QUANDO entrò negli anni della sua adolescenza, Gesù si trovò ad essere il capo e l’unico sostegno di una famiglia numerosa. In pochi anni dopo la morte di suo padre tutte le loro proprietà erano state vendute. Con il passare del tempo egli prese sempre più coscienza della sua preesistenza; allo stesso tempo cominciò a comprendere più pienamente che era presente sulla terra e nella carne con l’espresso proposito di rivelare suo Padre del Paradiso ai figli degli uomini.
Nessun adolescente che è vissuto o vivrà mai su questo mondo o su qualsiasi altro mondo ha dovuto o dovrà mai risolvere problemi più gravi o sbrogliare difficoltà più intricate. Nessun giovane sulla Terra sarà mai chiamato a passare per conflitti più probanti o per situazioni più difficili di quelli che Gesù sopportò durante quegli anni ardui che vanno dal quindicesimo al ventesimo.
Essendo passato in tal modo per l’esperienza effettiva di vivere questi anni di adolescenza su un mondo assalito dal male e tormentato dal peccato, il Figlio dell’Uomo acquisì una conoscenza completa dell’esperienza di vita della gioventù in tutti i regni e di tutti i tempi.
Lentamente e per esperienza diretta, questo Figlio divino sta guadagnando il diritto di divenire il sovrano del suo Universo, il governatore supremo e indiscusso di tutte le intelligenze create su tutti i mondi dell’Universo, il rifugio comprensivo degli esseri di tutte le ere e di qualunque grado di dotazione e di esperienza personale.
Il Figlio incarnato passò per l’infanzia e visse una fanciullezza tranquilla. Egli emerse poi dal difficile periodo di transizione tra la fanciullezza e l’età virile - divenne l’adolescente Gesù.
Quest’anno egli raggiunse la sua completa crescita fisica. Era un giovane virile ed avvenente. Egli divenne sempre più austero e serio, ma rimase amabile e comprensivo. I suoi occhi erano benevoli, ma indagatori; il suo sorriso era sempre attraente e rassicurante. La sua voce era musicale, ma autorevole; il suo saluto era cordiale, ma senza affettazione. Sempre, anche nei contatti più ordinari, sembrava essere evidente l’espressione di una duplice natura, quella umana e quella divina. Egli mostrò sempre questa combinazione di amico comprensivo e di maestro autorevole. E questi tratti della sua personalità cominciarono a manifestarsi presto, fin da questi anni della sua adolescenza.
Questo giovane fisicamente forte e robusto raggiunse anche la crescita completa del suo intelletto umano, non la piena esperienza della mente umana, ma la piena capacità per un tale sviluppo intellettuale. Egli aveva un corpo sano e ben proporzionato, una mente vivace ed analitica, una disposizione benevola e comprensiva, un temperamento dinamico; e questo insieme cominciò a comporre una personalità forte, straordinaria e seducente.
Con il tempo divenne sempre più difficile per sua madre ed i suoi fratelli e sorelle capirlo; essi esitavano di fronte a quanto diceva ed interpretavano con difficoltà quanto faceva. Non potevano essere capaci di comprendere, come probabilmente ognuno di noi, la vita del loro fratello maggiore, contemporaneamente uomo e Dio.
Quest’anno Simone iniziò la scuola ed essi furono obbligati a vendere un’altra casa. Giacomo s’incaricò ora d’istruire la sue tre sorelle, due delle quali avevano l’età giusta per cominciare a studiare seriamente. Appena Rut crebbe, fu presa in carico da Miriam e Marta. Ordinariamente le ragazze delle famiglie ebree ricevevano un’istruzione limitata, ma Gesù era del parere (e sua madre era d’accordo con lui) che le ragazze dovessero andare a scuola come i ragazzi, e poiché la scuola della sinagoga non voleva accettarle, non c’era altra soluzione che condurre dei corsi scolastici speciali per loro a casa.
Per tutto quest’anno Gesù restò confinato al suo banco da lavoro. Per fortuna egli aveva molto lavoro e lo eseguiva in maniera così superiore che non era mai inattivo, nemmeno quando c’era poco lavoro in quella regione. In certi momenti aveva talmente da fare che Giacomo doveva aiutarlo.
Alla fine di quest’anno egli aveva quasi deciso che, dopo aver allevato i suoi fratelli e sorelle ed averli visti sposati, avrebbe iniziato il suo ministero pubblico come maestro di verità e rivelatore del Padre Celeste al mondo. Egli sapeva che non sarebbe divenuto il Messia ebreo atteso e concluse che per il momento era meglio non parlarne con nessuno, neanche in famiglia. Quindi, a partire da quest’anno egli parlò sempre meno con sua madre o con altre persone di questi problemi. La sua missione era così particolare che nessuno al mondo avrebbe potuto dargli dei consigli per compierla.
Benché giovane, egli era un vero padre per la sua famiglia; passava ogni ora possibile con i suoi fratelli e sorelle, ed essi lo amavano veramente. Sua madre era desolata nel vederlo lavorare tanto; era dispiaciuta che giorno dopo giorno faticasse al banco di carpentiere per guadagnare da vivere per la famiglia anziché essere a Gerusalemme, come loro avevano progettato con tanta cura, per studiare con i rabbini. Sebbene vi fossero molte cose concernenti suo figlio che Maria spesso non riusciva ancora a comprendere, essa lo amava molto, e ciò che apprezzava di più era la maniera spontanea con la quale egli si addossava la responsabilità della famiglia.
In quest’epoca vi fu una considerevole agitazione, specialmente a Gerusalemme e in Giudea, a favore di una ribellione contro il pagamento delle imposte a Roma. Si stava formando un forte partito nazionalista che fu subito chiamato gli Zeloti. Contrariamente ai Farisei, gli Zeloti non volevano attendere la venuta del Messia. Essi proponevano di risolvere tutto con una rivolta politica.
Un gruppo di organizzatori di Gerusalemme arrivò in Galilea e riuscì a farsi strada agevolmente fino al momento in cui giunse a Nazaret. Quando vennero a far visita a Gesù, egli li ascoltò con attenzione e pose un gran numero di domande, ma rifiutò di unirsi al partito. Egli rifiutò assolutamente di rivelare le ragioni che gli impedivano di aderire, ed il suo rifiuto ebbe per effetto di far uscire dagli Zeloti molti suoi giovani compagni di Nazaret.
Uno degli zii di Gesù (Simone, fratello di Maria) si era già unito a questo gruppo, divenendone in seguito un funzionario nella sezione della Galilea. E per molti anni vi fu un certo allontanamento fra Gesù e suo zio.
Ma a Nazaret cominciò a covare il disordine. L’atteggiamento di Gesù in questa faccenda aveva avuto come risultato di creare una divisione tra i giovani ebrei della città. Circa la metà si era unita all’organizzazione nazionalista, e l’altra metà cominciò a formare un gruppo opposto di patrioti più moderati, con la speranza che Gesù ne assumesse la direzione. Essi rimasero stupefatti quando egli rifiutò l’onore che gli si offriva, portando come scusa le sue pesanti responsabilità familiari, che tutti ammettevano. Ma la situazione si complicò ancora di più poco dopo quando Isacco, un ricco ebreo prestatore di denaro ai Gentili, propose di mantenere la famiglia di Gesù se egli avesse deposto i suoi attrezzi e si fosse messo alla testa di questi patrioti di Nazaret.
Gesù, allora appena diciassettenne, si trovò di fronte ad una delle situazioni più delicate e più imbarazzanti della sua giovane vita. È sempre difficile per i leader spirituali legarsi a movimenti nazionalistici, specialmente quando sono complicati da oppressori stranieri che percepiscono delle imposte; ed era doppiamente vero in questo caso poiché la religione ebraica era implicata in tutta questa agitazione contro Roma.
Tutti i migliori Ebrei di Nazaret si erano arruolati, e quei giovani che non si erano uniti al movimento erano tutti pronti ad arruolarsi nel momento in cui Gesù avesse cambiato idea. Egli aveva un solo consigliere saggio in tutta Nazaret, il suo vecchio maestro, il Cazan, che lo consigliò sulla sua replica al comitato dei cittadini di Nazaret quando vennero a chiedere la sua risposta all’appello pubblico che era stato fatto. In tutta la giovane vita di Gesù questa fu la prima volta che egli ricorse coscientemente ad una manovra strategica. Fino ad allora egli aveva sempre contato su una sincera esposizione della verità per chiarire la situazione, ma ora non poteva proclamare l’intera verità. Non poteva dichiarare di essere più che un uomo; non poteva rivelare la sua idea della missione che l’attendeva quando fosse stato un po’ più maturo. Malgrado queste limitazioni, la sua fedeltà religiosa e la sua lealtà nazionale erano direttamente messe alla prova. La sua famiglia era in agitazione, i suoi giovani amici divisi, e tutto il contingente ebreo della città era in subbuglio. E pensare che era da biasimare per tutto ciò! Quanto poco egli aveva desiderato causare un qualunque turbamento ed ancor meno uno scompiglio di tal genere.
Bisognava fare qualcosa. Gesù doveva far conoscere la sua posizione, e lo fece coraggiosamente e diplomaticamente con soddisfazione di molti, ma non di tutti. Egli si attenne ai termini della sua argomentazione originaria, sostenendo che il suo primo dovere era verso la sua famiglia, che una madre vedova ed otto fratelli e sorelle avevano bisogno di qualcosa di più di ciò che il semplice denaro può acquistare - le necessità materiali della vita; che essi avevano diritto alla sorveglianza e alla guida di un padre, e che egli non poteva in tutta coscienza scaricarsi dell’obbligo che un crudele incidente aveva fatto ricadere su di lui. Egli si felicitò con sua madre ed il maggiore dei suoi fratelli di volerlo liberare dai suoi obblighi, ma ripeté che la fedeltà a suo padre morto gli impediva di lasciare la sua famiglia, indipendentemente da quanto denaro avesse ricevuto per il loro sostegno materiale, facendo la sua indimenticabile dichiarazione che “il denaro non può amare”. Nel corso di questa allocuzione Gesù fece parecchie velate allusioni alla “missione della sua vita”, ma spiegò che, indipendentemente dal fatto che fosse o meno compatibile con il militarismo, egli vi avrebbe rinunciato con ogni altra cosa della sua vita per compiere fedelmente il suo dovere verso la famiglia. Ognuno a Nazaret sapeva bene che egli era un buon padre per la sua famiglia, e questa era una cosa così vicina al cuore di ogni nobile Ebreo che la supplica di Gesù trovò una risposta favorevole nel cuore di molti dei suoi ascoltatori. E alcuni di quelli che non la pensavano così furono disarmati da un discorso fatto da Giacomo che, sebbene non fosse in programma, fu pronunciato in quel momento. Quello stesso giorno il Cazan aveva fatto provare a Giacomo il suo discorso, ma questo era il loro segreto.
Giacomo si disse certo che Gesù avrebbe aiutato a liberare il suo popolo se lui (Giacomo) fosse stato abbastanza vecchio da assumere la responsabilità della famiglia, e che, se solo avessero consentito a Gesù di rimanere “con noi per essere il nostro padre ed il nostro educatore, allora dalla famiglia di Giuseppe non avrebbero avuto solo un capo, ma ben presto cinque leali nazionalisti, perché non vi sono cinque di noi ragazzi che crescono e che stanno per uscire dalla tutela del nostro fratello-padre per servire la nostra nazione?” E così il ragazzo mise fine abbastanza felicemente ad una situazione molto tesa e minacciosa.
La crisi per il momento era superata, ma questo incidente non fu mai dimenticato a Nazaret. L’agitazione persisté; Gesù non beneficiò mai più di un favore unanime; le divergenze di opinione non furono mai completamente appianate. E ciò, in aggiunta ad altri avvenimenti successivi, fu una delle principali ragioni per le quali egli si trasferì qualche anno più tardi a Cafarnao. Da allora Nazaret mantenne una divisione di sentimenti riguardo al Figlio dell’Uomo.
Quest’anno Giacomo si diplomò e cominciò a lavorare a tempo pieno a casa nel laboratorio di carpenteria. Egli era divenuto un abile operaio nel maneggiare gli attrezzi ed iniziò subito a fabbricare gioghi e carrucole, mentre Gesù cominciò a fare più dei lavori di finiture d’interni e di fine ebanisteria.
Quest’anno Gesù fece grandi progressi nell’organizzazione della sua mente. Gradualmente egli aveva conciliato la sua natura divina con la sua natura umana, e compì tutta questa organizzazione intellettuale con la forza delle proprie decisioni e con il solo aiuto del suo Spirito interiore, un Spirito simile a quelli che hanno nel cuore tutti i mortali, figli di Dio. Fino ad allora niente di soprannaturale era accaduto nel cammino di questo giovane uomo, salvo la visita di un angelo messaggero inviato da Emanuele, che gli apparve una volta durante la notte a Gerusalemme.
Nel corso di quest’anno tutte le proprietà della famiglia, salvo la casa in cui abitavano ed il giardino, erano stati liquidati. L’ultima porzione di proprietà a Cafarnao (eccetto una parte in un’altra proprietà), già ipotecata, fu venduta. Il ricavato servì a pagare le tasse, ad acquistare alcuni nuovi attrezzi per Giacomo e a fare un pagamento per il vecchio magazzino familiare di forniture e riparazioni vicino al caravanserraglio, che Gesù desiderava ora riscattare perché Giacomo era abbastanza grande per lavorare nel laboratorio di casa ed aiutare Maria in famiglia. Liberato per il momento dalla pressione finanziaria, Gesù decise di condurre Giacomo alla Pasqua. Essi partirono per Gerusalemme un giorno prima per essere soli, percorrendo la strada della Samaria. Durante il cammino Gesù illustrò a Giacomo i luoghi storici attraversati, come suo padre gli aveva insegnato cinque anni prima nel corso di un viaggio simile.
Passando per la Samaria essi videro numerosi spettacoli strani. Durante questo viaggio discussero molto dei loro problemi personali, familiari e nazionali. Giacomo era un tipo di ragazzo molto religioso, e benché non fosse completamente d’accordo con sua madre riguardo al poco che conosceva dei piani concernenti l’opera della vita di Gesù, aspettava il momento in cui fosse stato in grado di assumere la responsabilità della famiglia per permettere a Gesù d’iniziare la sua missione. Egli apprezzava molto che Gesù l’avesse condotto alla Pasqua e discussero del futuro più a fondo di quanto avessero mai fatto prima.
Gesù rifletté molto durante la traversata della Samaria, particolarmente a Betel e al pozzo di Giacobbe, dove si fermarono per bere. Lui e suo fratello discussero delle tradizioni di Abramo, di Isacco e di Giacobbe. Egli fece molto per preparare Giacomo a ciò che avrebbe visto a Gerusalemme, cercando così di attenuare uno shock simile a quello che lui stesso aveva provato alla sua prima visita al tempio. Ma Giacomo non era così sensibile a certi spettacoli. Egli criticò la maniera superficiale e crudele con cui qualche sacerdote compiva il suo dovere, ma nell’insieme fu molto soddisfatto del suo soggiorno a Gerusalemme.
Gesù condusse Giacomo a Betania per la cena di Pasqua. Simone era stato sepolto con i suoi avi, e Gesù presiedette la tavolata come capo della famiglia per la Pasqua, avendo portato l’agnello pasquale dal tempio.
Dopo la cena di Pasqua, Maria si sedette a parlare con Giacomo mentre Marta, Lazzaro e Gesù s’intrattennero insieme fino a notte inoltrata. L’indomani essi assistettero ai servizi del tempio e Giacomo fu accolto nella comunità d’Israele. Quel mattino, quando si fermarono sulla sommità dell’Oliveto per guardare il tempio, mentre Giacomo esprimeva la sua ammirazione, Gesù contemplava Gerusalemme in silenzio. Giacomo non riusciva a capire l’atteggiamento di suo fratello. Quella sera essi ritornarono di nuovo a Betania e sarebbero partiti verso casa il giorno dopo, ma Giacomo insisté per ritornare a visitare il tempio, spiegando che desiderava ascoltare gli insegnanti. E benché ciò fosse vero, nel segreto del suo cuore egli voleva ascoltare Gesù partecipare alle discussioni, come sua madre gli aveva raccontato. Essi andarono dunque al tempio ed ascoltarono le discussioni, ma Gesù non pose domande. Tutto ciò sembrava così puerile ed insignificante a questa mente di uomo/Dio che si stava risvegliando - egli poteva solo averne pietà. Giacomo rimase deluso dal fatto che Gesù non avesse detto niente. Alle sue domande Gesù rispose solamente: “La mia ora non è ancora giunta.”
Il giorno dopo essi fecero il viaggio di ritorno passando per Gerico e la valle del Giordano, e durante il cammino Gesù raccontò molte cose, incluso il suo primo viaggio per questa strada quando aveva tredici anni.
Al suo ritorno a Nazaret, Gesù cominciò a lavorare nel vecchio laboratorio familiare di riparazioni e fu molto lieto di poter incontrare quotidianamente molte persone provenienti da tutte le parti del paese e dei distretti circostanti. Gesù amava veramente la gente - le persone del popolo. Ogni mese egli pagava la mensilità di riscatto del laboratorio e, con l’aiuto di Giacomo, continuava a mantenere la famiglia.
Molte volte all’anno, quando non c’erano visitatori presenti per questa funzione, Gesù continuava a leggere le Scritture del sabato alla sinagoga e commentava spesso la lezione, ma normalmente sceglieva brani che non avevano bisogno di commento. Egli era così abile nel disporre l’ordine delle letture dei vari brani che uno chiariva l’altro. Il sabato pomeriggio egli non mancava mai, tempo permettendo, di condurre i suoi fratelli e sorelle fuori per una passeggiata salutare.
In quest’epoca il Cazan inaugurò un circolo di discussioni filosofiche per giovani che si riuniva a casa dei vari membri e spesso nella sua stessa casa, e Gesù divenne un membro eminente di questo gruppo. In tal modo egli poté riguadagnare un po’ del prestigio locale che aveva perso al momento delle recenti controversie nazionalistiche.
La sua vita sociale, per quanto limitata, non era del tutto trascurata. Egli aveva molti buoni amici ed ammiratori ferventi fra i giovani e le giovani di Nazaret.
In settembre Elisabetta e Giovanni vennero a far visita alla famiglia di Nazaret. Giovanni, avendo perso il padre, aveva intenzione di ritornare tra le colline della Giudea per occuparsi di agricoltura ed allevare pecore, a meno che Gesù non gli consigliasse di restare a Nazaret per diventare carpentiere o fare qualche altro genere di lavoro. Essi ignoravano che la famiglia di Nazaret era praticamente in miseria. Più Maria ed Elisabetta parlavano dei loro figli, più si convincevano che sarebbe stato bene per i due giovani lavorare insieme e vedersi più spesso.
Gesù e Giovanni ebbero molti colloqui e discussero di alcune questioni molto intime e personali. Alla fine di questa visita essi decisero di non rivedersi fino a quando non si fossero incontrati nel loro ministero pubblico dopo che “il Padre Celeste li avesse chiamati” alla loro opera. Giovanni rimase profondamente scosso per aver sentito a Nazaret che doveva tornare a casa e lavorare per mantenere sua madre. Egli si convinse che avrebbe partecipato alla missione della vita di Gesù, ma comprese che Gesù si sarebbe dovuto occupare per molti anni del mantenimento della propria famiglia. Così fu molto più contento di ritornare a casa sua e di prendersi cura della loro piccola fattoria e di provvedere ai bisogni di sua madre. E Giovanni e Gesù non si rividero più fino a quel giorno al Giordano quando il Figlio dell’Uomo si presentò per essere battezzato.
Sabato pomeriggio 3 dicembre di quest’anno la morte colpì per la seconda volta questa famiglia di Nazaret. Il piccolo Amos, il loro fratellino, morì dopo una settimana di malattia con febbre alta. Dopo essere passata per questo periodo di dolore con suo figlio primogenito come suo unico sostegno, Maria riconobbe infine e nel senso più pieno che Gesù era il vero capo della famiglia; ed egli era veramente un capo responsabile e di valore.
Per quattro anni il loro livello di vita era costantemente diminuito; di anno in anno essi si sentivano attanagliati da una crescente povertà. Alla fine di quest’anno dovettero affrontare una delle prove più penose tra tutte le loro ardue lotte. Giacomo non aveva ancora cominciato a guadagnare molto, e la spesa di un funerale in aggiunta a tutto il resto li fece vacillare. Ma Gesù si limitò a dire alla sua ansiosa ed afflitta madre: “Madre Maria, il dispiacere non ci aiuterà; stiamo facendo tutti del nostro meglio, ed il sorriso della mamma, forse, potrebbe stimolarci a fare ancora di più. Giorno dopo giorno noi siamo fortificati in questi compiti dalla nostra speranza di avere davanti a noi giorni migliori.” Il suo solido e pratico ottimismo era veramente contagioso; tutti i figli vivevano in un’atmosfera di attesa di tempi e di cose migliori. E questo coraggio pieno di speranza contribuì fortemente a sviluppare in loro dei caratteri forti e nobili, nonostante la loro deprimente povertà.
Gesù possedeva la facoltà di mobilitare efficacemente tutti i suoi poteri mentali, psichici e fisici nel compito da assolvere immediatamente. Egli poteva concentrare la sua mente profondamente riflessiva sul solo problema che desiderava risolvere, e questo, in aggiunta alla sua inesauribile pazienza, lo rendeva capace di sopportare serenamente le prove di un’esistenza mortale difficile - di vivere come se “vedesse Colui che è invisibile”.
In questo periodo Gesù e Maria si capivano molto meglio. Essa lo considerava meno come un figlio; egli era divenuto per lei più un padre per i suoi figli. La vita quotidiana era piena di difficoltà pratiche ed immediate. Essi parlavano meno frequentemente dell’opera della sua vita, perché, con il passare del tempo, tutti i loro pensieri erano vicendevolmente rivolti al mantenimento e all’educazione della loro famiglia di quattro ragazzi e tre ragazze.
All’inizio di quest’anno Gesù aveva completamente convinto sua madre ad accettare i suoi metodi di educazione dei figli - l’ingiunzione positiva a fare il bene invece dell’antico metodo ebraico di proibire di fare il male. In casa sua e durante il suo percorso d’insegnamento pubblico Gesù impiegò invariabilmente la forma positiva di esortazione. Sempre e ovunque egli diceva: “Farete questo - dovreste fare quello.” Egli non impiegava mai il modo negativo d’insegnare derivato dagli antichi tabù. Si asteneva dal dare importanza al male proibendolo, mentre esaltava il bene ordinando di compierlo. In questa casa il momento della preghiera era l’occasione per discutere di tutto ciò che concerneva il benessere della famiglia.
Gesù cominciò a disciplinare saggiamente i suoi fratelli e sorelle ad un’età così tenera che ci fu bisogno di poca o nessuna punizione per assicurare la loro pronta e spontanea obbedienza. La sola eccezione era Giuda, verso il quale in differenti occasioni Gesù trovò necessario imporre delle punizioni per le sue infrazioni alle regole della casa. In tre occasioni in cui stimò saggio punire Giuda per aver deliberatamente violato le regole di condotta della famiglia ed averlo riconosciuto, la sua punizione fu fissata con decisione unanime dei figli più anziani ed approvata da Giuda stesso prima che gli fosse inflitta.
Sebbene Gesù fosse molto metodico e sistematico in tutto ciò che faceva, c’erano anche in tutte le sue decisioni amministrative una confortante elasticità d’interpretazione ed un’individualità di adattamento che colpivano grandemente tutti i ragazzi con lo spirito di giustizia che animava il loro fratello-padre. Egli non castigava mai arbitrariamente i suoi fratelli e sorelle, e la sua imparzialità uniforme e la sua considerazione personale resero Gesù molto caro a tutta la sua famiglia.
Giacomo e Simone crebbero cercando di seguire il piano di Gesù nel calmare i loro compagni bellicosi e talvolta collerici con la persuasione e la non resistenza, e ci riuscirono abbastanza bene. Ma Giuseppe e Giuda, benché accettassero tali insegnamenti in casa, si affrettavano a difendersi quando erano attaccati dai loro compagni; in particolare era Giuda colpevole di violare lo spirito di questi insegnamenti. Ma la non resistenza non era una regola della famiglia. La violazione degli insegnamenti personali non comportava alcuna punizione.
In generale, tutti i figli, soprattutto le figlie, consultavano Gesù riguardo ai loro dispiaceri di gioventù e si confidavano con lui come avrebbero fatto con un padre affettuoso.
Giacomo cresceva divenendo un giovane ben equilibrato e di umore costante, ma non aveva le inclinazioni spirituali di Gesù. Egli era uno studente molto migliore di Giuseppe, il quale, benché fosse un lavoratore coscienzioso, era ancor meno incline alla spiritualità; Giuseppe era uno sgobbone, ma non raggiungeva il livello intellettuale degli altri figli. Simone era un ragazzo ben intenzionato, ma troppo sognatore. Egli fu lento a sistemarsi nella vita e fu causa di considerevole preoccupazione per Gesù e Maria. Ma fu sempre un buon ragazzo e pieno di buone intenzioni. Giuda era un tizzone ardente. Aveva gli ideali più elevati, ma possedeva un temperamento instabile. Era determinato ed aggressivo quanto e più di sua madre, ma mancava molto del senso della misura e della discrezione di lei.
Miriam era una figlia ben equilibrata e dotata di buon senso, con un apprezzamento acuto delle cose nobili e spirituali. Marta era lenta di pensiero e d’azione, ma era una ragazza molto efficiente e degna di fiducia. La piccola Rut era il raggio di sole della casa; parlava un po’ sconsideratamente, ma aveva un cuore assolutamente sincero. Essa adorava letteralmente il suo grande fratello e padre; ma essi non la viziavano. Era una bella ragazza, ma non così avvenente come Miriam, che era la bella della famiglia, se non della città.
Con il passare del tempo Gesù fece molto per liberalizzare e modificare gli insegnamenti e le pratiche di famiglia relative all’osservanza del sabato e a molti altri aspetti della religione; e a tutti questi cambiamenti Maria dava una calorosa approvazione. In questo periodo Gesù era divenuto il capo incontestato della casa.
Quest’anno Giuda cominciò ad andare a scuola e Gesù fu obbligato a vendere la sua arpa per sostenere queste spese. Così scomparve l’ultimo dei suoi piaceri ricreativi. Egli amava molto suonare l’arpa quando aveva la mente stanca ed il corpo affaticato, ma si consolò al pensiero che almeno l’arpa non sarebbe stata confiscata dagli esattori delle imposte.
Sebbene Gesù fosse povero, la sua posizione sociale a Nazaret non era in alcun modo compromessa. Egli era uno dei migliori giovani della città ed era assai considerato dalla maggior parte delle giovani. Poiché Gesù era un così splendido esemplare di virilità fisica ed intellettuale, e considerata la sua reputazione di capo spirituale, non era strano che Rebecca, la figlia maggiore di Ezra, un ricco mercante e commerciante di Nazaret, avesse scoperto che si stava lentamente innamorando di questo figlio di Giuseppe. Essa confidò dapprima il suo sentimento a Miriam, la sorella di Gesù, e Miriam a sua volta ne parlò a sua madre. Maria fu vivamente turbata. Stava forse per perdere suo figlio, divenuto ora il capo indispensabile della famiglia? Sarebbero mai cessate le difficoltà? Che cosa poteva accadere ancora? Ed allora si mise a meditare quale effetto avrebbe avuto il matrimonio sull’incarico futuro di Gesù perché sempre nel suo cuore essa si ricordava del fatto che Gesù era un “figlio della promessa”. Dopo che lei e Miriam ebbero discusso di questa faccenda, decisero di fare un tentativo per mettere fine alla cosa prima che Gesù ne venisse a conoscenza, andando direttamente da Rebecca per spiegarle tutta la storia ed informarla onestamente della loro credenza che Gesù fosse un figlio del destino; che sarebbe divenuto un grande capo religioso, forse il Messia.
Rebecca ascoltò con attenzione; essa fu galvanizzata dal racconto e più che mai determinata a spartire la sua sorte con l’uomo che aveva scelto e a condividere il suo percorso di capo. Essa sostenne (nel suo intimo) che un tale uomo avrebbe avuto tanto più bisogno di una moglie fedele e capace. Interpretò gli sforzi di Maria per dissuaderla come una reazione naturale al suo timore di perdere il capo ed il solo sostegno della sua famiglia. Ma sapendo che suo padre approvava la sua attrazione per il figlio del carpentiere, essa dava giustamente per scontato che egli sarebbe stato felice di dare alla famiglia una rendita sufficiente a compensare pienamente la perdita dei guadagni di Gesù. Quando suo padre ebbe accettato questo piano, Rebecca ebbe altri incontri con Maria e Miriam, e non essendo riuscita ad ottenere il loro aiuto, ebbe l’audacia di andare direttamente da Gesù. Essa fece questo con la collaborazione di suo padre, che invitò Gesù a casa loro per festeggiare il diciassettesimo compleanno di Rebecca.
Gesù ascoltò con attenzione e simpatia il racconto di queste cose, prima dal padre, poi da Rebecca stessa. Egli replicò gentilmente che nessuna somma di denaro poteva rimpiazzare il suo obbligo personale di allevare la famiglia di suo padre, di “compiere il più sacro di tutti i doveri umani - la fedeltà alla propria carne e al proprio sangue”. Il padre di Rebecca fu profondamente toccato dalle parole di devozione familiare di Gesù e si ritirò dall’incontro. Il suo unico commento a sua moglie Maria fu: “Non possiamo averlo per figlio; è troppo nobile per noi.”
Fino ad allora Gesù aveva fatto poca distinzione nelle sue relazioni con ragazzi e ragazze, con uomini e donne giovani. La sua mente era stata troppo interamente assorbita dai problemi pressanti degli affari pratici di questo mondo e dall’affascinante contemplazione della sua eventuale missione “concernente gli affari di suo Padre” per aver mai considerato seriamente la consumazione dell’amore personale nel matrimonio umano. Ma ora si trovava di fronte ad un altro di quei problemi che ogni essere umano ordinario deve affrontare e risolvere. Egli fu veramente “provato in tutti i punti come lo siete voi”.
Dopo aver ascoltato con attenzione, egli ringraziò sinceramente Rebecca per avergli espresso la sua ammirazione, aggiungendo: “Ciò m’incoraggerà e mi conforterà tutti i giorni della mia vita.” Egli spiegò che non era libero di avere con una donna altre relazioni che quelle di semplice rapporto fraterno e di pura amicizia. Precisò che il suo primo e più importante dovere era di allevare la famiglia di suo padre, che non poteva prendere in considerazione il matrimonio prima che ciò fosse compiuto; e poi aggiunse: “Se io sono un figlio del destino, non devo assumere degli obblighi per la durata della vita prima che il mio destino sia reso manifesto.”
Rebecca ebbe il cuore spezzato. Essa rifiutò di essere consolata ed insisté con suo padre per lasciare Nazaret fino a che egli alla fine acconsentì di trasferirsi a Sefforis. Negli anni seguenti, per i numerosi uomini che la chiesero in sposa, Rebecca ebbe una sola risposta. Essa viveva per un solo proposito - aspettare l’ora in cui colui che era per lei il più grande uomo che fosse mai vissuto avesse cominciato il suo percorso come insegnante della verità vivente. Ed essa lo seguì con devozione attraverso gli anni movimentati del suo ministero pubblico, presente (non vista da Gesù) il giorno in cui entrò trionfalmente a Gerusalemme sopra un asinello; ed era “tra le altre donne” a fianco di Maria in quel fatale e tragico pomeriggio in cui il Figlio dell’Uomo fu appeso alla croce, per lei “il solo interamente degno di essere amato ed il più grande tra diecimila”.
La storia dell’amore di Rebecca per Gesù si diffuse a Nazaret e più tardi a Cafarnao, cosicché, anche se negli anni che seguirono molte donne amarono Gesù così come l’amarono gli uomini, egli non dovette nuovamente rifiutare l’offerta personale di devozione di un’altra donna onesta. Da questo momento l’affetto umano per Gesù ebbe maggiormente la natura di una considerazione rispettosa e adoratrice. Uomini e donne lo amavano con devozione e per ciò che egli era, senza la minima sfumatura di soddisfazione egoista o di desiderio di possesso affettivo. Ma per molti anni, ogni volta che si raccontava la storia della personalità umana di Gesù, si menzionava la devozione di Rebecca.
Miriam, che conosceva bene la questione di Rebecca e sapeva come suo fratello aveva rinunciato anche all’amore di una bella giovane (senza tenere conto del fattore della sua futura missione di destino), giunse ad idealizzare Gesù e ad amarlo con toccante e profondo affetto sia come padre che come fratello.
Sebbene essi non potessero permetterselo, Gesù aveva uno strano desiderio di andare a Gerusalemme per la Pasqua. Sua madre, conoscendo la sua recente esperienza con Rebecca, lo incoraggiò saggiamente a fare il viaggio. Egli non ne era marcatamente cosciente, ma ciò che desiderava di più era un’occasione per parlare con Lazzaro e per far visita a Marta e Maria. Dopo la sua famiglia egli amava questi tre più di tutti.
Nel fare questo viaggio a Gerusalemme, egli andò per la strada di Meghiddo, Antipatride e Lidda, percorrendo in parte la stessa strada seguita quando fu ricondotto a Nazaret di ritorno dall’Egitto. Egli impiegò quattro giorni per andare alla Pasqua e rifletté molto sugli avvenimenti passati che avevano avuto luogo a Meghiddo e nei suoi dintorni, campo di battaglia internazionale della Palestina.
Gesù attraversò Gerusalemme, fermandosi solo per guardare il tempio e la moltitudine di visitatori che si ammassavano. Egli aveva una strana e crescente avversione per questo tempio costruito da Erode, con il suo clero scelto per ragioni politiche. Desiderava soprattutto vedere Lazzaro, Marta e Maria. Lazzaro aveva la stessa età di Gesù ed era ora a capo della sua famiglia; al momento di questa visita anche la madre di Lazzaro era stata sepolta. Marta aveva poco più di un anno rispetto a Gesù, mentre Maria era di due anni più giovane. E Gesù era amato sinceramente da tutti e tre.
Nel corso di questa visita ebbe luogo una di quelle manifestazioni periodiche di ribellione contro la tradizione - l’espressione di risentimento per quelle pratiche cerimoniali che Gesù considerava dessero un’idea falsata di suo Padre Celeste. Non sapendo che Gesù sarebbe venuto, Lazzaro aveva organizzato di celebrare la Pasqua con degli amici in un villaggio vicino più in basso sulla strada di Gerico. Ora Gesù proponeva di celebrare la festa dov’erano, nella casa di Lazzaro. “Ma”, disse Lazzaro, “non abbiamo l’agnello pasquale”. Ed allora Gesù cominciò una prolungata e convincente dissertazione per dimostrare che il Padre Celeste in verità non s’interessava a questi rituali infantili e privi di senso. Dopo una solenne e fervente preghiera essi si alzarono, e Gesù disse: “Lasciate che le menti puerili ed ignoranti del mio popolo servano il loro Dio conformemente alle direttive di Mosè; è meglio che essi lo facciano, ma noi che abbiamo visto la luce della vita cessiamo di accostare nostro Padre attraverso le tenebre della morte. Restiamo liberi nella conoscenza della verità dell’amore eterno di nostro Padre.”
Quella sera al crepuscolo tutti e quattro si sedettero e parteciparono alla prima festa di Pasqua che fosse mai stata celebrata da devoti Ebrei senza l’agnello pasquale. Per questa Pasqua erano stati preparati il pane senza lievito ed il vino, e questi cibi simbolici, che Gesù chiamò “il pane della vita” e “l’acqua della vita”, li servì ai suoi compagni, ed essi mangiarono conformandosi solennemente agli insegnamenti appena impartiti. E fu sua abitudine praticare questo rito sacramentale ogniqualvolta egli fece visita successivamente a Betania. Quando ritornò a casa, egli raccontò tutto ciò a sua madre. In un primo tempo essa rimase sorpresa, ma a poco a poco accettò il suo punto di vista. Ciononostante essa fu molto sollevata quando Gesù l’assicurò che non aveva intenzione d’introdurre questa nuova idea della Pasqua nella loro famiglia. A casa, con i ragazzi, egli continuò anno dopo anno a consumare la Pasqua “secondo la legge di Mosè”.
Fu durante quest’anno che Maria ebbe una lunga conversazione con Gesù sul matrimonio. Essa gli chiese francamente se si sarebbe sposato nel caso fosse stato libero dalle sue responsabilità familiari. Gesù le spiegò che, siccome il dovere immediato impediva il suo matrimonio, egli vi aveva pensato poco. Egli si espresse come se dubitasse di doversi mai sposare; disse che tutte queste cose dovevano attendere “la mia ora”, il momento in cui “il lavoro di mio Padre dovrà cominciare”. Avendo già deciso nella sua mente che non doveva diventare padre di figli nella carne, si preoccupava poco del problema del matrimonio umano.
Quest’anno egli riprese il suo compito di fondere sempre più la sua natura mortale e quella divina in una semplice ed efficace individualità umana. E continuò a crescere in status morale ed in comprensione spirituale.
Benché tutte le loro proprietà di Nazaret (eccetto la loro casa) fossero state liquidate, quest’anno ricevettero un piccolo aiuto finanziario dalla vendita di una partecipazione in una proprietà di Cafarnao. Questa era l’ultima dell’intero patrimonio di Giuseppe. Tale proprietà di Cafarnao fu acquistata da un costruttore di battelli di nome Zebedeo.
Giuseppe si diplomò alla scuola della sinagoga quest’anno e si preparò ad iniziare il lavoro al piccolo banco nel laboratorio familiare di carpenteria. Sebbene la proprietà del loro padre fosse esaurita, c’erano delle prospettive per riuscire a vincere la povertà poiché tre di loro erano ora regolarmente al lavoro.
Gesù sta rapidamente diventando un uomo, non semplicemente un giovane uomo, ma un adulto. Egli ha imparato bene come portare delle responsabilità. Conosce come andare avanti di fronte alle delusioni. Si fa forza quando i suoi piani sono contrastati ed i suoi propositi temporaneamente frustrati. Ha imparato ad essere equo e giusto anche di fronte all’ingiustizia. Sta imparando come aggiustare i suoi ideali della vita spirituale in base alle esigenze pratiche dell’esistenza terrena. Sta imparando come fare dei piani per raggiungere uno scopo idealista superiore e lontano, sforzandosi assiduamente di raggiungere uno scopo di necessità più vicino ed immediato. Sta acquisendo progressivamente l’arte di aggiustare le sue aspirazioni in base alle esigenze ordinarie della vita umana. Si è quasi impadronito della tecnica di utilizzare l’energia dell’impulso spirituale per far funzionare il meccanismo delle realizzazioni materiali. Sta imparando lentamente come vivere la vita celeste proseguendo la sua esistenza terrena. Dipende sempre più dalle direttive ultime di suo Padre Celeste, assumendo il ruolo paterno di guidare e dirigere i figli della sua famiglia terrena. Sta divenendo esperto nell’arte di strappare una vittoria da una disfatta; sta imparando come trasformare le difficoltà del tempo in trionfi dell’eternità.
E così, con il passare degli anni, questo giovane uomo di Nazaret continua a fare l’esperienza della vita qual è vissuta nella carne mortale sui mondi del tempo e dello spazio. Egli vive sulla Terra una vita completa, rappresentativa e piena. Egli lasciò questo mondo avendo maturato l’esperienza che le sue creature attraversano durante i brevi e duri anni della loro prima vita, la vita nella carne. E tutta questa esperienza umana è proprietà eterna del Sovrano dell’Universo. Egli è il nostro fratello comprensivo, amico compassionevole, sovrano sperimentato e padre misericordioso.
Da ragazzo egli accumulò un vasto insieme di conoscenze; da giovane scelse, classificò e coordinò queste informazioni; ed ora come uomo del regno egli comincia ad organizzare queste acquisizioni mentali in vista del loro impiego nel suo insegnamento successivo, nel suo ministero e nel suo servizio a favore dei suoi simili mortali su questo mondo e su tutto l’ Universo.
Venuto al mondo come un bambino del regno, egli ha vissuto la sua vita d’infanzia ed ha attraversato le tappe successive della giovinezza e dell’adolescenza. Egli si trova ora alle soglie della piena maturità, ricco dell’esperienza della vita umana, perfezionato nella comprensione della natura umana e ripieno di compassione per le debolezze della natura umana. Egli sta divenendo esperto nell’arte divina di rivelare suo Padre del Paradiso alle creature mortali di tutte le ere e di ogni livello.
Ed ora da uomo maturo - da adulto del regno - si prepara a proseguire la sua suprema missione di rivelare Dio agli uomini e di condurre gli uomini a Dio.
QUANDO Gesù di Nazaret entrò nei primi anni della sua vita di adulto, aveva vissuto, e continuava a vivere, una vita umana normale e ordinaria sulla terra. Gesù venne in questo mondo esattamente come ci vengono gli altri bambini; non ebbe alcun ruolo nella scelta dei suoi genitori. Egli scelse questo mondo particolare come pianeta in cui effettuare il suo settimo ed ultimo conferimento, la sua incarnazione nelle sembianze della carne mortale, ma per il resto venne al mondo in un modo naturale, crescendo come un bambino del regno e lottando contro le vicissitudini del suo ambiente esattamente come fanno gli altri mortali su questo mondo e su mondi similari.
Bisogna sempre tenere a mente il duplice proposito del conferimento di Gesù sulla Terra:
1. Acquisire l’esperienza di vivere la vita completa di una creatura umana nella carne mortale per completare la sua sovranità nell’ Universo.
2. Rivelare il Padre Universale agli abitanti mortali dei mondi del tempo e dello spazio e condurre più efficacemente questi stessi mortali ad una migliore comprensione del Padre Universale.
Con il raggiungimento dell’età adulta Gesù cominciò seriamente e con piena coscienza di sé il compito di completare l’esperienza di conoscere a fondo la vita delle forme più basse delle sue creature intelligenti, acquisendo così definitivamente e pienamente il diritto di sovranità assoluta sull’Universo da lui stesso creato. Egli iniziò questo compito prodigioso nella piena consapevolezza della sua duplice natura. Ma aveva già efficacemente congiunto queste due nature in una - Gesù di Nazaret.
Joshua ben Joseph sapeva molto bene di essere un uomo, un uomo mortale, nato da donna. Ciò è dimostrato dalla scelta del suo primo appellativo, il Figlio dell’ Uomo. Egli partecipava veramente della nostra natura di carne e di sangue, ed anche ora, che presiede con autorità sovrana ai destini di un Universo, porta ancora tra i suoi numerosi titoli ben guadagnati quello di Figlio dell’Uomo. È letteralmente vero che il Verbo creativo - il Figlio Creatore - del Padre Universale fu “fatto carne ed abitò come un uomo del regno sulla Terra”. Egli lavorò, si stancò, si riposò e dormì. Ebbe fame e soddisfò il suo appetito con il cibo; ebbe sete e si dissetò con l’acqua. Egli sperimentò tutta la gamma dei sentimenti e delle emozioni umane; fu “provato in ogni cosa, come lo siete voi”, e sofferse e morì.
Egli ottenne conoscenza, acquisì esperienza e le combinò in saggezza, proprio come fanno altri mortali del regno. Fino a dopo il suo battesimo egli non si avvalse di alcun potere soprannaturale. Non impiegò altre facoltà che quelle della sua dotazione umana come figlio di Giuseppe e di Maria.
Quanto agli attributi della sua esistenza preumana, egli se ne spogliò. Prima dell’inizio della sua opera pubblica la sua conoscenza degli uomini e degli avvenimenti fu totalmente autolimitata. Egli era un vero uomo tra gli uomini.
È per sempre e gloriosamente vero che: “Noi abbiamo un grande governante che può essere toccato dalla compassione per le nostre debolezze. Abbiamo un Sovrano che fu in tutti i punti provato e tentato come lo siamo noi, senza tuttavia peccare.” E poiché ha lui stesso sofferto, essendo stato provato e tentato, è abbondantemente capace di comprendere e di aiutare coloro che sono confusi ed afflitti.
Il carpentiere di Nazaret comprendeva ora pienamente il lavoro che l’attendeva, ma scelse di vivere la sua vita umana nel suo corso naturale. Ed in alcune di queste materie egli è veramente un esempio per le sue creature mortali, com’è ricordato: “Che sia in voi la mente che era anche in Cristo Gesù, il quale, essendo della natura di Dio, non trovava strano essere uguale a Dio. Ma egli si attribuì poca importanza, ed assumendo la forma di una creatura nacque nelle sembianze del genere umano. Ed essendo stato così formato come un uomo, si umiliò e divenne obbediente fino alla morte, anche alla morte sulla croce.”
Egli visse la sua vita di mortale esattamente come tutti gli altri membri della famiglia umana possono vivere la loro, “lui che nei giorni della sua incarnazione rivolse così spesso preghiere e suppliche, anche con grande emozione e lacrime, a Colui che è capace di salvare da ogni male; e le sue preghiere furono efficaci perché egli credeva”. Perciò bisognava che fosse reso simile ai suoi fratelli sotto ogni aspetto per poter divenire per loro un sovrano misericordioso e comprensivo.
Egli non dubitò mai della sua natura umana; ciò fu evidente per se stesso e sempre presente nella sua coscienza. Quanto alla sua natura divina c’era sempre posto per dubbi e congetture; almeno ciò fu vero fino al momento del suo battesimo. L’autocoscienza della sua divinità fu una rivelazione lenta e, dal punto di vista umano, una rivelazione per evoluzione naturale. Questa rivelazione e questa autocoscienza della divinità cominciarono a Gerusalemme, quando non aveva ancora tredici anni, con il primo avvenimento soprannaturale della sua esistenza umana. E questa esperienza di prendere autocoscienza della sua natura divina fu completata al momento della sua seconda esperienza soprannaturale durante la sua incarnazione, l’episodio che accompagnò il suo battesimo da parte di Giovanni nel Giordano, che segnò l’inizio del suo percorso pubblico di ministero e d’insegnamento.
Tra queste due visitazioni celesti, una al suo tredicesimo anno e l’altra al suo battesimo, non accadde nulla di soprannaturale o di super-umano nella vita di questo Figlio Creatore incarnato. Malgrado ciò il bambino di Betlemme, il ragazzo, il giovane uomo e l’uomo di Nazaret erano in realtà il Creatore incarnato di un Universo; ma non una sola volta egli usò minimamente questo potere, né utilizzò le direttive di personalità celesti, se non quelle del suo serafino angelo guardiano, nel corso della sua vita umana, prima del giorno del suo battesimo da parte di Giovanni.
E tuttavia, durante tutti questi anni della sua vita nella carne egli era veramente divino. Era effettivamente un Figlio Creatore del Padre del Paradiso. Una volta che ebbe abbracciato il suo percorso pubblico, dopo aver tecnicamente completato la sua esperienza puramente mortale per acquisire la sovranità, egli non esitò ad ammettere pubblicamente che era il Figlio di Dio. Non esitò a dichiarare: “Io sono l’Alfa e l’Omega, il principio e la fine, il primo e l’ultimo.” Egli non protestò negli anni che seguirono quando fu chiamato Signore della Gloria, Sovrano di un Universo, il Signore Dio di tutta la creazione, il Santo d’Israele, il Signore di tutto, nostro Signore e nostro Dio, Dio con noi, Colui che ha un nome al di sopra di tutti i nomi e su tutti i mondi, l’Onnipotenza di un Universo, la Mente Universale di questa creazione, l’Unico in cui sono nascosti tutti i tesori di saggezza e di conoscenza, la pienezza di Colui che riempie tutte le cose, il Verbo eterno del Dio eterno, Colui che era prima di tutte le cose ed in cui tutte le cose consistono, il Creatore dei cieli e della terra, il Sostenitore di un Universo, il Giudice di tutta la terra, il Donatore della vita eterna, il Vero Pastore, il Liberatore dei mondi ed il Capitano della nostra salvezza.
Egli non fece mai obiezione ad alcuno di questi titoli quando gli furono applicati dopo che fu emerso dalla sua vita puramente umana per entrare negli anni successivi di autocoscienza del suo ministero di divinità nell’umanità, per l’umanità ed in rapporto all’umanità in questo mondo e per tutti gli altri mondi. Sempre, anche dopo la sua emersione ad una vita più ampia sulla terra, Gesù restò umilmente sottomesso alla volontà del Padre Celeste.
Dopo il suo battesimo egli non vide perché non permettere ai suoi credenti sinceri ed ai suoi seguaci riconoscenti di adorarlo. Anche quando lottava contro la povertà e lavorava con le sue mani per sovvenire ai bisogni vitali della sua famiglia, la sua consapevolezza di essere un Figlio di Dio cresceva. Egli sapeva di essere il creatore dei cieli e di questa terra stessa in cui stava ora vivendo la sua esistenza umana. Ed anche le schiere di esseri celesti di tutto il grande Universo che lo osservavano sapevano che quest’uomo di Nazaret era il loro amato Sovrano e Creatore-padre. Una profonda attesa pervadeva l’Universo durante questi anni; tutti gli sguardi celesti convergevano continuamente sulla Terra - sulla Palestina.
Quest’anno Gesù si recò a Gerusalemme con Giuseppe per celebrare la Pasqua. Avendo già condotto Giacomo al tempio per la consacrazione, egli stimava suo dovere condurvi anche Giuseppe. Gesù non mostrava mai alcun grado di parzialità nei rapporti con la sua famiglia. Egli andò con Giuseppe a Gerusalemme per la solita strada della valle del Giordano, ma ritornò a Nazaret per la strada ad est del Giordano che attraversa Amatus. Discendendo il Giordano, Gesù raccontò a Giuseppe la storia degli Ebrei e durante il viaggio di ritorno gli parlò delle esperienze delle celebri tribù di Ruben, Gad e Galaad, che secondo la tradizione avevano abitato in queste regioni ad est del fiume.
Giuseppe pose a Gesù molte domande tendenziose concernenti la missione della sua vita, ma alla maggior parte di esse Gesù si limitò a rispondere: “La mia ora non è ancora venuta.” Tuttavia, nel corso di queste discussioni intime, gli sfuggirono molte parole che Giuseppe ricordò durante gli avvenimenti emozionanti degli anni seguenti. Gesù, con Giuseppe, passò questa Pasqua con i suoi tre amici di Betania, secondo la sua abitudine quando era a Gerusalemme per assistere a queste feste commemorative.
Questo fu uno dei parecchi anni durante i quali i fratelli e le sorelle di Gesù affrontarono le prove e le tribolazioni peculiari dei problemi e dei raggiustamenti dell’adolescenza. Gesù aveva ora fratelli e sorelle di età scalare dai sette ai diciotto anni, ed aveva molto da fare per aiutarli ad adattarsi ai nuovi risvegli della loro vita intellettuale ed emotiva. Egli dovette così dedicarsi ai problemi dell’adolescenza via via che si manifestavano nella vita dei suoi fratelli e sorelle più giovani.
Quest’anno Simone uscì diplomato dalla scuola e cominciò a lavorare con il vecchio compagno di giochi e sempre pronto difensore di Gesù, Giacobbe il tagliapietre. Dopo numerose riunioni di famiglia fu deciso che era inopportuno che tutti i ragazzi diventassero carpentieri. Fu ritenuto che diversificando i loro mestieri sarebbero stati in grado di accettare dei contratti per costruire interi edifici. Inoltre essi non erano stati tutti occupati da quando tre di loro lavoravano a tempo pieno come carpentieri.
Gesù continuò quest’anno a fare lavori di finitura di case e di ebanisteria, ma passò la maggior parte del suo tempo nel laboratorio di riparazioni delle carovane. Giacomo cominciava ad alternarsi con lui nel servizio in laboratorio. Alla fine di quest’anno, quando il lavoro di carpentiere venne a mancare a Nazaret, Gesù lasciò in carico a Giacomo il laboratorio di riparazioni ed a Giuseppe il banco da lavoro familiare, mentre lui andò a Sefforis a lavorare presso un fabbro. Egli lavorò i metalli per sei mesi ed acquisì un’abilità considerevole all’incudine.
Prima di assumere il suo nuovo impiego a Sefforis, Gesù tenne una delle sue periodiche riunioni familiari ed affidò solennemente a Giacomo, che aveva allora appena compiuto diciotto anni, le funzioni di capo della famiglia. Egli promise a suo fratello un appoggio caloroso ed una piena collaborazione, e pretese la promessa formale di obbedienza a Giacomo da parte di ciascun membro della famiglia. Da questo giorno Giacomo assunse l’intera responsabilità finanziaria della famiglia; Gesù portava il suo contributo settimanale a suo fratello. Gesù non riprese mai più le redini dalle mani di Giacomo. Mentre lavorava a Sefforis egli avrebbe potuto rientrare a casa ogni sera se necessario, ma rimase lontano di proposito, giustificandosi di non aver tempo e con altre ragioni, ma il suo vero motivo era di abituare Giacomo e Giuseppe a portare la responsabilità della famiglia. Egli aveva cominciato il lento processo di distacco dalla sua famiglia. Ogni sabato Gesù ritornava a Nazaret, e talvolta durante la settimana quando le circostanze lo richiedevano, per osservare il funzionamento del nuovo piano, per dare dei consigli e per portare utili suggerimenti.
Il fatto di vivere la maggior parte del tempo a Sefforis per sei mesi offrì a Gesù una nuova opportunità di conoscere meglio il punto di vista dei Gentili sulla vita. Egli lavorò con i Gentili, visse con i Gentili ed in ogni maniera possibile fece uno studio completo ed accurato delle loro abitudini di vita e della loro mentalità.
Il livello morale di questa città in cui risiedeva Erode Antipa era talmente inferiore anche a quello della città carovaniera di Nazaret, che dopo sei mesi di soggiorno a Sefforis Gesù non fu restio a trovare un pretesto per tornare a Nazaret. Il gruppo per cui lavorava stava per iniziare dei lavori pubblici sia a Sefforis che nella nuova città di Tiberiade, e Gesù era poco disposto ad avere a che fare con un qualunque impiego sotto la supervisione di Erode Antipa. E c’erano anche altre ragioni nell’opinione di Gesù che rendevano opportuno il suo ritorno a Nazaret. Quando ritornò al laboratorio di riparazioni egli non assunse di nuovo la direzione personale degli affari di famiglia. Lavorò in laboratorio assieme a Giacomo e per quanto possibile gli permise di continuare la supervisione della casa. La gestione da parte di Giacomo degli affari di famiglia e dell’amministrazione del bilancio della casa proseguirono tranquillamente.
Fu proprio con questo piano saggio e meditato che Gesù preparò la via per il suo ritiro definitivo dalla partecipazione attiva negli affari della sua famiglia. Quando Giacomo ebbe maturato due anni di esperienza come capo famiglia - e due anni interi prima che egli (Giacomo) si sposasse - Giuseppe fu incaricato di gestire i fondi della famiglia e gli fu affidata la direzione generale della casa.
Quest’anno la pressione finanziaria fu un po’ diminuita perché erano in quattro a lavorare. Miriam guadagnava molto con la vendita del latte e del burro; Marta era divenuta un’abile tessitrice. Più di un terzo del prezzo d’acquisto del laboratorio di riparazioni era stato pagato. La situazione era tale che Gesù si fermò di lavorare per tre settimane per condurre Simone a Gerusalemme per la Pasqua, e questo fu il più lungo periodo libero dal suo lavoro quotidiano di cui avesse goduto dalla morte di suo padre.
Essi andarono a Gerusalemme per la strada della Decapoli ed attraverso Pella, Gerasa, Filadelfia. Kesbon e Gerico. Ritornarono a Nazaret per la via costiera, toccando Lidda, Giaffa, Cesarea, girando quindi attorno al Monte Carmelo per Tolemaide e Nazaret. Questo viaggio permise a Gesù di conoscere abbastanza bene l’intera Palestina a nord del distretto di Gerusalemme.
A Filadelfia Gesù e Simone fecero conoscenza con un mercante di Damasco che fu preso da una tale simpatia per la coppia di Nazaret che insisté perché si fermassero con lui nella sede dei suoi affari a Gerusalemme. Mentre Simone partecipava ai servizi del tempio, Gesù passò molto del suo tempo a parlare con quest’uomo d’affari internazionali ben educato e grande viaggiatore. Questo mercante possedeva più di quattromila cammelli da carovana; aveva interessi in tutto il mondo romano ed ora era in viaggio per Roma. Egli propose a Gesù di venire a Damasco per entrare nella sua ditta d’importazioni dall’Oriente, ma Gesù spiegò che non si sentiva in diritto di allontanarsi così tanto dalla sua famiglia per il momento. Ma sulla via del ritorno a casa egli pensò molto a queste città lontane ed ai paesi ancora più lontani dell’Estremo Occidente e dell’Estremo Oriente, paesi di cui aveva sentito parlare così spesso dai viaggiatori e dai conducenti delle carovane.
Simone fu molto contento della sua visita a Gerusalemme. Egli fu debitamente accolto nella comunità d’Israele alla consacrazione pasquale dei nuovi figli del comandamento. Mentre Simone assisteva alle cerimonie della Pasqua, Gesù si mescolò alla folla di visitatori ed ebbe numerosi incontri personali interessanti con parecchi proseliti Gentili.
Il più rimarchevole di questi contatti fu forse quello con un giovane greco di nome Stefano. Questo giovane era alla sua prima visita a Gerusalemme ed incontrò per caso Gesù il giovedì pomeriggio della settimana di Pasqua. Mentre entrambi passeggiavano visitando il palazzo di Asmoneo, Gesù intavolò una casuale conversazione che ebbe per effetto di attirarli l’uno verso l’altro e che portò ad una discussione di quattro ore sul modo di vivere e sul vero Dio ed il suo culto. Stefano fu enormemente colpito da ciò che disse Gesù; egli non dimenticò mai più le sue parole.
E questo era lo stesso Stefano che divenne in seguito un credente negli insegnamenti di Gesù e la cui temerarietà nel predicare questo Vangelo iniziale ebbe come risultato di farlo lapidare a morte dagli Ebrei adirati. Parte della straordinaria audacia di Stefano nel proclamare la sua opinione sul nuovo Vangelo era il diretto risultato di questo precedente colloquio con Gesù. Ma Stefano non ebbe mai il minimo sospetto che il Galileo con il quale aveva parlato una quindicina di anni prima fosse la stessa persona che più tardi egli proclamò Salvatore del mondo e per il quale doveva così presto morire, divenendo così il primo martire della nuova fede cristiana in evoluzione. Quando Stefano donò la sua vita come prezzo del suo attacco contro il tempio ebreo e le sue pratiche tradizionali, si trovava là un cittadino di Tarso, di nome Saul. E quando Saul vide come questo Greco poteva morire per la sua fede, si risvegliarono nel suo cuore quei sentimenti che lo portarono alla fine a sposare la causa per la quale Stefano era morto. Più tardi egli divenne l’aggressivo e indomabile Paolo, il filosofo, il co-fondatore della religione cristiana.
La domenica dopo la settimana di Pasqua, Simone e Gesù ripartirono per Nazaret. Simone non dimenticò mai ciò che Gesù gli insegnò durante questo viaggio. Egli aveva sempre amato Gesù, ma ora sentiva che cominciava a conoscere suo fratello-padre. Essi ebbero molte conversazioni a cuore aperto mentre attraversavano il paese e preparavano i loro pasti ai bordi della strada. Arrivarono a casa giovedì a mezzogiorno, e Simone tenne la famiglia sveglia fino a tardi quella sera per raccontare le sue esperienze.
Maria fu molto incuriosita quando Simone raccontò che Gesù aveva passato la maggior parte del suo tempo a Gerusalemme “conversando con gli stranieri, specialmente con quelli provenienti dai paesi lontani”. La famiglia di Gesù faticava a comprendere il suo grande interesse per le persone, il suo bisogno d’intrattenersi con loro, di conoscere il loro modo di vivere e di scoprire che cosa ne pensavano.
La famiglia di Nazaret era sempre più assorbita dai suoi problemi immediati ed umani; non si faceva frequentemente menzione della futura missione di Gesù ed egli stesso parlava molto raramente del suo percorso futuro. Ma sua madre sempre si ricordava che egli era il figlio della promessa e la sua fede era di nuovo ravvivata ogni volta si soffermava a ricordare la visitazione di Gabriele prima della nascita del bambino.
Gesù passò gli ultimi quattro mesi di quest’anno a Damasco come ospite del mercante che aveva incontrato per la prima volta a Filadelfia mentre andava a Gerusalemme. Un rappresentante di questo mercante aveva trovato Gesù mentre passava per Nazaret e l’aveva accompagnato a Damasco. Il mercante, in parte ebreo, propose di destinare un’enorme somma di denaro per istituire una scuola di filosofia religiosa a Damasco. Egli progettava di creare un centro di studi che superasse Alessandria. E propose a Gesù di cominciare immediatamente un lungo giro preliminare nei centri pedagogici mondiali per prepararsi ad assumere la direzione di questo nuovo progetto. Questa fu una delle più grandi tentazioni che Gesù dovette mai affrontare nel corso del suo percorso puramente umano.
Questo mercante condusse subito davanti a Gesù un gruppo di dodici mercanti e banchieri che accettavano di finanziare questa scuola appena progettata. Gesù manifestò un profondo interesse per la scuola proposta e li aiutò a preparare la sua organizzazione, ma espresse sempre il timore che i suoi altri obblighi, non dichiarati ma precedenti, non gli permettessero di accettare la direzione di un’impresa così ambiziosa. Il suo sedicente benefattore insisté, ed impiegò Gesù con profitto a casa sua per fare alcune traduzioni mentre lui, sua moglie ed i suoi figli e figlie tentavano d’indurlo ad accettare l’onore che gli veniva offerto. Ma egli non volle acconsentirvi. Sapeva bene che la sua missione sulla terra non doveva essere supportata da istituzioni d’insegnamento; sapeva che non doveva assolutamente obbligare se stesso ad essere diretto da “consigli di uomini”, per quanto bene intenzionati fossero.
Lui, che fu respinto dai capi religiosi di Gerusalemme, anche dopo aver dimostrato la sua autorità, fu riconosciuto e salutato come capo insegnante dagli uomini d’affari e dai banchieri di Damasco, e tutto ciò quand’era un oscuro e sconosciuto carpentiere di Nazaret.
Egli non parlò mai di questa offerta alla sua famiglia e la fine di quest’anno lo ritrovò a Nazaret ad occuparsi dei suoi doveri quotidiani come se non fosse mai stato tentato dalle proposte allettanti dei suoi amici di Damasco. Né questi uomini di Damasco associarono mai il successivo cittadino di Cafarnao che aveva messo sottosopra tutta la società ebraica con il precedente carpentiere di Nazaret che aveva osato rifiutare l’onore che le loro ricchezze congiunte avrebbero potuto procurargli.
Gesù molto abilmente ed intenzionalmente fece in modo di tenere isolati i diversi episodi della sua vita affinché, agli occhi del mondo, non fossero mai collegati ad un singolo individuo. Negli anni successivi egli ascoltò molte volte il racconto di questa stessa storia dello strano Galileo che rifiutò l’opportunità di fondare a Damasco una scuola che competesse con Alessandria.
Il solo proposito che Gesù aveva in mente, quando cercava d’isolare certe particolarità della sua esperienza terrena, era di evitare che la sua versatile e spettacolare missione inducesse le generazioni future a venerare il maestro invece di obbedire alla verità che egli aveva vissuto ed insegnato. Gesù non desiderava costruire un curriculum umano che distogliesse l’attenzione dal suo insegnamento. Egli capì molto presto che i suoi discepoli sarebbero stati tentati di formulare una religione su di lui, una religione di Gesù che si sarebbe potuta contrapporre al Vangelo del Regno che egli intendeva proclamare al mondo. Di conseguenza, durante tutta la sua movimentata missione, egli cercò persistentemente di sopprimere tutto ciò che riteneva potesse rafforzare questa tendenza umana naturale ad esaltare il maestro invece di proclamare i suoi insegnamenti.
Questo stesso motivo spiega anche perché egli permise di essere chiamato con differenti appellativi durante le varie epoche della sua diversificata vita sulla terra. Inoltre egli non voleva produrre alcuna indebita influenza sulla sua famiglia o su altre persone che le portasse a credere in lui contro le loro oneste convinzioni. Egli rifiutò sempre di trarre un indebito od ingiusto vantaggio dalla mente umana. Non voleva che gli uomini credessero in lui, a meno che i loro cuori non rispondessero alle realtà spirituali rivelate nei suoi insegnamenti.
Alla fine di quest’anno la famiglia di Nazaret si trovava in condizioni abbastanza buone. I figli crescevano e Maria cominciava ad abituarsi al fatto che Gesù fosse lontano da casa. Egli continuava ad inviare i suoi guadagni a Giacomo per mantenere la famiglia, conservandone solo una piccola parte per le sue spese personali immediate.
Con il passare degli anni diveniva più difficile comprendere che quest’uomo era un Figlio di Dio sulla terra. Egli sembrava del tutto simile ad un individuo del regno, proprio un altro uomo tra gli uomini. E fu ordinato dal Padre Celeste che il conferimento si svolgesse in questo esatto modo.
Questo fu il primo anno per Gesù di relativa libertà dalle responsabilità familiari. Giacomo riusciva a gestire molto bene la casa con l’aiuto di Gesù in consigli ed in denaro.
La settimana dopo la Pasqua di quest’anno un giovane uomo venne da Alessandria a Nazaret per organizzare, durante l’anno, un incontro tra Gesù ed un gruppo di Ebrei di Alessandria in un certo punto della costa della Palestina. Questo incontro fu fissato per la metà di giugno e Gesù si recò a Cesarea per incontrarsi con cinque eminenti Ebrei di Alessandria, che lo supplicarono di stabilirsi nella loro città come istruttore religioso offrendogli, per indurlo ad accettare, il posto di assistente del Cazan nella loro sinagoga principale.
I rappresentanti di questo comitato spiegarono a Gesù che Alessandria era destinata a diventare il centro principale della cultura ebraica per il mondo intero; che la tendenza ellenistica degli affari ebrei aveva praticamente superato la scuola di pensiero babilonese. Essi ricordarono a Gesù gli inquietanti sintomi di ribellione esistenti a Gerusalemme ed in tutta la Palestina e lo assicurarono che qualsiasi sollevazione degli Ebrei palestinesi sarebbe equivalsa ad un suicidio nazionale, che la mano di ferro di Roma avrebbe soffocato la ribellione in tre mesi e che Gerusalemme sarebbe stata distrutta ed il tempio demolito, che non sarebbe stata lasciata pietra su pietra.
Gesù ascoltò tutto quello che avevano da dire, li ringraziò per la loro fiducia e, declinando l’invito di andare ad Alessandria, disse in sostanza: “La mia ora non è ancora venuta.” Essi rimasero sconcertati dalla sua apparente indifferenza all’onore che avevano pensato di conferirgli. Prima di prendere congedo da Gesù, essi gli offrirono una borsa come segno di stima dei suoi amici di Alessandria e come compenso per il tempo e le spese della sua venuta a Cesarea per conferire con loro. Ma egli rifiutò anche il denaro dicendo: “La casa di Giuseppe non ha mai ricevuto elemosine e noi non possiamo mangiare il pane altrui fintantoché io ho buone braccia ed i miei fratelli possono lavorare.”
Gesù ritornò a Nazaret. Il resto di quest’anno fu il semestre meno movimentato di tutta il suo percorso. Egli fu lieto di questa tregua temporanea nel programma abituale di problemi da risolvere e di difficoltà da superare. Comunicò molto con suo Padre Celeste e fece enormi progressi nella padronanza della sua mente umana.
Ma gli affari degli uomini nei mondi del tempo e dello spazio non scorrono a lungo senza scosse. In dicembre Giacomo ebbe un colloquio privato con Gesù, spiegando che era molto innamorato di Esta, una giovane di Nazaret, e che avrebbero desiderato sposarsi presto se ciò poteva essere organizzato. Egli richiamò l’attenzione sul fatto che Giuseppe era prossimo ai diciotto anni, e che sarebbe stata una buona esperienza per lui avere l’occasione di svolgere le funzioni di capo famiglia. Gesù acconsentì a che Giacomo si sposasse due anni più tardi, a condizione che nel frattempo avesse convenientemente preparato Giuseppe ad assumere la direzione della casa.
Ed ora le cose precipitarono - il matrimonio era nell’aria. Il successo di Giacomo nell’ottenere il consenso di Gesù al suo matrimonio incoraggiò Miriam a parlare a suo fratello-padre dei suoi progetti. Giacobbe, il giovane tagliapietre un tempo autonominatosi paladino di Gesù, ora collaboratore agli affari di Giacomo e di Giuseppe, aveva da lungo tempo pensato di chiedere la mano di Miriam. Dopo che Miriam ebbe esposto i suoi piani a Gesù, egli comandò che Giacobbe venisse da lui a presentare formale richiesta per lei e promise la sua benedizione per il matrimonio non appena essa avesse giudicato Marta all’altezza di assumere i suoi doveri di sorella maggiore. Quando era a casa egli continuava a tenere il corso serale di scuola tre volte alla settimana, leggeva spesso di sabato le Scritture nella sinagoga, s’intratteneva con sua madre, insegnava ai ragazzi ed in generale si comportava come un degno e rispettato cittadino di Nazaret nella comunità d’Israele.
Quest’anno iniziò con tutta la famiglia di Nazaret in buona salute e vide la fine delle scolarità regolari di tutti i figli, ad eccezione di certi lavori che Marta doveva fare per Rut. Lo stato delle finanze familiari era nella migliore condizione dalla liquidazione delle proprietà di Giuseppe. Le ultime rate per il laboratorio di riparazioni delle carovane erano state pagate; essi non avevano più alcun debito e per la prima volta dopo anni avevano un po’ di denaro da parte. Per questo motivo, e poiché egli aveva condotto gli altri suoi fratelli a Gerusalemme per le loro prime cerimonie di Pasqua, Gesù decise di accompagnare Giuda (che era appena uscito diplomato dalla scuola della sinagoga) per la sua prima visita al tempio.
Essi si recarono a Gerusalemme e ritornarono per la stessa strada, la valle del Giordano, perché Gesù temeva qualche noia se avesse portato il suo giovane fratello attraverso la Samaria. Già a Nazaret Giuda si era trovato parecchie volte in situazioni delicate a causa del suo temperamento avventato, unito ai suoi forti sentimenti patriottici.
Essi arrivarono a Gerusalemme in tempo utile ed erano in cammino per la loro prima visita al tempio, la cui sola visione aveva eccitato e commosso Giuda fino al più profondo della sua anima, quando incontrarono per caso Lazzaro di Betania. Mentre Gesù parlava con Lazzaro e cercava di organizzare la celebrazione della Pasqua insieme, Giuda fece nascere un vero e proprio incidente per tutti loro. Vicino c’era una guardia romana che fece degli apprezzamenti sconvenienti ad una giovane ebrea che stava passando. Giuda s’infiammò di una fiera indignazione e non ci mise molto ad esprimere il suo risentimento per una tale scorrettezza direttamente ed a portata d’orecchie del soldato. Ora, i legionari romani erano molto sensibili a tutto ciò che rasentava l’irriverenza negli Ebrei; la guardia mise dunque immediatamente Giuda in stato d’arresto. Questo era troppo per il giovane patriota, e prima che Gesù avesse potuto metterlo in guardia con un’occhiata di avvertimento, egli si era lasciato andare con una loquace denuncia dei suoi sentimenti antiromani repressi, cosa che fece semplicemente andare tutto di male in peggio. Giuda, con Gesù al suo fianco, fu subito condotto nella prigione militare.
Gesù tentò di ottenere sia un interrogatorio immediato per Giuda sia il suo rilascio in tempo utile per celebrare la Pasqua quella sera, ma fallì in questi tentativi. Poiché l’indomani era un giorno di “santa convocazione” a Gerusalemme, anche i Romani non osavano ascoltare accuse contro un Ebreo. Di conseguenza, Giuda restò incarcerato fino al mattino del secondo giorno dopo il suo arresto, e Gesù rimase alla prigione con lui. Essi non furono presenti nel tempio alla cerimonia di accoglimento dei figli della legge nella piena cittadinanza d’Israele. Giuda non passò per questa cerimonia formale per parecchi anni, finché non ricapitò a Gerusalemme nel tempo di Pasqua ed in connessione con il suo lavoro di propaganda per conto degli Zeloti, l’organizzazione patriottica alla quale apparteneva e nella quale era molto attivo.
Il mattino seguente il loro secondo giorno in prigione Gesù comparve davanti al magistrato militare per conto di Giuda. Presentando delle scuse per la giovane età di suo fratello e con una chiara ma giudiziosa esposizione concernente il carattere provocatorio dell’episodio che aveva dato pretesto all’arresto di suo fratello, Gesù trattò il caso in modo tale che il magistrato espresse l’opinione che il giovane Ebreo poteva avere qualche scusa possibile per la sua violenta esplosione. Dopo aver avvertito Giuda di non permettersi più una simile temerarietà, disse a Gesù nel congedarli: “Faresti bene a tenere d’occhio il ragazzo; è capace di attirare molte noie su voi tutti.” Ed il giudice romano diceva il vero. Giuda causò molte noie a Gesù, e le noie erano sempre della stessa natura - scontri con le autorità civili a causa dei suoi scatti nazionalistici sconsiderati e malaccorti.
Questa fu l’ultima Pasqua alla quale Gesù si recò con un membro della sua famiglia. Il Figlio dell’Uomo si stava staccando sempre più dalla stretta associazione con quelli della propria carne e del proprio sangue.
Quest’anno i suoi periodi di profonda meditazione furono spesso interrotti da Rut e dai suoi compagni di gioco. E Gesù era sempre pronto a rimandare le riflessioni sulla sua opera futura a favore del mondo e dell’Universo per condividere la gioia infantile e l’allegria di questi giovani, che non si stancavano mai di ascoltare Gesù raccontare le esperienze dei suoi diversi viaggi a Gerusalemme. Essi amavano molto anche le sue storie sugli animali e sulla natura.
I ragazzi erano sempre i benvenuti al laboratorio di riparazioni. Gesù metteva della sabbia, dei blocchi di legno e dei ciottoli a fianco del laboratorio, e gruppi di giovani accorrevano là per divertirsi. Quando erano stanchi di giocare, i più intrepidi davano una sbirciatina nel laboratorio, e se il padrone non era troppo occupato, si azzardavano ad entrare dicendo: “Zio Joshua, esci e raccontaci una grande storia.” Allora lo facevano uscire tirandolo per le mani fino a che non si fosse seduto sulla sua pietra preferita vicino all’angolo del laboratorio, con i ragazzi seduti per terra in semicerchio davanti a lui. E come si divertiva questo piccolo gruppo con lo zio Joshua. Essi imparavano a ridere, e a ridere di cuore. Uno o due dei ragazzi più piccoli avevano l’abitudine di arrampicarsi sulle sue ginocchia e di sedervisi, seguendo con sguardo ammirato le espressioni del suo viso mentre raccontava le sue storie. I bambini amavano Gesù, e Gesù amava i bambini.
Era difficile per i suoi amici capire l’estensione delle sue attività intellettuali, la maniera in cui poteva così improvvisamente e completamente passare dalle profonde discussioni di politica, di filosofia o di religione al divertimento e alla gioiosa gaiezza di questi bambini dai cinque ai dieci anni d’età. A mano a mano che i suoi fratelli e sorelle crescevano egli aveva più disponibilità di tempo libero, e prima dell’arrivo dei nipoti egli prestava una grande attenzione a questi piccini. Ma non visse abbastanza a lungo sulla terra per godere molto i suoi nipoti.
All’inizio di quest’anno Gesù di Nazaret divenne profondamente cosciente di possedere una grande estensione di potere potenziale. Ma era anche pienamente persuaso che questo potere non doveva essere impiegato dalla sua personalità in quanto Figlio dell’Uomo, almeno non prima che la sua ora fosse giunta.
In questo periodo egli rifletteva molto, ma diceva poco, sulla sua relazione con suo Padre Celeste. E la conclusione di tutte queste riflessioni fu espressa una volta nella sua preghiera sulla sommità della collina, quando disse: “Indipendentemente da chi io sia e da quale potere io possa o meno esercitare, sono sempre stato e sarò sempre sottomesso alla volontà di mio Padre del Paradiso.” E tuttavia, mentre quest’uomo circolava a Nazaret per andare e tornare dal suo lavoro, era letteralmente vero - in ciò che concerneva un vasto Universo - che “in lui erano nascosti tutti i tesori della saggezza e della conoscenza”.
Gesù era un uomo di pace, e di tanto in tanto era molto imbarazzato dalle sortite bellicose e dalle numerose esplosioni nazionalistiche di Giuda. Giacomo e Giuseppe erano del parere di metterlo alla porta, ma Gesù non volle acconsentirvi. Quando la loro pazienza era severamente messa alla prova, Gesù si limitava a consigliare: “Siate pazienti. Siate saggi nei vostri consigli ed eloquenti nel vostro modo di vivere, perché il vostro giovane fratello possa prima conoscere la via migliore e poi essere costretto a seguirvi in essa.” Il consiglio saggio ed affettuoso di Gesù evitò una rottura in famiglia; essi rimasero uniti. Ma Giuda non fu mai condotto alla ragione prima del suo matrimonio.
Maria parlava raramente della futura missione di Gesù. Ogni volta che si faceva allusione a questo argomento, Gesù rispondeva solamente: “La mia ora non è ancora giunta.” Gesù aveva quasi completato il difficile compito di disabituare la sua famiglia a dipendere dalla presenza diretta della sua personalità. Egli si stava preparando rapidamente per il giorno in cui avrebbe potuto coerentemente lasciare questa casa di Nazaret ed iniziare il preludio più attivo del suo vero ministero tra gli uomini.
Non perdete mai di vista il fatto che la missione principale di Gesù nel suo settimo conferimento era l’acquisizione dell’esperienza di creatura per il conseguimento della sovranità su tutto l’ Universo. E nell’accumulare questa esperienza egli faceva la rivelazione suprema del Padre del Paradiso alla Terra ed al suo intero Universo. E secondariamente a questi propositi, egli incominciò anche a districare le complicate conseguenze di questo pianeta connesse con la ribellione di Lucifero. Quest’anno Gesù godette di maggior tempo libero del solito, e dedicò molto tempo ad insegnare a Giacomo a condurre il laboratorio di riparazioni e a Giuseppe a dirigere gli affari di casa. Maria sentiva che egli si stava preparando a lasciarli. A lasciarli per andare dove? Per fare che cosa? Il suo cuore continuava a coltivare in segreto le sue aspettative per la promessa.
Era giunto finalmente il giorno in cui tutti i fratelli di Gesù avevano scelto il loro percorso e si erano sistemati. Tutto era pronto per la partenza di Gesù da casa. In novembre avvenne un duplice matrimonio. Giacomo ed Esta, e Miriam e Giacobbe si sposarono. Fu veramente una circostanza gioiosa. Anche Maria era nuovamente felice, salvo quando ogni tanto si rendeva conto che Gesù si stava preparando a partire. Essa soffriva sotto il peso di una grande incertezza. Se Gesù avesse voluto soltanto sedersi e parlare francamente di tutto ciò con lei come aveva fatto quando era un ragazzo; ma egli era costantemente taciturno; conservava un profondo silenzio sul futuro.
Giacomo e la sua sposa, Esta, si stabilirono in una graziosa casetta nella parte ovest della città, un regalo del padre di lei. Anche se Giacomo continuò a sostenere la famiglia di sua madre, la sua quota fu ridotta alla metà a causa del suo matrimonio, e Giuseppe fu ufficialmente installato da Gesù quale capo famiglia. Giuda inviava ora con regolarità il suo contributo alla famiglia ogni mese. I matrimoni di Giacomo e di Miriam ebbero un’influenza molto benefica su Giuda, e quando questi ripartì per la pesca il giorno successivo al doppio matrimonio rassicurò Giuseppe che poteva contare su di lui “per compiere tutto il mio dovere e ancora di più se necessario”. E mantenne la sua promessa.
Miriam viveva nella casa di Giacobbe, contigua a quella di Maria, perché il vecchio Giacobbe era stato sepolto con i suoi antenati. Marta prese il posto di Miriam in casa e la nuova organizzazione funzionò senza difficoltà già prima della fine dell’anno.
All’indomani di questo duplice matrimonio Gesù ebbe un colloquio importante con Giacomo. Gli disse in confidenza che si stava preparando a lasciare la casa. Donò a Giacomo la piena proprietà del laboratorio di riparazioni, abdicò ufficialmente e solennemente dalla posizione di capo della famiglia di Giuseppe, e stabilì nella maniera più toccante suo fratello Giacomo quale “capo e protettore della casa di mio padre”. Egli redasse, ed entrambi sottoscrissero, un accordo segreto nel quale era convenuto che, a compenso della donazione del laboratorio di riparazioni, Giacomo avrebbe assunto l’intera responsabilità finanziaria della famiglia, sollevando così Gesù da ogni ulteriore obbligo in tali materie. Dopo aver firmato il contratto, e dopo che il bilancio fu sistemato in maniera tale che le spese correnti della famiglia potevano essere affrontate senza alcun contributo da parte di Gesù, questi disse a Giacomo: “Tuttavia, figlio mio, io continuerò a spedirti qualcosa ogni mese fino a quando la mia ora non sarà giunta, ed impiegherai ciò che ti manderò secondo le esigenze del momento. Adopera i miei fondi per le necessità o per i piaceri della famiglia come tu giudicherai opportuno. Utilizzali in caso di malattia o per far fronte ad emergenze impreviste che potrebbero sopraggiungere ad un qualunque membro della famiglia.”
E così Gesù si preparò ad entrare nella seconda fase della sua vita di adulto, staccato dai suoi, prima di occuparsi pubblicamente degli affari di suo Padre.