GESÙ cominciò la sua opera pubblica al culmine dell’interesse popolare per la predicazione di Giovanni e nel momento in cui il popolo ebreo della Palestina era in ansiosa attesa dell’apparizione del Messia. C’era un grande contrasto tra Giovanni e Gesù. Giovanni agiva con ardore ed impeto, mentre Gesù operava con calma e letizia; soltanto poche volte in tutta la sua vita egli manifestò fretta. Gesù era una confortante consolazione per il mondo ed alquanto un esempio; Giovanni non era di conforto o d’esempio. Egli predicava il regno dei cieli, ma non partecipava della sua felicità. Anche se Gesù parlò di Giovanni come del più grande profeta del vecchio ordine, disse anche che il più piccolo di coloro che vedevano la grande luce della nuova via ed entravano così nel regno dei cieli era in verità più grande di Giovanni.
Quando Giovanni predicava il regno futuro, il motivo dominante del suo messaggio era: Pentitevi! Fuggite la collera imminente. Quando Gesù cominciò a predicare, conservò l’esortazione al pentimento, ma questo messaggio era sempre seguito dal Vangelo, la buona novella della gioia e della libertà del nuovo regno.
Gli Ebrei avevano molte opinioni sul liberatore atteso, e ciascuna di queste differenti scuole d’insegnamento messianico era in grado di citare dei passaggi nelle Scritture ebraiche a sostegno delle proprie affermazioni. In linea generale gli Ebrei consideravano che la loro storia nazionale cominciasse con Abramo e culminasse nel Messia e nella nuova era del regno di Dio. Inizialmente essi avevano immaginato questo liberatore come “il servitore del Signore”, poi come “il Figlio dell’Uomo”, mentre più tardi alcuni erano anche giunti a qualificare il Messia come il “Figlio di Dio”. Ma che fosse chiamato il “seme di Abramo” o “il figlio di Davide”, tutti erano del parere che dovesse essere il Messia, “l’unto del Signore”. In tal modo il concetto si evolse dal “servitore del Signore” al “figlio di Davide”, al “Figlio dell’Uomo” e al “Figlio di Dio”.
Al tempo di Giovanni e di Gesù gli Ebrei più istruiti avevano sviluppato un’idea del Messia futuro come di un Israelita rappresentativo e perfezionato, che riuniva in se stesso come “servitore del Signore” la triplice funzione di profeta, di sacerdote e di re.
Gli Ebrei credevano sinceramente che, come Mosè aveva liberato i loro padri dalla schiavitù egiziana con prodigi miracolosi, così l’atteso Messia avrebbe liberato il popolo ebreo dalla dominazione romana con miracoli di potere ancora più grandi e con meraviglie di trionfo razziale. I rabbini avevano messo insieme quasi cinquecento passaggi delle Scritture che, nonostante le loro evidenti contraddizioni, essi affermavano essere profetiche del Messia futuro. Ed in mezzo a tutti questi dettagli di tempo, di tecnica e di funzione, essi persero quasi completamente di vista la personalità del Messia promesso. Essi si aspettavano la restaurazione della gloria nazionale ebrea - l’esaltazione temporale d’Israele - piuttosto che la salvezza del mondo. È quindi evidente che Gesù di Nazaret non avrebbe mai potuto soddisfare questo materialistico concetto messianico della mente ebraica. Molte delle loro pretese predizioni messianiche, se essi avessero guardato queste espressioni profetiche sotto una luce diversa, avrebbero preparato in modo del tutto naturale la loro mente a riconoscere Gesù come il terminatore di un’era e l’iniziatore di una nuova e migliore dispensazione di misericordia e di salvezza per tutte le nazioni.
Gli Ebrei erano stati portati a credere nella dottrina della Shekinah. Ma questo presunto simbolo della Presenza Divina non era visibile nel tempio. Essi credevano che la venuta del Messia ne avrebbe effettuato la restaurazione. Essi avevano delle idee confuse sul peccato razziale e sulla supposta natura malvagia dell’uomo. Alcuni insegnavano che il peccato di Adamo aveva maledetto la razza umana e che il Messia avrebbe rimosso questa maledizione e ristabilito gli uomini nel favore divino. Altri insegnavano che Dio, nel creare l’uomo, aveva posto in questo essere sia la natura buona sia quella cattiva; che quando osservò il funzionamento di questa combinazione egli fu assai deluso, e che “si pentì di aver creato l’uomo in questo modo”. Coloro che insegnavano ciò credevano che il Messia sarebbe venuto per redimere gli uomini da questa innata cattiva natura.
La maggioranza degli Ebrei credeva che essi avrebbero continuato a languire sotto la sovranità romana a causa dei loro peccati nazionali e della tiepidezza dei proseliti Gentili. La nazione ebraica non era sinceramente pentita; per questo il Messia tardava a venire. Si parlava molto di pentimento; da ciò il potente ed immediato appello della predicazione di Giovanni: “Pentitevi e siate battezzati, perché il regno dei cieli è vicino.” Ed il regno dei cieli poteva significare soltanto una cosa per un Ebreo devoto: la venuta del Messia.
C’era una caratteristica nel conferimento di Gesù che era totalmente estranea alla concezione ebraica del Messia, ed era l’unione delle due nature, quella umana e quella divina. Gli Ebrei avevano variamente concepito il Messia come umano perfezionato, come super-umano ed anche come divino, ma non avevano mai intrattenuto il concetto dell’unione dell’umano e del divino. Questo fu il grande intoppo dei primi discepoli di Gesù. Essi afferravano il concetto umano del Messia quale figlio di Davide, come era stato presentato dagli antichi profeti; quale Figlio dell’Uomo, l’idea super-umana di Daniele e di alcuni dei profeti successivi; ed anche quale Figlio di Dio, come descritto dall’autore del Libro di Enoch e da certi suoi contemporanei. Ma non avevano mai intrattenuto per un solo istante il vero concetto dell’unione in una sola personalità terrena delle due nature, quella umana e quella divina. L’incarnazione del Creatore sotto forma di creatura non era stata rivelata prima. Essa fu rivelata soltanto in Gesù; il mondo non conosceva nulla di queste cose fino a quando il Figlio Creatore non si fece carne ed abitò tra i mortali del regno.
Gesù fu battezzato nel momento culminante della predicazione di Giovanni, quando la Palestina era infiammata dall’aspettativa del suo messaggio - “il regno di Dio è vicino” - quando tutto il mondo ebraico era impegnato in un serio e solenne autoesame. Il sentimento ebraico della solidarietà razziale era molto profondo. Gli Ebrei non soltanto credevano che i peccati del padre potessero affliggere i suoi figli, ma credevano anche fermamente che il peccato di un individuo potesse maledire la nazione. Di conseguenza, non tutti quelli che si sottoponevano al battesimo di Giovanni si consideravano colpevoli dei peccati specifici denunciati da Giovanni. Numerose anime pie furono battezzate da Giovanni per il bene d’Israele; esse temevano che un peccato d’ignoranza da parte loro potesse ritardare la venuta del Messia. Esse si sentivano di appartenere ad una nazione colpevole e maledetta dal peccato, e si presentavano per il battesimo al fine di manifestare con questo atto i frutti di una penitenza razziale. È quindi evidente che Gesù non ricevette in alcun senso il battesimo di Giovanni come un rito di pentimento o per la remissione dei peccati. Accettando il battesimo dalle mani di Giovanni, Gesù seguiva soltanto l’esempio di molti Israeliti devoti.
Quando Gesù di Nazaret scese nel Giordano per essere battezzato era un mortale del regno che aveva raggiunto la sommità dell’ascensione evoluzionaria umana per quanto concerneva la conquista della mente e l’autoidentificazione con lo spirito. Quel giorno egli stava nel Giordano come un uomo perfezionato dei mondi evoluzionari del tempo e dello spazio. Una perfetta sincronia ed una piena comunicazione si erano stabilite tra la mente mortale di Gesù e lo Spirito interiore, il dono divino di suo Padre del Paradiso. E proprio un simile Spirito abita tutti gli esseri normali viventi sulla Terra dopo l’ascensione di Gesù alla sovranità del suo Universo.
Ordinariamente, quando un mortale del regno raggiunge questi alti livelli di perfezione della personalità, si producono quei fenomeni preliminari di elevazione spirituale che terminano nella fusione definitiva dell’anima maturata del mortale con il suo divino Spirito collaboratore. Un tale cambiamento avrebbe dovuto apparentemente verificarsi nell’esperienza della personalità di Gesù di Nazaret in quel giorno stesso in cui scese nel Giordano con i suoi due fratelli per essere battezzato da Giovanni. Questa cerimonia era l’atto finale della sua vita puramente umana sulla Terra. Avvenne qualcosa di nuovo e di ancora più grande.
Mentre Giovanni imponeva le mani per battezzarlo, Gesù osservò il proprio spirito divino, precedente il suo conferimento umano, ridiscendere su di lui. Egli udì allora questo stesso spirito originario del Paradiso parlare, dicendo: “Questo è il mio Figlio prediletto nel quale io sono molto soddisfatto.” E Giovanni, con i due fratelli di Gesù, udirono anch’essi queste parole. I discepoli di Giovanni, che si trovavano ai bordi dell’acqua, non udirono queste parole né videro l’apparizione del Spirito. Solo gli occhi di Gesù videro lo Spirito discendere su di lui.
Quando lo Spirito ebbe parlato in questo modo, tutto fu silenzio. E mentre i quattro erano ancora nell’acqua, Gesù, levando gli occhi verso il vicino Spirito, pregò: “Padre mio che regni nel cielo, sia santificato il tuo nome. Venga il tuo regno! Sia fatta la tua volontà sulla terra, come avviene in cielo.” Quando egli ebbe pregato, i “cieli si aprirono” ed il Figlio dell’Uomo vide l’immagine di se stesso come Figlio di Dio qual era prima di venire sulla terra nelle sembianze della carne mortale e quale sarebbe stato quando la sua vita incarnata fosse terminata. Questa visione celeste fu vista solo da Gesù.
Fu la voce dello Spirito che Giovanni e Gesù udirono parlare in nome del Padre Universale, perché lo Spirito proviene dal Padre del Paradiso ed è come lui. Durante il resto della vita terrena di Gesù questo Spirito fu di grande aiuto in tutte le sue opere e Gesù ne rimase sempre in costante comunione.
Quando fu battezzato Gesù non si pentì di alcuna cattiva azione; non fece nessuna confessione di peccato. Il suo fu il battesimo di consacrazione al compimento della volontà del Padre Celeste. Al momento del suo battesimo egli udì l’inconfondibile appello di suo Padre, l’invito finale ad occuparsi degli affari di suo Padre, e andò in ritiro solitario per quaranta giorni per meditare su questi molteplici problemi. Ritirandosi così per un certo tempo dal contatto personale attivo con i suoi collaboratori terreni.
Questo giorno del battesimo segnò la fine della vita puramente umana di Gesù. Il Figlio divino ha trovato suo Padre, il Padre Universale ha trovato suo Figlio incarnato, ed essi parlano l’uno con l’altro.
[ ndr. Gesù aveva quasi trentun anni e mezzo quando fu battezzato. Benché Luca dica che Gesù fu battezzato nel quindicesimo anno del regno di Tiberio Cesare, che sarebbe l’anno 29 d.C., poiché Augusto morì nell’anno 14 d.C., bisogna tenere presente che Tiberio fu co-imperatore con Augusto per due anni e mezzo prima della morte di Augusto, ed aveva avuto delle monete coniate in suo onore in ottobre dell’anno 11 d.C. Il quindicesimo anno del suo regno effettivo fu dunque questo stesso anno 26 d.C., quello del battesimo di Gesù. E questo fu anche l’anno in cui Ponzio Pilato cominciò il suo incarico come governatore della Giudea.]
Gesù aveva subito la grande tentazione durante il suo conferimento come mortale prima del suo battesimo, quando era stato bagnato dalle rugiade del Monte Hermon per sei settimane. Là, sul Monte Hermon, come mortale del regno e senza aiuto, aveva incontrato e vinto il pretendente della Terra, Caligastia, il principe di questo mondo. In quel giorno Gesù di Nazaret era divenuto il Principe della Terra. E questo Principe della Terra si ritirava ora per quaranta giorni per formulare i piani e determinare la tecnica di proclamazione del nuovo regno di Dio nel cuore degli uomini.
Dopo il suo battesimo egli cominciò i quaranta giorni di adattamento di se stesso alle mutate relazioni con il mondo e l’Universo conseguenti alla ridiscesa del suo Spirito originario. Durante questo isolamento sulle colline della Perea egli determinò la linea di condotta da seguire ed i metodi da impiegare nella nuova e mutata fase della vita terrena che stava per inaugurare.
Gesù non andò in ritiro allo scopo di digiunare e di affliggere la sua anima. Egli non era un asceta e veniva per distruggere definitivamente tutte queste nozioni concernenti l’approccio a Dio. Le sue ragioni per cercare questa solitudine erano del tutto differenti da quelle che avevano mosso Mosè ed Elia, e lo stesso Giovanni il Battista. Gesù era allora pienamente autocosciente della sua relazione con l’Universo che egli aveva creato, su cui esercitava la supervisione il Padre del Paradiso, suo Padre Celeste. Egli ora si ricordava interamente le ragioni del suo conferimento e la missione ricevuta prima di cominciare la sua incarnazione sulla Terra. Egli comprendeva ormai chiaramente e totalmente tutte queste vaste relazioni e desiderava starsene lontano per un periodo di tranquilla meditazione, in modo da poter elaborare i piani e decidere le procedure per la prosecuzione della sua opera pubblica a favore di questo mondo e di tutti gli altri mondi del suo Universo.
Durante questi quaranta giorni d’isolamento, Giacomo e Giovanni, i figli di Zebedeo, si erano posti alla ricerca di Gesù. Molte volte essi giunsero vicini al suo luogo di ricovero, ma non lo trovarono mai.
Giorno dopo giorno, sulle colline, Gesù formulò i piani per il resto del suo conferimento sulla Terra. Egli decise in primo luogo di non insegnare contemporaneamente a Giovanni. Progettò di restare relativamente in disparte fino a che l’opera di Giovanni avesse raggiunto il suo scopo, oppure fino a quando Giovanni fosse stato improvvisamente interrotto dall’incarcerazione. Gesù sapeva bene che la predicazione di Giovanni, intrepida e priva di tatto, avrebbe suscitato ben presto i timori e l’inimicizia dei capi civili. Vista la situazione precaria di Giovanni, Gesù cominciò a preparare in modo definito il suo programma d’intervento pubblico a favore del suo popolo e del mondo, a favore di ogni mondo abitato in tutto il suo vasto Universo. Il conferimento come mortale di Gesù avvenne sulla terra ma per tutti i mondi dell’Universo.
La prima cosa che fece Gesù dopo aver concepito il piano generale di coordinamento del suo programma con il movimento di Giovanni, fu di ripassarne nella sua mente le istruzioni. Egli rifletté con cura sui metodi di lavoro più opportuni ed sulla convenienza di non lasciare scritti permanenti sulla Terra. Gesù non scrisse mai più niente, eccetto che sulla sabbia. Nella sua visita successiva a Nazaret, con grande dispiacere di suo fratello Giuseppe, Gesù distrusse tutti i suoi scritti che erano conservati sulle tavolette nel laboratorio di carpenteria, o che erano appese sulle pareti della vecchia casa. Gesù rifletté bene sul comportamento che avrebbe dovuto avere in materia economica, sociale e politica verso il mondo che avrebbe affrontato.
Gesù non digiunò durante questi quaranta giorni d’isolamento. Il periodo più lungo in cui si astenne dal cibo furono i suoi primi due giorni sulle colline, quando era così immerso nelle sue riflessioni che dimenticò totalmente di mangiare. Ma il terzo giorno andò in cerca di cibo. Né fu tentato durante questo periodo da qualche spirito cattivo o da personalità ribelli stazionate su questo mondo o provenienti da qualsiasi altro mondo.
Questi quaranta giorni furono l’occasione del confronto finale tra la mente umana e quella divina, o piuttosto il primo reale funzionamento di queste due menti oramai divenute una. I risultati di questo importantissimo periodo di meditazione dimostrarono definitivamente che la mente divina aveva trionfalmente e spiritualmente dominato il suo intelletto umano. La mente dell’uomo era divenuta oramai la mente di Dio, e sebbene l’identità della sua mente umana fosse sempre presente, questa mente umana spiritualizzata diceva sempre: “Sia fatta non la mia volontà ma la tua.”
Gli avvenimenti di questo periodo memorabile non furono le visioni fantastiche di una mente indebolita dalla fame e stanca, né furono i simbolismi confusi e puerili che successivamente furono riportati come le “tentazioni di Gesù nel deserto”. Questo fu piuttosto un periodo di riflessione sulla movimentata e variegata missione di conferimento sulla Terra e sull’attenta messa a punto di quei piani per il ministero successivo che sarebbero stati i più utili per questo mondo, contribuendo anche a migliorare un po’ tutte le altre sfere isolate a causa della ribellione. Gesù rifletté sull’intero tratto della vita umana sulla Terra, dai tempi di Andon e Fonta, passando per il fallimento di Adamo e fino al ministero del Melchizedek di Salem.
Gesù rifletté molto sui due modi di svolgere il suo ministero nel mondo:
1. La sua via - la via che poteva sembrargli più efficace e più proficua dal punto di vista dei bisogni immediati di questo mondo (pace, giustizia e prosperità); via di cui ne vedeva i contorni precisi.
2. La via del Padre - un ideale più vasto e a più lunga scadenza della vita delle creature; un ideale non sempre immediatamente comprensibile e che gli avrebbe spesso creato dubbi ed incertezze.
In tal modo fu chiaro a Gesù che c’erano due maniere in cui poteva disporre il resto della sua vita terrena. Ciascuna di queste maniere aveva degli argomenti a suo favore alla luce della situazione immediata.
Il Figlio dell’Uomo vedeva chiaramente che la sua scelta tra questi due metodi di condotta non avrebbe avuto niente a che fare con l’attribuzione della sovranità sul suo Universo; quella era una questione già regolata e suggellata. Ma fu anche chiaro a Gesù, e questa fu una importantissima decisione personale, che sarebbe stato opportuno terminare il suo percorso terreno d’incarnazione come l’aveva nobilmente cominciata, restando sempre sottomesso alla volontà del Padre.
Il terzo giorno del suo isolamento Gesù si ripromise di ritornare nel mondo per completare il suo percorso terreno e, in ogni situazione implicante due soluzioni, egli avrebbe scelto sempre la volontà del Padre. Ed egli visse il resto della sua vita terrena rimanendo sempre fedele a quella risoluzione. Anche sino all’amara fine egli subordinò invariabilmente la sua volontà sovrana a quella di suo Padre Celeste.
I quaranta giorni nella solitudine della montagna non furono un periodo di grande tentazione, ma piuttosto il periodo delle grandi decisioni del Maestro. Durante questi giorni di comunione solitaria con se stesso e con la presenza immediata di suo Padre - lo Spirito - pervenne, una ad una, alle grandi decisioni che dovevano controllare la sua linea di condotta e guidarlo per il resto del suo percorso terreno. In seguito fu collegata a questo periodo d’isolamento la tradizione di una grande tentazione dovuta alla confusione dovuta ai racconti frammentari delle lotte sul Monte Hermon, ed inoltre perché era usanza che tutti i grandi profeti e capi umani iniziassero il loro percorso pubblico sottoponendosi a questi supposti periodi di digiuno e di preghiera. Era sempre stata abitudine di Gesù, quando doveva affrontare delle decisioni nuove o gravi, ritirarsi per comunicare con il suo Spirito e per cercare così di conoscere la volontà di Dio.
In tutti questi progetti per il resto della sua vita terrena, Gesù era sempre lacerato nel suo cuore umano tra due opposte linee di condotta:
1. Egli provava un forte desiderio di portare il suo popolo - e tutto il mondo - a credere in lui e ad accettare il suo nuovo regno spirituale. Ed egli conosceva bene le loro idee concernenti il Messia atteso.
2. Vivere ed agire nel modo che egli sapeva che suo Padre avrebbe approvato, condurre la sua opera a favore di tuti e continuare, nell’instaurazione del regno, a rivelare il Padre e a manifestare il suo divino carattere d’amore.
Durante questi giorni Gesù visse in una vecchia caverna rocciosa, un ricovero nel fianco delle colline vicino ad un villaggio un tempo chiamato Bet-Adis. Egli beveva da una piccola sorgente che sgorgava dal fianco della collina vicino a questo riparo roccioso.
Il terzo giorno dopo l’inizio di questo incontro tra lui ed il suo Spirito, fu presentata a Gesù la possibilità di utilizzare il suo potere divino per realizzare più efficacemente il progetto del Padre.
Gesù decise che non avrebbe utilizzato una sola delle sue prerogative di Figlio di Dio fino a che non fosse divenuto evidente che questa era la volontà del Padre.
Così, con questa grande decisione, Gesù si privò volontariamente di ogni aiuto super-umano in tutte le questioni concernenti il resto del suo percorso mortale, a meno che il Padre non scegliesse per proprio conto di partecipare a qualche atto od episodio delle attività terrene del Figlio.
Gesù fu consapevole delle conseguenze della sua decisione di continuare a vivere come un uomo tra gli uomini. Con questa decisione egli aveva escluso il possibile intervento in suo aiuto di tutte le schiere di angeli che erano a sua disposizione.
Nessun miracolo, nessun ministero di misericordia o nessun altro possibile avvenimento in connessione con la rimanente attività terrena di Gesù avrebbe potuto avere la natura o il carattere di un atto trascendente le leggi naturali stabilite e normalmente operanti negli affari degli uomini. Nessun limite tuttavia poteva essere posto alle manifestazioni della “volontà del Padre” a cui Gesù sempre si sottomise.
Avendo stabilito questa sua prima linea di condotta, Gesù rivolse ora le sue attenzioni su se stesso. Che cosa avrebbe fatto egli, ora creatore pienamente autocosciente di tutte le cose e di tutti gli esseri esistenti in questo Universo, di queste prerogative nelle pratiche situazioni della vita che avrebbe incontrato immediatamente quando fosse ritornato in Galilea per riprendere la sua opera tra gli uomini?
In effetti, e precisamente mentre si trovava su questi monti da solo, questo problema si era già presentato in tutta la sua evidenza con la necessità di procurarsi del cibo. Al terzo giorno delle sue meditazioni solitarie il suo corpo umano ebbe fame. Doveva egli andare in cerca di cibo come avrebbe fatto un uomo qualunque, o doveva semplicemente esercitare i suoi poteri creativi normali e produrre un cibo corporale adeguato e bell’e pronto? Questa grande decisione del Maestro è stata descritta come una tentazione - come una sfida lanciata da supposti nemici affinché “comandi che queste pietre si tramutino in pani”.
Gesù stabilì così una nuova e coerente linea di condotta per il resto della sua opera terrena. Per quanto concerneva le sue necessità personali ed in generale anche le sue relazioni con altre personalità, egli ora scelse deliberatamente di proseguire la via di una normale esistenza terrena; decise definitivamente in senso contrario ad una linea di condotta che trascendesse, violasse od oltraggiasse le leggi naturali da lui stesso stabilite. Ma non poteva ripromettersi che queste leggi naturali non potessero, in certe specifiche circostanze, essere grandemente accelerate. In generale, Gesù decise che l’opera della sua vita sarebbe stata organizzata e proseguita conformemente alle leggi della natura ed in armonia con l’organizzazione sociale esistente.
Il Maestro scelse così un programma di vita che pur optando per una decisione di non usare miracoli e prodigi per l’annuncio della Buona Novella, tuttavia non ponesse limiti alla “volontà del Padre”, sempre ultimo e unico riferimento per tutte le sue decisioni.
La natura umana di Gesù imponeva che il primo dovere fosse quello di preservare se stesso; che è il comportamento normale dell’uomo naturale sui mondi del tempo e dello spazio, ed è quindi una reazione legittima di un mortale della Terra. Ma Gesù non si occupava soltanto di questo mondo e delle sue creature; egli stava vivendo una vita destinata ad istruire e ad ispirare le molteplici creature di un immenso Universo.
Prima della sua illuminazione battesimale egli aveva vissuto in perfetta sottomissione alla volontà e al governo di suo Padre Celeste. Egli decise energicamente di continuare proprio in questa implicita dipendenza umana dalla volontà del Padre.
Decise di seguire una condotta “innaturale” - decise di non cercare l’autopreservazione. Egli scelse di proseguire la politica consistente nel rifiutare di difendere se stesso. Formulò le sue conclusioni con le parole delle Scritture familiari alla sua mente umana: “L’uomo non vivrà di solo pane, ma di ogni parola che esce dalla bocca di Dio.” Giungendo a questa conclusione circa l’appetito della sua natura fisica espresso nel desiderio di cibo, il Figlio dell’Uomo fece la sua ultima dichiarazione concernente tutti gli altri bisogni della carne e gli impulsi naturali della natura umana.
Egli avrebbe potuto forse usare il suo potere super-umano a favore di altri, ma mai per se stesso. E proseguì questa politica con persistenza sino alla fine stessa, quando con scherno fu detto di lui: “Ha salvato gli altri, ma non può salvare se stesso” - perché egli non voleva.
Gli Ebrei erano in attesa di un Messia che avesse compiuto dei prodigi ancora più grandi di Mosè, che si riteneva avesse fatto scaturire l’acqua dalla roccia in un luogo arido ed avesse nutrito i loro antenati nel deserto con la manna. Gesù conosceva il genere di Messia atteso dai suoi compatrioti, ed egli disponeva di tutti i poteri e le prerogative per essere all’altezza delle loro più ardenti aspettative, ma decise in senso contrario a questo magnifico programma di potere e di gloria.
Gesù considerava questo fatto di attendersi dei miracoli come un ritorno ai tempi antichi della magia ignorante e delle pratiche degradate degli stregoni selvaggi. Forse, per la salvezza delle sue creature, egli avrebbe potuto accelerare la legge naturale, ma trascendere le sue stesse leggi a beneficio di se stesso o per incutere timore ai suoi simili, questo non l’avrebbe fatto. E la decisione del Maestro fu definitiva.
Gesù era dispiaciuto per il suo popolo; egli comprendeva pienamente come essi fossero stati portati a sperare nella venuta del Messia, il tempo in cui “la terra produrrà i suoi frutti dieci volte mille ed in cui su ogni vigna vi saranno mille tralci, ed ogni tralcio produrrà mille grappoli ed ogni grappolo produrrà mille acini, ed ogni acino produrrà un gallone di vino”. Gli Ebrei credevano che il Messia avrebbe inaugurato un’era di abbondanza miracolosa. Gli Ebrei erano stati a lungo nutriti con tradizioni di miracoli e con leggende di prodigi.
Egli non era un Messia che veniva a moltiplicare il pane ed il vino. Non veniva a provvedere soltanto ai bisogni temporali; veniva a rivelare suo Padre Celeste ai suoi figli terreni, mentre cercava di portare i suoi figli terreni ad unirsi a lui in uno sforzo sincero per vivere secondo la volontà del Padre che è nei cieli.
In questa decisione Gesù di Nazaret evidenziò la follia ed il peccato di prostituire talenti divini e capacità donate da Dio ad ambizioni personali o al profitto e alla glorificazione puramente egoistici. Questo fu il peccato di Lucifero e di Caligastia.
Questa grande decisione di Gesù dimostra drammaticamente la verità che i piaceri dei sensi e la soddisfazione egoista, da soli e da se stessi, non sono capaci di portare la felicità agli esseri umani in evoluzione. Vi sono dei valori superiori nell’esistenza mortale - la padronanza intellettuale e la realizzazione spirituale - che trascendono di molto la necessaria soddisfazione degli appetiti e dei bisogni puramente fisici dell’uomo. I doni naturali del talento e della capacità dell’uomo dovrebbero essere principalmente consacrati a sviluppare e a nobilitare i suoi poteri superiori della mente e dello spirito.
Gesù rivelò così alle creature del suo Universo la tecnica della nuova e migliore via, i superiori valori morali della vita e le più profonde soddisfazioni spirituali dell’esistenza umana evoluzionaria sui mondi dello spazio.
Dopo aver preso le sue decisioni sulle questioni del cibo e dell’assistenza fisica per i bisogni del suo corpo materiale, la cura della sua salute e quella dei suoi collaboratori, restavano ancora altri problemi da risolvere. Quale sarebbe stato il suo comportamento di fronte ad un pericolo personale? Egli decise di esercitare una sorveglianza normale sulla sua sicurezza umana e di adottare delle precauzioni ragionevoli per evitare la fine prematura del suo percorso nella carne, ma di astenersi da ogni intervento super-umano quando fosse giunta la crisi della sua vita nella carne. Mentre formulava questa decisione, Gesù era seduto all’ombra di un albero posto su una sporgenza rocciosa a strapiombo su un precipizio proprio davanti a lui. Egli si rese perfettamente conto che poteva gettarsi nel vuoto e che non gli sarebbe accaduto nulla di male se avesse annullato la sua prima grande decisione di non invocare l’intervento delle sue intelligenze celesti nella prosecuzione dell’opera della sua vita sulla Terra, e se avesse abrogato la seconda decisione concernente il suo comportamento riguardo alla preservazione di se stesso.
Gesù sapeva che i suoi connazionali aspettavano un Messia che trascendesse la legge naturale. Gli era stato insegnato bene il passaggio delle Scritture che dice: “Non ti capiterà alcun male, nessuna calamità si avvicinerà alla tua dimora, perché egli ti affiderà ai suoi angeli affinché ti custodiscano in tutte le tue vie. Essi ti sosterranno con le loro mani per timore che tu urti il tuo piede contro una pietra.” Questa sorta di presunzione, questa sfida alle leggi di gravità di suo Padre, sarebbero state giustificate allo scopo di proteggere se stesso da un male possibile o forse di guadagnare la fiducia del suo popolo male istruito e confuso? Ma questa linea di condotta, per quanto soddisfacente per gli Ebrei che cercavano dei segni, non sarebbe stata una rivelazione di suo Padre, ma una discutibile manipolazione delle leggi stabilite dell’Universo degli universi.
Da queste decisioni, appare evidente che il Maestro rifiutava di operare contro le leggi della natura da lui stesso stabilite a riguardo della sua condotta personale; non camminò mai sulle acque (se fosse stato necessario, avrebbe permesso a tutti gli esseri umani di farlo fin dagli albori della razza umana), né fece mai nulla che oltraggiasse il suo ordine materiale di amministrazione del mondo.
Per tutta la sua vita terrena Gesù restò costantemente fedele a questa decisione. Sia quando i Farisei lo provocarono di dare un segno, sia quando quelli che lo osservavano al Calvario lo sfidarono a scendere dalla croce, egli mantenne fermamente la decisione presa in questo momento sul fianco della collina.
Il grande problema successivo che questo Dio-uomo affrontò e risolse subito conformemente alla volontà del Padre Celeste, concerneva la questione di sapere se qualcuno dei suoi poteri super-umani dovesse o meno essere impiegato per attirare l’attenzione ed ottenere l’adesione dei suoi contemporanei. Doveva egli in una qualche misura prestare i suoi poteri universali all’appagamento del desiderio ardente degli Ebrei per lo spettacolare ed il meraviglioso? Egli decise che non l’avrebbe fatto. Stabilì una linea di condotta che eliminava tutte queste pratiche come metodo per portare la sua missione a conoscenza degli uomini. E fu coerente con questa grande decisione. Anche quando permise la manifestazione di numerose somministrazioni di misericordia, egli raccomandò quasi invariabilmente ai beneficiari del suo ministero curativo di non raccontare a nessuno i benefici che avevano ricevuto. E respinse sempre la sfida provocante dei suoi nemici che chiedevano “mostraci un segno” quale prova e dimostrazione della sua divinità.
Gesù prevedeva molto saggiamente che il compimento di miracoli e l’esecuzione di prodigi avrebbe suscitato soltanto una devozione molto temporanea ed esteriore per avere colpito la mente materiale; queste dimostrazioni non avrebbero rivelato Dio né avrebbero salvato gli uomini. La conversione viene da dentro, non dalla percezione dei sensi di fatti eccezionali o miracolosi. Egli rifiutò di divenire un semplice operatore di prodigi. Risolse di occuparsi di un unico compito - l’instaurazione del Regno dei Cieli.
Durante questo importante dialogo di Gesù con se stesso, era presente l’elemento umano di obiezione e di quasi dubbio, perché Gesù era uomo quanto Dio. Era evidente che egli non sarebbe mai stato accettato dagli Ebrei come il Messia se non avesse compiuto dei prodigi. Inoltre, se avesse consentito di fare una sola cosa non naturale, la mente umana avrebbe saputo con certezza che ciò avveniva in sottomissione ad una mente veramente divina. Per la mente divina sarebbe stato compatibile con “la volontà del Padre” fare questa concessione alla natura dubbiosa della mente umana? Gesù decise che non lo sarebbe stato perché è il frammento di Dio, che è in ciascuno di noi, che determina la certificazione della veridicità delle sue parole.
Gesù aveva viaggiato molto; ricordava Roma, Alessandria e Damasco. Egli conosceva i metodi del mondo - il modo in cui la gente raggiungeva i loro fini in politica e nel commercio mediante il compromesso e la diplomazia. Avrebbe egli utilizzato questa conoscenza nel proseguimento della sua missione sulla terra? No! Egli decise in modo simile contro ogni compromesso con la saggezza del mondo e con l’influenza delle ricchezze nell’instaurazione del regno. Scelse di nuovo di dipendere esclusivamente dalla volontà del Padre.
Gesù era pienamente cosciente delle scorciatoie aperte ad uno dei suoi poteri. Conosceva numerosi metodi con cui l’attenzione della nazione e del mondo intero poteva essere immediatamente focalizzata su se stesso. Presto sarebbe stata celebrata la Pasqua a Gerusalemme; la città sarebbe stata colma di visitatori. Egli avrebbe potuto salire sul pinnacolo del tempio e camminare nell’aria davanti alla moltitudine sbalordita; quello sarebbe stato il genere di Messia che gli Ebrei stavano aspettando. Ma li avrebbe successivamente delusi perché egli non era venuto per ristabilire il trono di Davide. E conosceva la futilità del metodo usato da Caligastia di tentare di anticipare la maniera naturale, lenta e sicura di compiere il disegno divino. Di nuovo il Figlio dell’Uomo s’inchinò con obbedienza alla via del Padre, alla volontà del Padre.
Gesù scelse di stabilire il regno dei cieli dentro, nel profondo del cuore degli uomini con metodi naturali, ordinari, difficili e duri, cioè con i procedimenti che i suoi figli terreni avrebbero dovuto seguire successivamente nella loro opera per ampliare ed estendere questo regno dei cieli. Perché il Figlio dell’Uomo sapeva bene che sarebbe stato “attraverso molte tribolazioni che numerosi figli di tutte le ere sarebbero entrati nel regno”. Gesù stava passando ora per la grande prova degli uomini civilizzati consistente nel detenere il potere e rifiutare fermamente di servirsene per scopi puramente egoistici o personali.
Nella considerazione della vita e dell’esperienza del Figlio dell’Uomo, bisognerebbe sempre tenere a mente che il Figlio di Dio era incarnato nella mente di un essere umano del primo secolo, non nella mente di un mortale del ventesimo secolo o di un altro secolo. Con questo si vuole esprimere l’idea che le doti umane di Gesù erano di acquisizione naturale. Egli era il prodotto dei fattori ereditari ed ambientali del suo tempo, accresciuti dall’influenza della sua istruzione e della sua educazione. La sua umanità era autentica, naturale, interamente derivata e nutrita dagli antecedenti dello status intellettuale di allora e dalle condizioni sociali ed economiche di quell’epoca e di quella generazione. Anche se nell’esperienza di questo Dio-uomo c’era sempre la possibilità che la mente divina trascendesse l’intelletto umano, nondimeno, nelle circostanze in cui la sua mente umana ha operato, si è manifestata come avrebbe fatto una vera mente mortale nelle condizioni dell’ambiente umano di quel tempo.
Gesù mostrò a tutti la follia di creare delle situazioni artificiali allo scopo di esibire un’autorità arbitraria o d’indulgere ad un potere eccezionale allo scopo di elevare dei valori morali o di accelerare il progresso spirituale. Gesù decise che non avrebbe fatto della sua missione sulla terra una ripetizione della delusione del regno dei Maccabei. Egli rifiutò di prostituire i suoi attributi divini allo scopo di acquisire una popolarità immeritata o di guadagnare prestigio politico. Non volle approvare la trasmutazione d’energia divina e creativa in potere nazionale o in prestigio internazionale. Gesù di Nazaret rifiutò il compromesso con il male ed ancor più l’accordo con il peccato. Il Maestro pose trionfalmente la fedeltà alla volontà di suo Padre al di sopra di ogni altra considerazione terrena e temporale.
Avendo regolato tali questioni di condotta concernenti le sue relazioni personali con la legge naturale ed il potere spirituale, egli volse la sua attenzione alla scelta dei metodi da impiegare nella proclamazione e nell’instaurazione del regno di Dio. Giovanni aveva già cominciato quest’opera; come poteva egli continuare il messaggio? Come sarebbe subentrato alla missione di Giovanni? Come avrebbe organizzato i suoi fedeli per uno sforzo efficace ed una cooperazione intelligente? Gesù stava pervenendo ora alla decisione finale che gli avrebbe impedito di considerarsi ancora come il Messia degli Ebrei, almeno il Messia qual era concepito dal popolo di quel tempo.
Gli Ebrei immaginavano un liberatore che sarebbe venuto con potere miracoloso ad abbattere i nemici d’Israele e a stabilire gli Ebrei, liberati dalla miseria e dall’oppressione, come governatori del mondo. Gesù sapeva che questa speranza non sarebbe mai stata realizzata. Egli sapeva che il regno dei cieli concerneva la vittoria sul male nel cuore degli uomini e che era puramente una materia d’ordine spirituale. Egli meditò sull’opportunità d’inaugurare il regno spirituale con una brillante ed abbagliante dimostrazione di potere - e questa condotta sarebbe stata ammissibile ed interamente conforme alla missione di Gesù - ma egli decise completamente contro un tale piano. Non voleva compromessi con le tecniche rivoluzionarie di Caligastia. Egli aveva potenzialmente conquistato il mondo sottomettendosi alla volontà del Padre, e si propose di terminare la sua opera come l’aveva cominciata, e come Figlio dell’Uomo.
Via via che passavano i giorni Gesù percepiva con sempre maggiore chiarezza quale tipo di rivelatore di verità sarebbe divenuto. Egli capiva che la via di Dio non sarebbe stata una via facile. Cominciava a rendersi conto che la coppa della sua restante esperienza umana poteva essere amara, molto amara, ma decise di berla.
Anche la sua mente umana sta dicendo addio al trono di Davide. Passo dopo passo questa mente umana segue il sentiero della mente divina. La mente umana pone ancora delle domande, ma accetta invariabilmente le risposte divine come regola finale in questa esistenza congiunta in cui vivere come un uomo nel mondo sottomettendosi costantemente senza riserve al compimento della volontà eterna e divina del Padre.
Roma era padrona del mondo occidentale. Il Figlio dell’Uomo, ora in solitudine a prendere queste decisioni memorabili, con le schiere celesti ai suoi ordini, rappresentava l’ultima possibilità per gli Ebrei di giungere a dominare il mondo. Ma questo Ebreo di nascita, che possedeva una saggezza ed un potere così prodigiosi, rifiutò d’impiegare le sue doti universali sia per l’esaltazione di se stesso sia per l’insediamento sul trono del suo popolo. Egli vedeva, per così dire, “i regni di questo mondo” ed aveva il potere d’impadronirsene. I regni sulla Terra erano misere cose per interessare il Creatore e Sovrano di un Universo. Egli aveva un solo obiettivo, l’ulteriore rivelazione di Dio, Padre Buono, agli uomini, l’instaurazione del regno, il dominio del Padre Celeste nel cuore degli uomini.
L’idea di battaglia, di lotta e di massacro ripugnava a Gesù; egli non voleva nulla di tutto ciò. Voleva apparire sulla terra come il Principe della Pace per rivelare un Dio d’amore. Prima del suo battesimo egli aveva rifiutato ancora l’offerta degli Zeloti di guidarli alla ribellione contro gli oppressori romani.
Ed ora egli prese la sua decisione finale riferentesi a quelle Scritture quali: “Il Signore mi ha detto: ‘Tu sei mio Figlio; in questo giorno ti ho generato. Chiedimelo, ed io ti darò gli infedeli per tua eredità e le regioni estreme sulla Terra per tuo possesso. Tu li spezzerai con una sbarra di ferro; li farai a pezzi come un recipiente da vasaio.” Gesù di Nazaret giunse alla conclusione che queste citazioni non si riferivano a lui.
Alla fine, ed una volta per tutte, la mente umana del Figlio dell’Uomo fece piazza pulita di tutte queste difficoltà e contraddizioni messianiche - Scritture ebraiche, educazione dei genitori, insegnamento del Cazan, aspettative degli Ebrei ed ambiziosi desideri umani; una volta per sempre decise la sua linea di condotta. Egli sarebbe tornato in Galilea ed avrebbe cominciato tranquillamente la proclamazione del regno ed avrebbe confidato in suo Padre completamente per l’elaborazione e l’esecuzione dei dettagli quotidiani.
Con queste decisioni Gesù diede un degno esempio ad ogni persona su ogni mondo di un vasto Universo quando rifiutò di usare prove materiali per risolvere problemi spirituali, quando rifiutò di sfidare presuntuosamente le leggi naturali. E diede un esempio ispirante di lealtà universale e di nobiltà morale quando rifiutò d’impadronirsi del potere temporale come preludio alla gloria spirituale.
Se il Figlio dell’Uomo aveva dei dubbi sulla sua missione e sulla natura della stessa quando andò sulle colline dopo il suo battesimo, non ne aveva alcuno quando tornò dai suoi compagni dopo i quaranta giorni di solitudine e di decisioni.
Gesù aveva formulato un programma per l’instaurazione del regno del Padre. Egli non avrebbe provveduto alle soddisfazioni fisiche del popolo. Non avrebbe distribuito pane alle folle come aveva recentemente visto fare a Roma. Non avrebbe attirato l’attenzione su se stesso compiendo dei prodigi, anche se gli Ebrei stavano aspettando proprio quel genere di liberatore. Né avrebbe cercato di far accettare il suo messaggio spirituale con uno sfoggio di autorità politica o di potere temporale.
Respingendo questi metodi per magnificare il regno futuro agli occhi degli Ebrei in attesa, Gesù era certo che questi stessi Ebrei avrebbero certamente e definitivamente respinto tutte le sue pretese di autorità e di divinità. Sapendo tutto ciò, Gesù cercò a lungo d’impedire ai suoi primi discepoli di alludere a lui come al Messia.
Durante tutto il suo ministero pubblico egli fu posto di fronte alla necessità di affrontare tre situazioni costantemente ricorrenti: la richiesta di essere nutriti, l’insistenza per vedere dei miracoli e la richiesta finale di permettere ai suoi seguaci di farlo re. Ma Gesù non si scostò mai dalle decisioni che aveva preso durante questi giorni d’isolamento sulle colline della Perea.
L’ultimo giorno di questo isolamento, prima di scendere dalla montagna per raggiungere Giovanni e i suoi discepoli, il Figlio dell’Uomo prese la sua ultima decisione. E comunicò questa decisione al suo Spirito con queste parole: “Ed in tutte le altre questioni, come in queste la cui decisione è ora definita, m’impegno con te ad essere sottomesso alla volontà di mio Padre.” E dopo aver parlato così egli scese dalla montagna. Ed il suo viso risplendeva della gloria della vittoria spirituale e del compimento morale.