POCO dopo le sei di questo venerdì mattina, 7 aprile dell’anno 30 d.C., Gesù fu condotto davanti a Pilato, il procuratore romano che governava la Giudea, la Samaria e l’Idumea sotto la supervisione diretta del legato della Siria. Il Maestro fu portato alla presenza del governatore romano dalle guardie del tempio, legato, ed era accompagnato da una cinquantina di suoi accusatori, inclusi i membri del tribunale di Sacerdoti del Sinedrio (principalmente Sadducei), da Giuda Iscariota, dal sommo sacerdote Caifa e dall’apostolo Giovanni. Anna non comparve davanti a Pilato.
Pilato era alzato e pronto a ricevere questo gruppo di visitatori mattinieri, essendo stato informato da coloro che avevano ottenuto la sera prima il suo consenso ad impiegare i soldati romani per arrestare il Figlio dell’Uomo che Gesù sarebbe stato portato il mattino presto davanti a lui. Era stato disposto che questo giudizio si tenesse davanti al pretorio, una costruzione annessa alla fortezza di Antonia, dove Pilato e sua moglie stabilivano il loro quartier generale quando si fermavano a Gerusalemme.
Anche se Pilato condusse gran parte dell’interrogatorio di Gesù dentro le sale del pretorio, il giudizio pubblico avvenne fuori sui gradini che portavano all’entrata principale. Questa fu una concessione agli Ebrei, che rifiutavano di entrare in qualsiasi costruzione dei Gentili dove poteva essere impiegato del lievito in questo giorno di preparazione alla Pasqua. Tale condotta non solo li avrebbe resi cerimonialmente impuri e quindi esclusi dalla partecipazione alle celebrazioni pomeridiane di ringraziamento, ma sarebbero stati anche costretti a sottoporsi alle cerimonie di purificazione dopo il tramonto, prima di essere ammessi a partecipare alla cena della Pasqua.
Benché questi Ebrei non avessero assolutamente la coscienza turbata mentre complottavano per compiere l’assassinio legale di Gesù, erano tuttavia scrupolosi su tutte queste materie di purezza cerimoniale e di regolarità tradizionale. E questi Ebrei non sono stati i soli a non riconoscere gli alti e santi obblighi di natura divina, mentre accordavano una meticolosa attenzione a cose di poca importanza per il benessere umano sia nel tempo che nell’eternità.
Se Ponzio Pilato non fosse stato un governatore sufficientemente valido delle province minori, Tiberio avrebbe difficilmente permesso che restasse procuratore della Giudea per dieci anni. Benché egli fosse un amministratore abbastanza bravo, era moralmente un codardo. Non era un uomo abbastanza grande da comprendere la natura del suo compito di governatore degli Ebrei. Egli non colse il fatto che questi Ebrei avevano una religione reale, una fede per la quale erano disposti a morire, e che milioni e milioni di loro, sparsi qua e là in tutto l’impero, consideravano Gerusalemme come il luogo sacro della loro fede e rispettavano il Sinedrio come il più alto tribunale della terra.
Pilato non amava gli Ebrei, e quest’odio profondo cominciò presto a manifestarsi. Di tutte le province romane, nessuna era più difficile da governare quanto la Giudea. Pilato non comprese mai veramente i problemi che comportava l’amministrazione degli Ebrei, e quindi, sin dall’inizio della sua esperienza di governatore, fece una serie di errori gravi quasi fatali e pressoché suicidi. E furono questi gravi errori che diedero agli Ebrei un tale potere su di lui. Quando volevano influenzare le sue decisioni, essi non dovevano che minacciare una rivolta, e Pilato capitolava rapidamente. Questa evidente incertezza, o mancanza di coraggio morale, del procuratore era principalmente dovuta al ricordo di un certo numero di controversie che egli aveva avuto con gli Ebrei e al fatto che ogni volta essi avevano avuto la meglio. Gli Ebrei sapevano che Pilato aveva paura di loro, che temeva per la sua posizione di fronte a Tiberio, ed essi utilizzarono questa conoscenza con grande svantaggio del governatore in numerose occasioni.
Lo sfavore di Pilato presso gli Ebrei era il risultato di numerosi incontri sfortunati. In primo luogo egli non aveva preso sul serio il loro pregiudizio profondamente radicato contro le immagini quali simboli di adorazione idolatra. Perciò egli permise ai suoi soldati di entrare in Gerusalemme senza togliere le effigi di Cesare dai loro stendardi, come i soldati romani erano soliti fare sotto il suo predecessore. Una numerosa delegazione di Ebrei fece visita a Pilato per cinque giorni, implorandolo di far rimuovere queste effigi dagli stendardi militari. Egli rifiutò seccamente di accogliere la loro richiesta e li minacciò di morte immediata. Essendo uno scettico, Pilato non comprendeva come degli uomini di forti sentimenti religiosi non esitassero a morire per le loro convinzioni religiose; e perciò rimase sgomento quando questi Ebrei si disposero davanti al suo palazzo in gesto di sfida, si prostrarono faccia a terra e gli fecero sapere che erano pronti a morire. Pilato comprese allora di aver fatto una minaccia che non era disposto a mettere in atto. Egli cedette, ordinò che le effigi fossero rimosse dagli stendardi dei suoi soldati a Gerusalemme, e si trovò da quel giorno sottomesso in larga misura ai capricci dei dirigenti ebrei, che avevano in tal modo scoperto la sua debolezza nel fare delle minacce che aveva paura di porre in esecuzione.
Pilato decise successivamente di riguadagnare questo prestigio perduto, e di conseguenza fece apporre gli stemmi dell’imperatore, quali erano comunemente impiegati per adorare Cesare, sulle mura del palazzo di Erode a Gerusalemme. Quando gli Ebrei protestarono, egli si mostrò inflessibile. Quando egli rifiutò di ascoltare le loro proteste, essi si appellarono prontamente a Roma, e l’imperatore ordinò altrettanto prontamente di rimuovere gli stemmi offensivi. Ed allora Pilato fu tenuto in ancora minor considerazione di prima.
Un’altra cosa che lo portò in grande sfavore agli occhi degli Ebrei fu che egli osò prelevare del denaro dal tesoro del tempio per pagare la costruzione del nuovo acquedotto per fornire più acqua ai milioni di visitatori di Gerusalemme nei periodi delle grandi feste religiose. Gli Ebrei ritenevano che soltanto il Sinedrio potesse disporre dei fondi del tempio, ed essi non avevano mai cessato d’inveire contro Pilato per questa decisione presuntuosa. La sua decisione provocò non meno di una ventina di sommosse e molti massacri. L’ultima di queste gravi insurrezioni provocò la strage di un numeroso gruppo di Galilei mentre erano in adorazione presso l’altare.
È significativo che, mentre questo capo romano esitante sacrificò Gesù alla sua paura degli Ebrei e alla salvaguardia della sua posizione personale, alla fine fu deposto a seguito dell’inutile massacro di Samaritani in connessione con le pretese di un falso Messia che condusse una folla sul Monte Garizim, dove egli affermava che erano sepolti dei vasi del tempio. Violenti tumulti scoppiarono quando egli non riuscì a rivelare il luogo in cui erano nascosti i vasi sacri, come aveva promesso. In seguito a questo episodio, il legato della Siria ordinò a Pilato di recarsi a Roma. Tiberio morì mentre Pilato era in viaggio per Roma, ed egli non fu riconfermato procuratore della Giudea. Pilato non si riprese mai completamente dall’incresciosa decisione di avere acconsentito alla crocifissione di Gesù. Non trovando favore agli occhi del nuovo imperatore, egli si ritirò nella provincia di Losanna, dove in seguito si suicidò.
Claudia Procula, la moglie di Pilato, aveva sentito parlare molto di Gesù dalla sua cameriera personale, che era una credente fenicia al Vangelo del Regno. Dopo la morte di Pilato, Claudia svolse un ruolo importante nella diffusione della buona novella.
E tutto ciò spiega gran parte di quello che avvenne in questo tragico venerdì mattina. È facile comprendere perché gli Ebrei si permisero di dare ordini a Pilato - di farlo alzare alle sei del mattino per giudicare Gesù - ed anche perché non esitarono a minacciare di accusarlo di tradimento davanti all’imperatore se avesse osato respingere le loro richieste di mettere a morte Gesù.
Un degno governatore romano che non fosse stato sfavorevolmente coinvolto verso i dirigenti Ebrei non avrebbe mai permesso a questi fanatici religiosi assetati di sangue di causare la morte di un uomo che lui stesso aveva dichiarato innocente delle loro false accuse e senza colpa. Roma fece un grande errore, un errore dalle conseguenze profonde negli affari terreni, quando mandò il mediocre Pilato a governare la Palestina. Tiberio avrebbe fatto meglio ad inviare agli Ebrei il migliore amministratore provinciale dell’impero.
Quando Gesù e i suoi accusatori furono riuniti davanti alla sala di giudizio di Pilato, il governatore romano uscì e, rivolgendosi alla compagnia riunita, chiese: “Quale accusa portate contro quest’uomo?” I Sadducei e i consiglieri che si erano incaricati di sbarazzarsi di Gesù avevano deciso di andare davanti a Pilato a chiedere conferma della sentenza di morte pronunciata contro Gesù senza portare delle accuse precise. Perciò il portavoce della corte del Sinedrio rispose a Pilato: “Se quest’uomo non fosse un malfattore non te l’avremmo consegnato.”
Quando Pilato notò che erano restii a formulare le loro accuse contro Gesù, sebbene sapesse che erano stati impegnati tutta la notte a deliberare sulla sua colpevolezza, rispose loro: “Poiché non siete d’accordo su delle accuse precise, perché non portate via quest’uomo e lo giudicate in conformità alle vostre leggi?”
Allora il cancelliere del tribunale del Sinedrio disse a Pilato: “Noi non abbiamo il diritto di mettere a morte un uomo, e questo perturbatore della nostra nazione è meritevole di morte per le cose che ha detto e fatto. Perciò siamo venuti davanti a te per la conferma di questa decisione.”
Venire davanti al governatore romano per cercare una scappatoia rivelò il malanimo e la stizza de Sinedrio verso Gesù, come pure la mancanza di rispetto per l’equità, l’onore e la dignità di Pilato. Quale sfrontatezza da parte di questi cittadini sottomessi comparire davanti al loro governatore provinciale per chiedere un decreto d’esecuzione contro un uomo prima di avergli assicurato un giudizio equo e senza presentare delle accuse precise di crimine contro di lui!
Pilato conosceva qualcosa dell’opera di Gesù tra gli Ebrei, e suppose che le accuse che potevano essere portate contro di lui concernessero infrazioni alle leggi ecclesiastiche ebree; cercò quindi di rinviare il caso al loro stesso tribunale. Inoltre, Pilato provò piacere a far confessare loro pubblicamente che erano impotenti a pronunciare ed eseguire la sentenza di morte anche contro un membro della loro stessa razza, che erano giunti a disprezzare con un odio profondo e carico d’invidia. Fu qualche ora addietro, poco prima di mezzanotte e dopo che ebbe autorizzato l’impiego dei soldati romani per arrestare segretamente Gesù, che Pilato aveva ricevuto ulteriori informazioni su Gesù e sul suo insegnamento da sua moglie, Claudia, che era parzialmente convertita al Giudaismo e che divenne più tardi totalmente credente nel Vangelo di Gesù.
Pilato avrebbe voluto rinviare questa udienza, ma vide che i dirigenti ebrei erano decisi a procedere con il caso. Egli sapeva che questa era non solo la mattina di preparazione alla Pasqua, ma che questo giorno, essendo venerdì, era anche il giorno di preparazione al sabato ebreo di riposo e di adorazione.
Pilato, essendo fortemente urtato dalla maniera irriverente con cui questi Ebrei l’avevano contattato, non era intenzionato ad accogliere le loro richieste di condannare Gesù a morte senza un giudizio. Perciò, dopo aver atteso alcuni istanti per consentire loro di presentare le loro accuse contro il prigioniero, si rivolse loro e disse: “Non condannerò a morte quest’uomo senza un giudizio; né consentirò che sia interrogato prima che abbiate presentato le vostre accuse contro di lui per iscritto.”
Quando il sommo sacerdote e gli altri udirono Pilato dire questo, fecero segno al cancelliere del tribunale, il quale consegnò a Pilato le accuse scritte contro Gesù. E queste accuse erano: “Noi troviamo nel tribunale del Sinedrio che quest’uomo è un malfattore ed un perturbatore della nostra nazione per il fatto che è colpevole di:
“1. Pervertire la nostra nazione ed incitare il nostro popolo alla ribellione.
“2. Vietare al popolo di pagare il tributo a Cesare.
“3. Qualificare se stesso re dei Giudei ed insegnare la fondazione di un nuovo regno.”
Gesù non era stato regolarmente giudicato né legalmente riconosciuto colpevole di alcuna di queste accuse. Egli non aveva nemmeno ascoltato queste accuse quando furono formulate per la prima volta, ma Pilato lo fece portare dal pretorio, dove si trovava sotto la custodia delle guardie, ed insisté che queste accuse fossero ripetute davanti a Gesù.
Quando Gesù udì queste accuse, sapeva bene che non era stato ascoltato su questi argomenti davanti al tribunale ebreo, e lo sapevano Giovanni Zebedeo ed i suoi accusatori, ma egli non replicò alle loro false accuse. Anche quando Pilato lo pregò di rispondere ai suoi accusatori, egli non aprì bocca. Pilato fu così stupito dall’ingiustizia dell’intero procedimento e così impressionato dal silenzio e dalla serena condotta di Gesù che decise di portare il prigioniero dentro all’aula e d’interrogarlo in privato.
Pilato aveva la mente confusa, in cuor suo era timoroso degli Ebrei e fortemente scosso nel suo spirito dallo spettacolo di Gesù che stava là maestosamente davanti ai suoi accusatori assetati di sangue, guardandoli non in silenzioso disprezzo, ma con un’espressione di sincera pietà e di addolorato affetto.
Pilato condusse Gesù e Giovanni Zebedeo in una stanza privata, lasciando le guardie fuori nella sala, ed invitato il prigioniero a sedersi, gli si sedette accanto e gli pose parecchie domande. Pilato cominciò il suo colloquio con Gesù assicurandolo che egli non credeva alla prima accusa contro di lui, cioè che fosse un pervertitore della nazione e che incitasse alla ribellione. Poi gli chiese: “Hai mai insegnato che si doveva rifiutare il tributo a Cesare?” Gesù, indicando Giovanni, disse: “Chiedi a lui o a qualsiasi altra persona che ha ascoltato il mio insegnamento.” Allora Pilato interrogò Giovanni su questa faccenda del tributo, e Giovanni testimoniò sull’insegnamento del suo Maestro e spiegò che Gesù e i suoi apostoli pagavano le imposte sia a Cesare che al tempio. Dopo che Pilato ebbe interrogato Giovanni, disse: “Non dire a nessuno che ho parlato con te.” E Giovanni non rivelò mai questo episodio.
Pilato si volse poi per interrogare ancora Gesù, dicendo: “Ed ora circa la terza accusa contro di te, sei tu il re dei Giudei?” Poiché c’era nella voce di Pilato un tono di domanda assolutamente sincero, Gesù sorrise al procuratore e disse: “Pilato, chiedi questo da te stesso o fai questa domanda per conto dei miei accusatori?” Al che, con tono di parziale indignazione, il governatore rispose: “Sono io un Ebreo? Il tuo stesso popolo e i capi dei sacerdoti ti hanno consegnato a me e mi hanno chiesto di condannarti a morte. Io contesto la validità delle loro accuse e sto solo tentando di scoprire per me stesso ciò che hai fatto. Dimmi, hai tu detto di essere il re dei Giudei ed hai cercato di fondare un nuovo regno?”
Allora Gesù disse a Pilato: “Non percepisci che il mio regno non è di questo mondo? Se il mio regno fosse di questo mondo, certamente i miei discepoli si sarebbero battuti perché io non fossi consegnato nelle mani degli Ebrei. La mia presenza qui davanti a te in questi ceppi è sufficiente a mostrare a tutti gli uomini che il mio regno è un dominio spirituale, la fraternità stessa degli uomini che, grazie alla fede e all’amore, sono divenuti figli di Dio. E questa salvezza è per i Gentili così come per gli Ebrei.”
“Allora tu sei un re dopotutto?” disse Pilato. E Gesù rispose: “Sì, io sono un re di questo genere, e il mio regno è la famiglia dei figli per fede di mio Padre che è nei cieli. Per questo proposito io sono nato in questo mondo, proprio per rivelare mio Padre a tutti gli uomini e testimoniare la verità di Dio. Ed anche ora ti dichiaro che chiunque ama la verità sente la mia voce.”
Allora Pilato disse, metà ironicamente e metà sinceramente: “Verità, che cos’è la verità - chi la conosce?”
Pilato non era in grado di penetrare le parole di Gesù, non era capace di comprendere la natura del suo regno spirituale, ma ora era certo che il prigioniero non aveva fatto nulla che meritasse la morte. Un solo sguardo a Gesù, faccia a faccia, fu sufficiente per convincere anche Pilato che quest’uomo mite e stanco, ma maestoso ed onesto, non era un turbolento e pericoloso rivoluzionario che aspirava a stabilirsi sul trono temporale d’Israele. Pilato pensò di aver compreso qualcosa di ciò che Gesù intendeva dire quando qualificò se stesso un re, perché conosceva gli insegnamenti degli Stoici, i quali proclamavano che “l’uomo saggio è un re”. Pilato fu pienamente convinto che, invece di essere un pericoloso fautore di sedizione, Gesù non era né più né meno che un visionario inoffensivo, un fanatico innocente.
Dopo aver interrogato il Maestro, Pilato ritornò dai capi dei sacerdoti e dagli accusatori di Gesù e disse: “Ho interrogato quest’uomo e non trovo nessuna colpa in lui. Io non penso che sia colpevole delle accuse che avete formulato contro di lui; penso che dovrebbe essere liberato.” E quando gli Ebrei udirono ciò, furono colti da grande furore, al punto da gridare sfrenatamente che Gesù doveva morire; e uno dei Sacerdoti del Sinedrio salì audacemente accanto a Pilato dicendo: “Quest’uomo agita il popolo, a cominciare dalla Galilea e continuando in tutta la Giudea. È un seminatore di disordine e un malfattore. Lo rimpiangerai a lungo se rimetterai quest’uomo perverso in libertà.”
Pilato era in grave difficoltà non sapendo che cosa fare di Gesù; perciò, quando li sentì dire che aveva cominciato la sua opera in Galilea, pensò di sfuggire alla responsabilità di decidere il caso, o quantomeno di guadagnare tempo per riflettere, mandando Gesù a comparire davanti ad Erode, che si trovava allora nella città per assistere alla Pasqua. Pilato pensò anche che questo gesto sarebbe servito da antidoto all’aspro sentimento che era esistito per qualche tempo tra lui ed Erode a seguito di numerosi malintesi su questioni di giurisdizione.
Pilato, chiamate le guardie, disse: “Quest’uomo è un Galileo. Conducetelo immediatamente da Erode, e quando egli l’avrà interrogato, riferitemi le sue conclusioni.” Ed essi condussero Gesù da Erode.
Quando Erode Antipa si fermava a Gerusalemme, abitava nell’antico palazzo maccabeo di Erode il Grande, e fu in questa casa dell’antico re che Gesù fu ora condotto dalle guardie del tempio, e fu seguito dai suoi accusatori e da una folla sempre crescente. Erode aveva sentito parlare da lungo tempo di Gesù ed era molto curioso di conoscerlo. Quando il Figlio dell’Uomo fu davanti a lui questo venerdì mattina, il perfido Idumeo non si ricordò nemmeno per un istante del ragazzo di un tempo che era comparso davanti a lui a Sefforis chiedendo una giusta decisione circa il denaro dovuto a suo padre, che era rimasto ucciso accidentalmente mentre lavorava ad uno degli edifici pubblici. Per quanto ne sapeva Erode, non aveva mai visto Gesù, sebbene avesse avuto molte preoccupazioni a causa sua quando l’attività del Maestro era stata concentrata in Galilea. Ora che egli era in custodia di Pilato e dei Giudei, Erode era desideroso di vederlo, sentendosi sicuro contro qualsiasi disordine dovuto a lui in futuro. Erode aveva sentito parlare molto dei miracoli operati da Gesù e sperava realmente di vederlo compiere qualche prodigio.
Quando condussero Gesù davanti ad Erode, il tetrarca fu colpito dal suo portamento solenne e dalla serena compostezza del suo volto. Per una quindicina di minuti Erode pose delle domande a Gesù, ma il Maestro non volle rispondere. Erode lo derise e lo sfidò a compiere un miracolo, ma Gesù non volle replicare alle sue numerose domande né rispondere ai suoi sarcasmi.
Allora Erode si rivolse ai capi dei sacerdoti e ai Sadducei e, prestando orecchio alle loro accuse, ascoltò tutto ciò che era stato detto a Pilato, e ancora di più, sui pretesi misfatti del Figlio dell’Uomo. Alla fine, convinto che Gesù non avrebbe né parlato né compiuto un prodigio per lui, Erode, dopo essersi beffato di lui per qualche tempo, lo rivestì di una vecchia veste regale di porpora e lo rimandò da Pilato. Erode sapeva di non avere alcuna giurisdizione su Gesù in Giudea. Sebbene fosse felice di credere che stava finalmente per essere liberato da Gesù in Galilea, egli era contento che fosse Pilato ad avere la responsabilità di metterlo a morte. Erode non si era mai pienamente ripreso dalla paura che lo perseguitava come una maledizione per avere fatto uccidere Giovanni il Battista. In certi momenti Erode aveva anche temuto che Gesù fosse Giovanni risuscitato dalla morte. Ora egli era liberato da quella paura perché notò che Gesù era un tipo di persona molto differente dallo schietto e focoso profeta che aveva osato svelare e denunciare la sua vita privata.
Quando le guardie ebbero ricondotto Gesù da Pilato, questi uscì sui gradini del pretorio, dove era stato posto il suo seggio di giudizio, e riuniti i capi dei sacerdoti e i Sacerdoti del Sinedrio disse loro: “Avete condotto quest’uomo davanti a me con l’accusa di pervertire il popolo, d’impedire il pagamento delle imposte e di proclamarsi re dei Giudei. Io l’ho interrogato e non l’ho trovato colpevole di tali accuse. In effetti, non trovo alcuna colpa in lui. Allora l’ho mandato da Erode, e il tetrarca deve essere giunto alla stessa conclusione, poiché ce l’ha rimandato. Certamente niente che meriti la morte è stato commesso da quest’uomo. Se voi pensate ancora che egli debba essere disciplinato, sono disposto a punirlo prima di rilasciarlo.”
Proprio nel momento in cui gli Ebrei stavano iniziando a gridare le loro proteste contro il rilascio di Gesù, una grande folla venne verso il pretorio per chiedere a Pilato di liberare un prigioniero in onore della festa di Pasqua. Da qualche tempo era divenuto costume dei governatori romani di concedere alla popolazione di scegliere un prigioniero o un condannato per essere amnistiato nel periodo della Pasqua. Ed ora che questa folla era venuta davanti a lui a chiedere il rilascio di un prigioniero, e poiché Gesù era stato così recentemente in grande favore presso le moltitudini, venne in mente a Pilato che poteva forse trarsi fuori dalla difficile situazione proponendo a questo gruppo di rilasciare loro quest’uomo di Galilea come segno di buona volontà in occasione della Pasqua, visto che Gesù era attualmente detenuto davanti al suo seggio di giudizio.
Mentre la folla si ammassava sui gradini del palazzo, Pilato li sentì gridare il nome di un certo Barabba. Barabba era un noto agitatore politico e un ladro assassino, figlio di un sacerdote, che era stato recentemente arrestato in flagrante delitto di rapina e di omicidio sulla strada di Gerico. Quest’uomo era stato condannato a morire appena fossero passate le festività della Pasqua.
Pilato si alzò in piedi e spiegò alla folla che Gesù gli era stato portato dai capi dei sacerdoti, i quali chiedevano che fosse messo a morte sulla base di certe accuse, e che egli non riteneva che l’uomo fosse meritevole di morte. Pilato disse: “Chi, dunque, preferireste che io vi rilasciassi, questo Barabba, l’assassino, o questo Gesù di Galilea?” E quando Pilato ebbe parlato così, i capi dei sacerdoti e i consiglieri del Sinedrio gridarono insieme con tutta la loro voce: “Barabba, Barabba!” E quando il popolo vide che i capi dei sacerdoti volevano che Gesù fosse messo a morte, si unì subito alla richiesta della sua esecuzione mentre chiedeva a gran voce il rilascio di Barabba.
Pochi giorni prima questa moltitudine aveva soggezione di Gesù, ma la plebaglia non aveva più considerazione per uno che, dopo aver affermato di essere il Figlio di Dio, si trovava ora prigioniero dei capi dei sacerdoti e dei dirigenti, e tradotto in giudizio davanti a Pilato in pericolo di morte. Gesù poteva essere un eroe agli occhi della popolazione quando stava cacciando dal tempio i cambiavalute e i mercanti, ma non quando era un prigioniero inerme nelle mani dei suoi nemici ed in giudizio per la sua vita.
Pilato andò in collera vedendo che i capi dei sacerdoti chiedevano ad alta voce il perdono di un noto assassino mentre urlavano per ottenere il sangue di Gesù. Egli vide la loro malizia e il loro odio e percepì il loro pregiudizio e la loro invidia. Perciò disse loro: “Come potete scegliere la vita di un assassino rispetto a quella di quest’uomo, il cui peggior crimine consiste nel qualificarsi simbolicamente re dei Giudei?” Ma questa non fu un’affermazione saggia da parte di Pilato. I Giudei erano un popolo fiero, allora sottomesso al giogo politico romano, ma fiducioso nella venuta di un Messia che li avrebbe liberati dalla schiavitù dei Gentili con un grande spiegamento di potenza e di gloria. Essi si risentirono più di quanto Pilato potesse immaginare per l’affermazione che questo insegnante di strane dottrine, dal comportamento mite, ora in arresto ed incolpato di crimini meritevoli di morte, fosse definito “il re dei Giudei”. Essi presero questa osservazione come un insulto verso tutto ciò che consideravano sacro ed onorevole nella loro esistenza nazionale, e perciò si lasciarono andare tutti a grandi clamori per il rilascio di Barabba e la morte di Gesù.
Pilato sapeva che Gesù era innocente delle accuse portate contro di lui, e se fosse stato un giudice giusto e coraggioso, l’avrebbe assolto e rilasciato. Ma egli aveva paura di sfidare questi Giudei irritati, e mentre esitava a fare il proprio dovere, arrivò un messaggero e gli consegnò un messaggio sigillato di sua moglie, Claudia.
Pilato indicò a coloro che erano riuniti davanti a lui che desiderava leggere la comunicazione che aveva appena ricevuto prima di proseguire l’esame della questione in corso. Quando Pilato aprì questa lettera inviata da sua moglie, lesse: “Ti supplico di non avere niente a che fare con quest’uomo innocente e giusto che chiamano Gesù. Ho molto sofferto in un sogno questa notte a causa sua.” Questa nota di Claudia non solo turbò grandemente Pilato e ritardò così la definizione della questione, ma sfortunatamente fornì anche ai dirigenti ebrei un tempo considerevole per circolare liberamente tra la folla ed incitare il popolo a chiedere il rilascio di Barabba e a reclamare a gran voce la crocifissione di Gesù.
Infine Pilato tornò ad occuparsi della soluzione del problema che gli stava davanti, chiedendo all’assemblea mista di dirigenti ebrei e di persone che chiedevano un’amnistia: “Che cosa farò di colui che è chiamato il re dei Giudei?” Essi gridarono tutti all’unisono: “Crocifiggilo! Crocifiggilo!” L’unanimità di questa richiesta da parte della moltitudine eterogenea spaventò ed allarmò Pilato, giudice ingiusto e dominato dalla paura.
Allora Pilato disse ancora una volta: “Perché vorreste crocifiggere quest’uomo? Che male ha fatto? Chi verrà a testimoniare contro di lui?” Ma quando sentirono Pilato parlare in difesa di Gesù, essi si limitarono a gridare di nuovo: “Crocifiggilo! Crocifiggilo!”
Allora Pilato fece di nuovo appello a loro circa il rilascio del prigioniero per la Pasqua, dicendo: “Vi chiedo ancora una volta, quale di questi prigionieri vi rilascerò per questo vostro periodo di Pasqua?” E di nuovo la folla gridò: “Dacci Barabba!”
Allora Pilato disse: “Se rilascio l’assassino Barabba, che cosa farò di Gesù?” E ancora una volta la moltitudine gridò all’unisono: “Crocifiggilo! Crocifiggilo!”
Pilato fu terrorizzato dal clamore insistente della plebaglia, che agiva sotto la guida diretta dei capi dei sacerdoti e dei consiglieri del Sinedrio; ciononostante, egli decise di fare almeno un ulteriore tentativo di calmare la folla e di salvare Gesù.
A tutto ciò che sta avvenendo questo venerdì mattina presto davanti a Pilato stanno partecipando solo gli avversari di Gesù. I suoi numerosi amici o non sanno ancora del suo arresto notturno e del suo giudizio nelle prime ore del mattino, o si nascondono per paura di essere anch’essi presi e condannati a morte perché credenti agli insegnamenti di Gesù. Tra la moltitudine che grida ora per la morte del Maestro si trovano soltanto suoi nemici giurati e la popolazione sconsiderata e facile da manovrare.
Pilato volle fare un ultimo appello alla loro pietà. Avendo paura di sfidare il clamore di questa plebaglia sviata che reclamava il sangue di Gesù, egli ordinò alle guardie ebree e ai soldati romani di prendere Gesù e di flagellarlo. Questa era in se stessa una procedura ingiusta e illegale, perché la legge romana prevedeva che solo i condannati a morte mediante crocifissione fossero assoggettati così alla flagellazione. Le guardie condussero Gesù nel cortile aperto del pretorio per questo supplizio. Anche se i suoi nemici non assisterono a questa flagellazione, vi assisté Pilato, e prima che avessero portato a termine questo flagrante abuso, egli ordinò ai flagellatori di fermarsi e fece segno che Gesù fosse condotto da lui. Prima che i flagellatori calassero i loro nodosi scudisci su Gesù, dopo che fu legato al palo della flagellazione, essi lo rivestirono con la veste di porpora, e intrecciata una corona di spine gliela posero sulla fronte. E dopo avergli messo una canna nella mano come finto scettro, s’inginocchiarono davanti a lui e lo beffeggiarono dicendo: “Salve, re dei Giudei!” E sputarono su di lui e lo colpirono in viso con le mani. E uno di loro, prima di ricondurlo da Pilato, gli prese la canna dalla mano e lo colpì sulla testa.
Poi Pilato condusse fuori questo prigioniero sanguinante e lacero, e presentandolo alla folla variopinta disse: “Ecco l’uomo! Di nuovo io vi dichiaro che non trovo alcuna colpa in lui, e dopo averlo flagellato vorrei rilasciarlo.”
Gesù di Nazaret stava là, vestito di una vecchia veste regale purpurea, con una corona di spine che trafiggeva la sua fronte serena. Il suo viso era macchiato di sangue e il suo corpo piegato dalla sofferenza e dall’angoscia. Ma niente può smuovere il cuore insensibile di coloro che sono vittime di un intenso odio emotivo e schiavi di pregiudizi religiosi. Questo spettacolo trasmise un profondo fremito d’orrore nei regni di un vasto Universo, ma non toccò il cuore di coloro che avevano deciso nella loro mente di distruggere Gesù.
Dopo che si furono ripresi dallo shock iniziale alla vista della condizione del Maestro, essi ripresero a gridare più forte e più a lungo: “Crocifiggilo! Crocifiggilo! Crocifiggilo!”
Ed ora Pilato comprese che era futile appellarsi ai loro ipotetici sentimenti di pietà. Egli si fece avanti e disse: “Percepisco che siete determinati che quest’uomo debba morire, ma che cosa ha fatto per meritare la morte? Chi vuole dichiarare il suo crimine?”
Allora il sommo sacerdote stesso si fece avanti e, salito da Pilato, dichiarò con irritazione: “Noi abbiamo una legge sacra, e secondo tale legge quest’uomo dovrebbe morire perché ha lui stesso proclamato di essere il Figlio di Dio.” Quando Pilato udì ciò, ebbe ancora più paura, non solo degli Ebrei, ma ricordando il messaggio di sua moglie e la mitologia greca degli dei che scendono sulla terra, egli tremava ora al pensiero che Gesù potesse essere un personaggio divino. Egli fece un cenno con la mano alla folla per farla tacere, mentre prese Gesù per il braccio e lo ricondusse all’interno dell’edificio per poterlo interrogare ancora. Pilato era ora confuso dalla paura, sconcertato dalla superstizione e turbato dall’ostinato atteggiamento della plebaglia.
Mentre Pilato, tremante di paura e d’emozione, si sedeva accanto a Gesù, chiese: “Da dove vieni? Chi sei realmente? Com’è che dicono che sei il Figlio di Dio?”
Ma Gesù non poteva rispondere a queste domande poste da un giudice timoroso degli uomini, debole e titubante, che era stato così ingiusto da farlo fustigare anche dopo averlo dichiarato innocente di ogni delitto e prima di essere stato debitamente condannato a morte. Gesù guardò Pilato diritto negli occhi, ma non gli rispose. Allora Pilato disse: “Rifiuti di parlarmi? Non comprendi che ho ancora il potere di rilasciarti o di crocifiggerti?” Allora Gesù disse: “Tu non avresti alcun potere su di me se ciò non fosse permesso dall’alto. Tu non potresti esercitare alcuna autorità sul Figlio dell’Uomo se il Padre che è nei cieli non lo permettesse. Ma tu non sei così colpevole, poiché ignori il Vangelo. Colui che mi ha tradito e colui che mi ha consegnato a te, essi hanno commesso il peccato più grande.”
Quest’ultimo colloquio con Gesù terrorizzò del tutto Pilato. Questo codardo morale e giudice debole penava ora sotto il duplice fardello del timore superstizioso di Gesù e della paura mortale dei dirigenti ebrei.
Pilato comparve di nuovo davanti alla folla dicendo: “Io sono certo che quest’uomo è soltanto un trasgressore religioso. Dovreste prenderlo e giudicarlo secondo la vostra legge. Perché vi aspettate che io acconsenta alla sua morte per il fatto che è entrato in conflitto con le vostre tradizioni?”
Pilato era sul punto di liberare Gesù quando Caifa, il sommo sacerdote, si avvicinò al codardo giudice romano e, agitando un dito vendicatore in faccia a Pilato, disse con parole di collera che tutta la moltitudine poté udire: “Se rilasci quest’uomo non sei amico di Cesare, e vedrò che l’imperatore sappia tutto.” Questa minaccia pubblica fu troppo per Pilato. Il timore per la sua posizione personale eclissò ora ogni altra considerazione, e il codardo governatore ordinò che Gesù fosse portato davanti al seggio del giudizio. Mentre il Maestro stava là davanti a loro, egli lo indicò col dito e disse sarcasticamente: “Ecco il vostro re.” E gli Ebrei risposero: “Portalo via. Crocifiggilo!” Ed allora Pilato disse con molta ironia e sarcasmo: “Crocifiggerò il vostro re?” E gli Ebrei risposero: “Sì, crocifiggilo! Non abbiamo altro re che Cesare.” Ed allora Pilato si rese conto che non c’era alcuna speranza di salvare Gesù, poiché non era disposto a sfidare gli Ebrei.
Il Figlio di Dio incarnato come Figlio dell’Uomo stava là. Era stato arrestato senza colpa; accusato senza prove; giudicato senza testimoni; punito senza un verdetto; ed ora stava per essere condannato a morte da un giudice ingiusto che confessava di non riuscire a trovare alcuna colpa in lui. Se Pilato aveva pensato di appellarsi al loro patriottismo chiamando Gesù “re dei Giudei”, aveva completamente sbagliato. Gli Ebrei non stavano aspettando un tale re. La dichiarazione dei capi dei sacerdoti e dei Sadducei “non abbiamo altro re che Cesare” fu uno shock anche per la popolazione ignorante, ma oramai era troppo tardi per salvare Gesù anche se il popolino avesse osato sposare la causa del Maestro.
Pilato temeva un tumulto o una rivolta. Egli non osò rischiare di avere tali disordini durante il periodo della Pasqua a Gerusalemme. Aveva ricevuto recentemente un rimprovero da Cesare e non voleva rischiarne un altro. Il popolino applaudì quando egli ordinò il rilascio di Barabba. Poi egli fece portare una bacinella e dell’acqua, e là davanti alla moltitudine si lavò le mani dicendo: “Io sono innocente del sangue di quest’uomo. Voi siete determinati a che egli muoia, ma io non ho trovato alcuna colpa in lui. Occupatevene voi. I soldati lo condurranno via.” Ed allora il popolino applaudì e rispose: “Che il suo sangue ricada su di noi e sui nostri figli.”
QUANDO Gesù e i suoi accusatori partirono per andare da Erode, il Maestro si rivolse all’apostolo Giovanni e gli disse: “Giovanni, non puoi fare più nulla per me. Va da mia madre e conducila a vedermi prima che io muoia.” Quando Giovanni sentì la richiesta del suo Maestro, sebbene fosse riluttante a lasciarlo da solo tra i suoi nemici, si avviò in fretta verso Betania, dove tutta la famiglia di Gesù era riunita in attesa a casa di Marta e Maria, le sorelle di Lazzaro che Gesù aveva risuscitato dalla morte.
Parecchie volte durante la mattinata dei messaggeri avevano portato a Marta e Maria notizie sugli sviluppi del processo a Gesù. Ma la famiglia di Gesù era giunta a Betania solo pochi minuti prima che arrivasse Giovanni portando la richiesta di Gesù di vedere sua madre prima di essere messo a morte. Dopo che Giovanni Zebedeo ebbe raccontato loro tutto ciò che era successo dopo l’arresto di Gesù a mezzanotte, Maria sua madre partì subito in compagnia di Giovanni per vedere suo figlio primogenito. Nel momento in cui Maria e Giovanni raggiunsero la città, Gesù, accompagnato dai soldati romani che dovevano crocifiggerlo, era già arrivato al Golgota.
Quando Maria, madre di Gesù, partì con Giovanni per andare da suo figlio, la sorella Rut rifiutò di restare indietro con il resto della famiglia. Poiché essa era decisa ad accompagnare sua madre, suo fratello Giuda partì con lei. Il resto della famiglia del Maestro rimase a Betania sotto la direzione di Giacomo, e quasi ogni ora i messaggeri di Davide Zebedeo portavano loro notizie concernenti lo svolgimento di quella terribile vicenda, la messa a morte del loro fratello maggiore, Gesù di Nazaret.
Erano circa le otto e mezzo di questo venerdì mattina quando l’udienza di Gesù davanti a Pilato fu terminata e il Maestro fu consegnato ai soldati romani che dovevano crocifiggerlo. Appena i Romani presero possesso di Gesù, il capitano delle guardie ebree ritornò con i suoi uomini al loro quartier generale al tempio. Il sommo sacerdote ed i suoi collaboratori Sacerdoti del Sinedrio seguirono da vicino le guardie, andando direttamente al loro usuale luogo di riunione nella sala di pietra tagliata del tempio. Qui essi trovarono numerosi altri membri del Sinedrio che aspettavano di sapere che cosa era stato fatto di Gesù. Mentre Caifa si apprestava a fare il suo rapporto al Sinedrio sul giudizio e la condanna di Gesù, Giuda comparve davanti a loro reclamando la sua ricompensa per il ruolo che aveva svolto nell’arresto e nella condanna a morte del suo Maestro.
Tutti questi Ebrei detestavano Giuda; essi avevano per il traditore solo sentimenti di totale disprezzo. Per tutto il giudizio di Gesù davanti a Caifa e durante la sua comparizione davanti a Pilato, Giuda provò rimorso nella sua coscienza per la sua condotta di traditore. Ed egli cominciava ad essere anche un po’ disilluso circa la ricompensa che avrebbe ricevuto come pagamento dei suoi servizi per aver tradito Gesù. Egli non amava la freddezza e il distacco delle autorità ebraiche; ciò nonostante, si aspettava di essere largamente ricompensato per la sua vile condotta. Egli si aspettava di essere chiamato davanti a tutto il Sinedrio per ascoltare il proprio elogio mentre gli conferivano degli onori appropriati quale compenso del grande servizio che si compiaceva di aver reso alla sua nazione. Immaginate quindi la grande sorpresa di questo traditore egoista quando un servo del sommo sacerdote, battendogli sulla spalla, lo chiamò fuori dalla sala e gli disse: “Giuda, sono stato incaricato di pagarti per il tradimento di Gesù. Ecco la tua ricompensa.” Così dicendo il servo di Caifa consegnò a Giuda una borsa contenente trenta pezzi d’argento - il prezzo corrente di un buon schiavo valido.
Giuda rimase stordito, muto di stupore. Egli si precipitò per rientrare nella sala, ma ne fu impedito dal guardiano della porta. Egli voleva appellarsi al Sinedrio, ma essi rifiutarono di riceverlo. Giuda non poteva credere che questi dirigenti degli Ebrei gli avessero permesso di tradire i suoi amici e il suo Maestro per offrirgli poi come ricompensa trenta pezzi d’argento. Egli era umiliato, disilluso e completamente distrutto. Si allontanò dal tempio, per così dire, in trance. Fece cadere come un automa la borsa del denaro nella sua tasca profonda, la stessa tasca in cui aveva portato così a lungo la borsa contenente i fondi apostolici. Ed errò per la città seguendo la folla che stava andando ad assistere alle crocifissioni.
Da lontano Giuda vide che rizzavano la croce su cui era inchiodato Gesù, e a questa vista egli ritornò precipitosamente al tempio, superò di forza il guardiano della porta e si trovò in presenza del Sinedrio, che era ancora in sessione. Il traditore era quasi senza fiato e profondamente sconvolto, ma riuscì a balbettare queste parole: “Io ho peccato per aver tradito del sangue innocente. Voi mi avete insultato. Mi avete offerto come ricompensa per il mio servizio del denaro - il prezzo di uno schiavo. Io mi pento di avere fatto questo; ecco il vostro denaro. Voglio sottrarmi alla colpa di questo atto.”
Dopo che i dirigenti ebrei ebbero ascoltato Giuda, si fecero beffe di lui. Uno di loro seduto accanto a dove stava Giuda lo invitò a lasciare la sala e disse: “Il tuo Maestro è già stato messo a morte dai Romani, e quanto alla tua colpa, che cosa ce ne importa? Arrangiati - e vattene!”
Lasciando la sala del Sinedrio, Giuda tolse i trenta pezzi d’argento dalla borsa e li gettò sul pavimento del tempio. Quando il traditore lasciò il tempio era quasi fuori di sé. Giuda stava ora passando per l’esperienza della realizzazione della vera natura del peccato. L’attrattiva, il fascino e l’ebbrezza della cattiva azione erano tutti svaniti. Ora il malfattore era solo, faccia a faccia con il verdetto del giudizio della sua anima disincantata e delusa. Il peccato era stato ammaliante ed avventuroso nel commetterlo, ma ora egli doveva affrontare la messe dei fatti nudi e crudi e privi di romanticismo.
Questo, un tempo ambasciatore del regno dei cieli sulla terra, errava ora per le strade di Gerusalemme solo e abbandonato. La sua disperazione era enorme e quasi assoluta. Egli proseguì attraverso la città e uscì dalle mura, fino al terribile luogo solitario della valle di Hinnom, dove salì su delle rocce scoscese e, presa la cintura della sua veste, ne fissò un’estremità ad un piccolo albero, annodò l’altra attorno al suo collo, e si gettò nel precipizio. Prima che fosse morto, il nodo che avevano fatto le sue mani nervose si sciolse, e il corpo del traditore si sfracellò cadendo sulle sottostanti rocce appuntite.
Quando Gesù fu arrestato, sapeva che la sua opera sulla terra nelle sembianze della carne mortale era terminata. Egli comprendeva pienamente il genere di morte di cui sarebbe morto, e non si preoccupò affatto dei dettagli dei suoi cosiddetti giudizi.
Davanti al tribunale del Sinedrio, Gesù rifiutò di rispondere alle testimonianze di testimoni spergiuri. Ci fu una sola domanda che provocò sempre una risposta, fosse essa posta da amici o da nemici, e fu quella concernente la natura e la divinità della sua missione sulla terra. Quando gli chiesero se era il Figlio di Dio, egli rispose immancabilmente. Egli rifiutò fermamente di parlare in presenza del curioso ed iniquo Erode. Davanti a Pilato parlò soltanto quando pensò che Pilato o qualche altra persona sincera potevano essere aiutati a conoscere meglio la verità da ciò che diceva. Gesù aveva insegnato ai suoi apostoli l’inutilità di gettare le loro perle ai porci, ed egli ora osava praticare ciò che aveva insegnato. La sua condotta in questo momento esemplificava la paziente sottomissione della natura umana, unita al maestoso silenzio e alla solenne dignità della natura divina. Egli era del tutto disposto a discutere con Pilato qualsiasi questione concernente le accuse politiche portate contro di lui - qualsiasi questione che egli riconosceva come pertinente alla giurisdizione del governatore.
Gesù era convinto che fosse volontà del Padre che egli si sottomettesse al corso naturale e ordinario degli eventi umani, proprio come deve fare ogni altra creatura mortale, e perciò rifiutò d’impiegare anche i suoi poteri puramente umani di eloquenza persuasiva per influenzare l’esito delle macchinazioni dei suoi simili mortali socialmente miopi e spiritualmente ciechi. Sebbene Gesù sia vissuto e morto sulla Terra, tutto il suo percorso umano, dall’inizio alla fine, fu uno spettacolo destinato ad influenzare e ad istruire l’intero Universo che aveva creato ed incessantemente sostenuto.
Questi Ebrei miopi urlavano scompostamente per chiedere la morte del Maestro, mentre egli stava là in terribile silenzio osservando la scena della morte di una nazione - dello stesso popolo di suo padre terreno.
Gesù aveva acquisito quel tipo di carattere umano che può conservare la sua padronanza ed affermare la sua dignità di fronte ad insulti continuati e gratuiti. Egli non poteva essere intimidito. Quando fu assalito la prima volta dal servo di Anna, egli aveva soltanto suggerito l’opportunità di chiamare dei testimoni che potessero testimoniare debitamente contro di lui.
Dall’inizio alla fine del suo cosiddetto giudizio davanti a Pilato, le schiere celesti in osservazione non poterono trattenersi dal diffondere all’Universo la descrizione della scena di “Pilato in giudizio davanti a Gesù”.
Davanti a Caifa, e dopo che ogni testimonianza spergiura era crollata, Gesù non esitò a rispondere alla domanda del sommo sacerdote, fornendo così con la sua stessa testimonianza ciò che essi desideravano come base per giudicarlo colpevole di bestemmia.
Il Maestro non manifestò mai il minimo interesse per gli sforzi ben intenzionati ma tiepidi di Pilato per giungere al suo rilascio. Egli aveva realmente pietà di Pilato e si sforzò sinceramente d’illuminare la sua mente ottenebrata. Egli rimase totalmente passivo a tutti gli appelli del governatore romano agli Ebrei perché ritirassero le loro accuse criminali contro di lui. Durante l’intera triste prova egli si comportò con una dignità semplice ed una maestà senza ostentazione. Egli non volle nemmeno fare delle insinuazioni sull’insincerità di coloro che volevano assassinarlo quando gli chiesero se era “re dei Giudei”. Con un minimo adeguato chiarimento egli accettò la designazione, sapendo che, avendo essi scelto di respingerlo, egli sarebbe stato l’ultimo ad offrire loro una reale guida nazionale, anche in senso spirituale.
Gesù parlò poco durante questi processi, ma disse abbastanza per mostrare a tutti i mortali il genere di carattere umano che l’uomo può perfezionare in associazione con Dio, e per rivelare a tutto l’Universo il modo in cui Dio può divenire manifesto nella vita della creatura quando tale creatura sceglie veramente di fare la volontà del Padre, divenendo così un figlio attivo del Dio vivente.
Il suo amore per i mortali ignoranti è pienamente rivelato dalla sua pazienza e dalla sua grande padronanza di sé di fronte agli scherni, alle percosse e agli schiaffi dei rozzi soldati e dei servi sciocchi. Egli non si irritò nemmeno quando lo bendarono e, colpendolo con derisione in viso, esclamavano: “Profetizzaci chi ti ha colpito”.
Pilato era più vicino al vero di quanto pensasse quando, dopo aver fatto flagellare Gesù, lo presentò alla folla esclamando: “Ecco l’uomo!” In verità, il governatore romano dominato dalla paura non immaginava affatto che proprio in quel momento l’Universo fosse sul chi vive, contemplando questa scena unica del suo amato Sovrano assoggettato in modo così umiliante ai sarcasmi e alle percosse dei suoi sudditi mortali ottenebrati e degradati. E mentre Pilato parlava, riecheggiò in tutto l’Universo: “Ecco Dio e l’uomo!” In tutto l’Universo, innumerevoli milioni di creature hanno da quel giorno sempre continuato a contemplare quell’uomo, mentre il Dio Padre e Signore supremo dell’Universo degli universi, accetta l’uomo di Nazaret come esempio dell’ideale delle creature mortali di questo Universo locale del tempo e dello spazio. Nella sua vita incomparabile egli non mancò mai di rivelare Dio all’uomo. Ora, in questi episodi finali del suo percorso di mortale e nella sua morte successiva, egli fece una rivelazione nuova e commovente dell’uomo a Dio.
Poco dopo che Gesù era stato riconsegnato ai soldati romani a conclusione dell’udienza davanti a Pilato, un distaccamento delle guardie del tempio partì in fretta per Getsemani per disperdere o arrestare i discepoli del Maestro. Ma molto prima del loro arrivo questi discepoli si erano sparpagliati. Gli apostoli si erano ritirati in nascondigli prestabiliti; i Greci si erano separati ed erano andati in differenti case a Gerusalemme; gli altri discepoli erano pure spariti. Davide Zebedeo riteneva che gli avversari di Gesù sarebbero tornati, cosicché trasferì subito cinque o sei tende più in alto nella forra, vicino al luogo in cui il Maestro si era ritirato così spesso a pregare e adorare. Egli si proponeva di nascondersi qui e di mantenere allo stesso tempo un centro, o stazione di coordinamento, per il suo servizio di messaggeri. Davide aveva appena lasciato il campo quando giunsero le guardie del tempio. Non trovando nessuno sul posto, essi si accontentarono d’incendiare il campo e di ritornare poi in fretta al tempio. Ascoltando il loro rapporto, il Sinedrio fu rassicurato che i discepoli di Gesù erano così completamente spaventati e soggiogati che non vi sarebbe stato alcun pericolo di sommossa o possibile tentativo di liberare Gesù dalle mani dei suoi carnefici. Essi potevano finalmente respirare tranquilli, e così si separarono, andando ciascuno per la propria strada a prepararsi per la Pasqua.
Appena Gesù fu riconsegnato ai soldati romani da Pilato per essere crocifisso, un messaggero partì in fretta per Getsemani per informare Davide, e nello spazio di cinque minuti dei corrieri erano in viaggio per Betsaida, Pella, Filadelfia, Sidone, Sichem, Hebron, Damasco e Alessandria. E questi messaggeri portavano la notizia che Gesù stava per essere crocifisso dai Romani su insistente richiesta dei dirigenti degli Ebrei.
Per tutta questa tragica giornata, fino a quando partì l’ultimo messaggio che il Maestro era stato deposto nella tomba, Davide inviò circa ogni mezz’ora dei messaggeri con rapporti per gli apostoli, i Greci e la famiglia terrena di Gesù, riunita a casa di Lazzaro a Betania. Quando i messaggeri partirono con la notizia che Gesù era stato sepolto, Davide congedò il suo corpo di corrieri locali per la celebrazione della Pasqua e il riposo del sabato successivo, ordinando loro di presentarsi in modo discreto a lui la domenica mattina a casa di Nicodemo, dove si proponeva di andare a nascondersi per alcuni giorni con Andrea e Simon Pietro.
Questo Davide Zebedeo dalla mente particolare fu il solo tra i principali discepoli di Gesù che fu incline ad avere una visione chiara e precisa dell’affermazione del Maestro che sarebbe morto e “risuscitato il terzo giorno”. Davide l’aveva inteso una volta fare questa predizione, ed essendo di mente pratica, si proponeva ora di riunire i suoi messaggeri domenica mattina presto a casa di Nicodemo perché fossero pronti a diffondere la notizia nel caso Gesù fosse risuscitato dalla morte. Davide non tardò a scoprire che nessuno dei discepoli di Gesù si aspettava che tornasse così presto dalla tomba. Perciò egli parlò poco della sua credenza e non disse nulla sulla mobilitazione di tutto il suo gruppo di messaggeri per domenica mattina presto, salvo ai corrieri che erano stati mandati il venerdì mattina nelle città lontane e nei centri dei credenti.
E così questi discepoli di Gesù, sparsi in tutta Gerusalemme e nei suoi dintorni, quella notte condivisero la Pasqua e il giorno successivo rimasero nascosti.
Dopo che Pilato si fu lavato le mani davanti alla moltitudine, cercando così di sfuggire alla colpa di aver consegnato un innocente per essere crocifisso solo perché egli aveva paura di resistere al clamore dei dirigenti ebrei, ordinò che il Maestro fosse consegnato ai soldati romani e diede istruzioni al loro capitano che fosse crocifisso immediatamente. Dopo aver preso in consegna Gesù, i soldati lo ricondussero nel cortile del pretorio, e dopo avergli levato la veste che Erode gli aveva messo, lo vestirono con le sue vesti. Questi soldati si burlarono di lui e lo derisero, ma non gli inflissero altre punizioni fisiche. Gesù era ora solo con questi soldati romani. I suoi amici erano nascosti; i suoi nemici erano andati per la loro strada; anche Giovanni Zebedeo non era più al suo fianco.
Erano da poco passate le otto del mattino quando Pilato consegnò Gesù ai soldati, e poco meno delle nove quando essi partirono per la scena della crocifissione. Durante questo periodo di più di mezz’ora Gesù non disse una parola. Gabriele e tutti gli angeli erano riuniti qui sulla Terra per essere informati su ciò che stava accadendo al Figlio dell’Uomo sulla Terra.
Al momento in cui i soldati furono pronti a partire con Gesù per il Golgota, avevano cominciato ad essere impressionati dalla sua eccezionale compostezza e dalla sua straordinaria dignità, dal suo rassegnato silenzio.
Gran parte del ritardo nel condurre Gesù al luogo della crocifissione fu dovuto ad una decisione del capitano, presa all’ultimo momento, di condurre anche due ladri che erano stati condannati a morte; poiché Gesù doveva essere crocifisso quella mattina, il capitano romano pensò che questi due potevano anch’essi morire con lui piuttosto che attendere la fine delle festività pasquali. Appena i ladri poterono essere pronti, furono portati nel cortile, dove guardarono Gesù, uno di loro per la prima volta, ma l’altro l’aveva spesso sentito parlare sia nel tempio che molti mesi prima al campo di Pella.
Non c’è alcuna relazione diretta tra la morte di Gesù e la Pasqua ebraica. È vero, il Maestro sacrificò la sua vita nella carne in questo giorno, il giorno della preparazione alla Pasqua ebraica, e all’incirca nel momento in cui si sacrificavano gli agnelli pasquali nel tempio. Ma la coincidenza casuale di questi avvenimenti non indica in alcun modo che la morte del Figlio dell’Uomo sulla terra abbia una qualche connessione con il sistema sacrificale ebraico. Gesù era un Ebreo, ma come Figlio dell’Uomo era un mortale dei regni. Gli avvenimenti già narrati e sfocianti in quest’ora dell’imminente crocifissione del Maestro sono sufficienti ad indicare che la sua morte in questo periodo fu un evento puramente naturale e dovuto all’uomo.
Fu l’uomo e non Dio che progettò ed eseguì la morte di Gesù sulla croce. È vero, il Padre rifiutò d’interferire nello svolgersi degli eventi umani sulla Terra, ma il Padre del Paradiso non decretò, né pretese o richiese la morte di suo Figlio quale avvenne sulla terra.
È un fatto che in qualche modo, presto o tardi, Gesù avrebbe dovuto svestirsi del suo corpo mortale, della sua incarnazione nella carne, ma avrebbe potuto eseguire tale compito in innumerevoli modi senza morire su una croce tra due ladroni. Tutto ciò fu opera dell’uomo, non di Dio.
Al momento del suo battesimo il Maestro aveva già completato la tecnica dell’esperienza richiesta sulla terra e nella carne necessaria per completare il suo settimo ed ultimo conferimento nell’Universo. In questo stesso momento il compito di Gesù sulla terra era terminato. Tutta la vita che egli visse poi, ed anche il modo in cui morì, furono un ministero puramente personale da parte sua per il benessere e l’elevazione delle sue creature mortali su questo mondo e su altri mondi.
Il Vangelo della buona novella che l’uomo mortale può, per mezzo della fede, divenire spiritualmente cosciente di essere figlio di Dio, non dipende dalla morte di Gesù. È vero, tutto questo Vangelo del Regno è stato straordinariamente illuminato dalla morte del Maestro, ma lo è stato ancor più dalla sua vita.
Tutto ciò che il Figlio dell’Uomo disse o fece sulla terra abbellì grandemente le dottrine della filiazione con Dio e della fratellanza degli uomini, ma queste essenziali relazioni tra Dio e gli uomini sono insite nei fatti universali dell’amore di Dio per le sue creature e dell’innata misericordia dei Figli divini.
Il Padre che è nei cieli amava l’uomo mortale sulla Terra prima della vita e della morte di Gesù sulla Terra, tanto quanto dopo questa manifestazione trascendente della co-associazione di uomo e Dio.
Questa potente operazione dell’incarnazione di Dio come uomo sulla Terra non poteva accrescere gli attributi del Padre eterno, infinito ed universale, ma arricchì ed illuminò tutte le creature dell’Universo. Mentre il Padre che è nei cieli non ci ama maggiormente a causa di questo conferimento di Gesù, tutte le altre intelligenze celesti lo fanno.
E ciò in quanto Gesù non solo fece una rivelazione di Dio all’uomo, ma fece anche parimenti una nuova rivelazione dell’uomo a Dio e alle intelligenze celesti dell’Universo degli universi.
Gesù non sta per morire a titolo di sacrificio per il peccato. Non sta andando a fare ammenda della colpa morale innata della razza umana. L’umanità non ha una tale colpa razziale al cospetto di Dio.
La colpa è una mera questione di peccato personale e di ribellione cosciente e deliberata contro la volontà del Padre.
Il peccato e la ribellione non hanno niente a che fare con il fondamentale piano di conferimento del figlio di Dio sulla terra. La salvezza di Dio per i mortali sarebbe stata altrettanto efficace ed infallibilmente certa se Gesù non fosse stato messo a morte dalle crudeli mani di mortali ignoranti.
Se il Maestro fosse stato accolto favorevolmente dai mortali sulla Terra e fosse ripartito per abbandono volontario della sua vita nella carne, il fatto dell’amore di Dio e della misericordia del Figlio - il fatto della filiazione con Dio - non sarebbe stato intaccato in alcun modo.
Siamo figli di Dio, e solo una cosa è richiesta per rendere realizzabile tale verità nella vostra esperienza personale, ed è la fede nata dallo spirito.