicesimo compleanno il Cazan dispose che Gesù conducesse il servizio mattutino della sinagoga. E quando tutti i fedeli di Nazaret furono riuniti, il giovane, dopo aver fatto la sua scelta delle Scritture, si alzò e cominciò a leggere:
“Lo spirito del Signore Dio è su di me, perché il Signore mi ha unto; egli mi ha inviato a portare la buona novella ai mansueti, a curare quelli che hanno il cuore spezzato, a proclamare la libertà agli schiavi e a liberare i prigionieri spirituali; a proclamare l’anno del favore di Dio ed il giorno del giudizio del nostro Dio; a consolare tutti gli afflitti e a dare loro la bellezza in luogo delle ceneri, l’olio della gioia al posto del dolore, un canto di lodi invece dello spirito di cordoglio, affinché possano essere chiamati alberi di rettitudine, piantati dal Signore, con i quali egli possa essere glorificato.
“Cercate il bene e non il male, affinché possiate vivere, e così il Signore, il Dio degli eserciti, sarà con voi. Odiate il male ed amate il bene; stabilite il giudizio sulla porta. Forse il Signore Dio userà grazia verso i resti di Giuseppe.
“Lavatevi, purificatevi; allontanate il male dalle vostre azioni dinanzi ai miei occhi; cessate di fare il male ed imparate a fare il bene; cercate la giustizia, confortate gli oppressi. Difendete gli orfani di padre e perorate la causa delle vedove.
“Con che cosa mi presenterò davanti al Signore, per inchinarmi davanti al Signore di tutta la terra? Andrò davanti a lui con olocausti, con vitelli di un anno? Il Signore gradirà le migliaia di arieti, le decine di migliaia di pecore o i fiumi d’olio? Darò il mio primogenito per la mia trasgressione, il frutto del mio corpo per il peccato della mia anima? No! Perché il Signore ci ha mostrato, o uomini, ciò che è buono. Che cosa vi chiede il Signore se non di essere giusti, di amare la misericordia e di camminare umilmente con il vostro Dio?
“A chi, allora, paragonerete Dio che siede nei cieli sopra la terra? Alzate gli occhi e guardate chi ha creato tutti questi mondi, chi produce le loro moltitudini per numero e le chiama tutte con il loro nome. Egli fa tutte queste cose grazie alla grandezza della sua potenza e a causa della forza del suo potere non ne sbaglia una. Egli dona vigore ai deboli ed accresce la forza di coloro che sono stanchi.
“Non abbiate paura, perché io sono con voi; non temete, perché io sono il vostro Dio. Io vi fortificherò e vi aiuterò; sì, io vi sosterrò con la mano destra della mia giustizia, perché io sono il Signore vostro Dio. Ed io terrò la vostra mano destra dicendovi: non temete, perché io vi aiuterò.
“Tu sei il mio testimone, dice il Signore, ed il mio servitore che ho scelto perché tutti possiate conoscermi e credere in me e comprendere che io sono l’Eterno. Io, sì io sono il Signore, e all’infuori di me non c’è alcun salvatore.”
Quando ebbe terminato questa lettura, egli si sedette, e la gente rientrò a casa propria meditando le parole che egli aveva letto loro con tanta grazia. Mai i suoi concittadini l’avevano visto così magnificamente solenne; mai avevano sentito la sua voce così ardente e sincera; mai l’avevano visto così forte, così deciso, così pieno d’autorità.
Questo pomeriggio di sabato Gesù salì con Giacomo sulla collina di Nazaret, e quando ritornarono a casa egli scrisse i Dieci Comandamenti in greco con il carboncino su due tavolette di legno liscio. Successivamente Marta colorì e decorò queste tavolette, e per parecchio tempo esse rimasero appese al muro sopra il piccolo banco da lavoro di Giacomo.
Gradualmente Gesù e la sua famiglia ritornarono alla vita semplice dei loro primi anni. I loro vestiti ed anche il loro cibo divennero più semplici. Essi avevano latte, burro e formaggio in abbondanza. Alla stagione dovuta essi beneficiavano dei prodotti del loro giardino, ma ogni mese che passava erano obbligati a praticare una maggiore frugalità. I loro pasti erano molto semplici; il cibo migliore era riservato per il pasto della sera. Tuttavia, tra questi Ebrei, la mancanza di ricchezza non implicava un’inferiorità sociale.
Questo giovane aveva già quasi acquisito la comprensione di come vivevano gli uomini del suo tempo. Ed a qual punto egli comprendesse bene la vita di famiglia, dei campi e del laboratorio è mostrato dai suoi insegnamenti successivi, che rivelano così pienamente i suoi contatti intimi con tutte le fasi dell’esperienza umana. Il Cazan di Nazaret continuava a credere che Gesù sarebbe divenuto un grande maestro, probabilmente il successore del celebre Gamaliele a Gerusalemme.
Apparentemente tutti i piani di Gesù per il suo percorso furono contrastati. Il futuro non sembrava brillante per come si sviluppavano gli avvenimenti. Ma egli non vacillò, non si scoraggiò. Continuò a vivere giorno dopo giorno, compiendo bene il suo dovere presente ed assolvendo fedelmente le responsabilità immediate della sua attale posizione. La vita di Gesù è la consolazione eterna di tutti gli idealisti delusi.
Il salario di un carpentiere ordinario che lavorava a giornata diminuiva lentamente. Alla fine di quest’anno, lavorando dal mattino presto a sera tardi, Gesù non riusciva a guadagnare che molto poco. L’anno seguente essi ebbero difficoltà a pagare le tasse civili, senza parlare delle quote della sinagoga e della tassa di mezzo siclo per il tempio. Nel corso di quest’anno l’esattore delle imposte tentò di estorcere a Gesù un ricavo supplementare, minacciando persino di sequestrare la sua arpa.
Temendo che l’esemplare delle Scritture greche fosse scoperto e confiscato dagli esattori delle imposte, Gesù lo donò nel giorno del suo quindicesimo compleanno alla biblioteca della sinagoga di Nazaret, come offerta al Signore in occasione della sua maturità.
Il grande trauma del suo quindicesimo anno avvenne quando Gesù andò a Sefforis per ascoltare la decisione di Erode riguardo all’appello che aveva presentato per la disputa sull’entità della somma dovuta a Giuseppe al momento della sua morte accidentale. Gesù e Maria avevano sperato di ricevere una somma considerevole di denaro, mentre il tesoriere di Sefforis aveva offerto loro una somma irrisoria. I fratelli di Giuseppe avevano fatto appello ad Erode stesso, ed ora Gesù era a palazzo ed ascoltava Erode decretare che niente era dovuto a suo padre al momento della morte. E a causa di questa decisione così ingiusta Gesù non ebbe mai più fiducia in Erode Antipa. Non c’è da sorprendersi che egli abbia fatto allusione una volta ad Erode come a “quella volpe”.
Il lavoro assiduo al banco di carpentiere durante quest’anno e gli anni seguenti privò Gesù dell’opportunità di mescolarsi ai viaggiatori delle carovane. Il magazzino di approvvigionamento della famiglia era già stato ripreso da suo zio, e Gesù lavorava tutto il suo tempo nel laboratorio di casa, dove era vicino per aiutare Maria con la famiglia. In questo periodo egli cominciò a mandare Giacomo al caravanserraglio per raccogliere informazioni sugli avvenimenti del mondo, cercando così di tenersi al corrente delle notizie del giorno. Nel corso della sua crescita verso l’età adulta egli passò per tutti quei conflitti ed incertezze per cui sono passati i giovani normali delle ere precedenti e successive. La rigorosa esperienza di mantenere la sua famiglia era una sicura salvaguardia contro la possibilità di disporre di troppo tempo per meditazioni oziose o per indulgere a tendenze mistiche.
Questo fu l’anno in cui Gesù prese in affitto un grande appezzamento di terra a nord della loro casa, che fu diviso in porzioni d’orto di famiglia. Ciascuno dei figli più anziani ebbe un giardino individuale, ed essi si fecero una viva concorrenza nei loro sforzi agricoli. Il loro fratello maggiore passava ogni giorno un po’ di tempo con loro nel giardino durante la stagione della coltivazione degli ortaggi. Mentre Gesù lavorava in giardino con i suoi giovani fratelli e sorelle, ebbe più volte il desiderio di andare ad abitare tutti in una fattoria in campagna, dove avrebbero goduto la libertà e l’indipendenza di una vita libera. Ma essi non si vedevano crescere in campagna, e Gesù, che era un giovane pratico oltre che un idealista, affrontò con intelligenza ed energia il suo problema così come si presentava, e fece tutto ciò che era in suo potere per adeguare se stesso e la sua famiglia alle realtà della loro situazione e per adattare la loro condizione alla maggior soddisfazione possibile dei loro desideri individuali e collettivi.
Ad un certo momento Gesù aveva un po’ sperato che avrebbe potuto mettere insieme i mezzi sufficienti a garantire l’intenzione di acquistare una piccola fattoria se avessero riscosso la somma considerevole dovuta a suo padre per i lavori eseguiti al palazzo di Erode. Egli aveva pensato molto seriamente al piano di trasferire la sua famiglia in campagna. Ma quando Erode rifiutò di pagare loro qualsiasi importo di quanto dovuto a Giuseppe, essi rinunciarono all’ambizione di possedere una casa in campagna. Comunque riuscirono a godere molto dell’esperienza della vita di fattoria poiché ora avevano tre mucche, quattro pecore, una moltitudine di pulcini, un asino ed un cane, oltre ai piccioni. Anche i bambini avevano i loro incarichi regolari da svolgere nello schema ben regolato dell’organizzazione che caratterizzava la vita domestica di questa famiglia di Nazaret.
Alla fine del suo quindicesimo anno Gesù terminò la traversata di quel pericoloso e difficile periodo dell’esistenza umana, di quell’epoca di transizione tra gli anni di maggior soddisfazione dell’infanzia e la coscienza dell’imminente età adulta con le sue responsabilità ed opportunità accresciute di acquisire una maggiore esperienza nello sviluppo di un nobile carattere. Il periodo di crescita mentale e fisica era finito ed ora iniziava la vera missione di questo giovane uomo di Nazaret.