LA SEDICESIMA manifestazione semi-spirituale di Gesù avvenne venerdì 5 maggio nel cortile di Nicodemo verso le nove di sera. Quella sera i credenti di Gerusalemme avevano fatto il loro primo tentativo di riunirsi dopo la risurrezione. In questo momento si trovavano qui riuniti gli undici apostoli, il corpo delle donne e le loro associate, ed una cinquantina di altri discepoli eminenti del Maestro, incluso un certo numero di Greci. Questo gruppo di credenti si era intrattenuto amichevolmente per più di mezz’ora quando, improvvisamente, apparve il Maestro semi-spirituale in piena vista e cominciò immediatamente ad istruirli. Gesù disse:
“La pace sia su di voi. Questo è il gruppo di credenti più rappresentativo - apostoli e discepoli, uomini e donne - al quale sono apparso dopo la mia liberazione dalla carne. Io vi chiamo ora a testimoniare che vi avevo detto in anticipo che il mio soggiorno tra voi doveva finire; vi ho detto che dovevo presto tornare dal Padre. E poi vi avevo detto chiaramente che i capi dei sacerdoti e i dirigenti degli Ebrei mi avrebbero consegnato per essere messo a morte, e che sarei risuscitato. Perché, allora, vi siete lasciati talmente turbare da tutte queste cose quando sono avvenute? E perché siete rimasti così sorpresi quando sono risuscitato il terzo giorno? Voi non mi avete creduto perché avete ascoltato le mie parole senza comprenderne il significato.
“Ed ora dovreste prestare ascolto alle mie parole per non commettere di nuovo l’errore di ascoltare il mio insegnamento con la mente mentre nel vostro cuore non ne comprendete il significato. Dall’inizio del mio soggiorno come uno di voi, vi ho insegnato che il mio unico proposito era di rivelare mio Padre che è nei cieli ai suoi figli sulla terra. Ho vissuto il conferimento di rivelare Dio affinché possiate fare l’esperienza dell’incarico di conoscere Dio. Ho rivelato Dio come vostro Padre che è nei cieli; ho rivelato voi come figli di Dio sulla terra. È un fatto che Dio ama voi, suoi figli. Per mezzo della fede nelle mie parole questo fatto diviene una verità eterna e vivente nel vostro cuore. Se per mezzo della fede vivente voi divenite divinamente coscienti di Dio, allora siete nati dallo spirito quali figli della luce e della vita, anche della vita eterna grazie alla quale ascenderete l’Universo degli universi e giungerete all’esperienza di trovare Dio il Padre in Paradiso.
“Io vi esorto a ricordarvi sempre che la vostra missione tra gli uomini è di proclamare il Vangelo del Regno - la realtà della paternità di Dio e la verità della filiazione dell’uomo. Proclamate tutta la verità della buona novella, non solo una parte del Vangelo salvifico. Il vostro messaggio non è cambiato dall’esperienza della mia risurrezione. La filiazione con Dio, per mezzo della fede, resta la verità salvifica del Vangelo del Regno. Voi andrete a predicare l’amore di Dio ed il servizio dell’uomo. Ciò che il mondo ha maggior bisogno di conoscere è che gli uomini sono i figli di Dio e che mediante la fede essi possono effettivamente realizzare questa verità nobilitante e farne l’esperienza quotidiana. Il mio conferimento dovrebbe aiutare tutti gli uomini a sapere che sono i figli di Dio, ma tale conoscenza non sarà sufficiente se essi non afferreranno personalmente per mezzo della fede la verità salvifica che sono i figli spirituali viventi del Padre eterno. Il Vangelo del Regno concerne l’amore del Padre ed il servizio dei suoi figli sulla terra.
“Qui, tra voi, vi partecipate la conoscenza che io sono risuscitato dalla morte, ma ciò non è strano. Io ho il potere di abbandonare la mia vita e di riprenderla; il Padre dona tale potere a suo Figlio. Io ho vissuto la mia vita nella carne per mostrarvi come voi potete, mediante il servizio amorevole, divenire rivelatori di Dio ai vostri simili proprio come, amandovi e servendovi, io sono divenuto un rivelatore di Dio a voi. Io ho vissuto tra di voi come Figlio dell’Uomo affinché voi, e tutti gli altri uomini, possiate sapere che siete tutti in verità i figli di Dio. Perciò, andate ora in tutto il mondo a predicare questo Vangelo del Regno dei cieli a tutti gli uomini. Amate tutti gli uomini come io ho amato voi; servite i vostri simili mortali come io ho servito voi. Voi avete ricevuto liberalmente, donate liberalmente. Restate qui a Gerusalemme soltanto mentre io vado dal Padre e fino a che vi manderò lo Spirito della Verità. Egli vi condurrà nella verità ampliata, ed io verrò con voi in tutto il mondo. Io sono con voi sempre, e lascio con voi la mia pace.”
Dopo che il Maestro ebbe parlato loro, scomparve dalla loro vista. Venne quasi l’alba prima che questi credenti si disperdessero; essi rimasero insieme tutta la notte, discutendo con calore gli avvertimenti del Maestro e meditando su tutto ciò che era accaduto loro. Giacomo Zebedeo ed altri apostoli raccontarono anche le loro esperienze con il Maestro semi-spirituale in Galilea ed esposero come egli era apparso loro tre volte.
Sabato 13 maggio, verso le quattro del pomeriggio, il Maestro apparve a Nalda e a circa settantacinque credenti samaritani vicino al pozzo di Giacobbe, a Sicar. I credenti avevano l’abitudine di riunirsi in questo luogo, vicino a dove Gesù aveva parlato a Nalda dell’acqua di vita. In questo giorno, appena essi avevano finito di discutere la notizia della risurrezione, Gesù apparve improvvisamente davanti a loro dicendo:
“La pace sia su di voi. Voi vi rallegrate di sapere che io sono la risurrezione e la vita, ma ciò non vi servirà a nulla se non siete prima nati dallo spirito eterno, che vi porterà a possedere, per mezzo della fede, il dono della vita eterna. Se voi siete i figli per fede di mio Padre non morirete mai; non perirete. Il Vangelo del Regno vi ha insegnato che tutti gli uomini sono figli di Dio. E questa buona novella concernente l’amore del Padre Celeste per i suoi figli terreni deve essere portata a tutto il mondo. È giunto il momento di non adorare Dio né sul Garizim né a Gerusalemme, ma dove siete, come siete, in spirito ed in verità. È la vostra fede che salva la vostra anima. La salvezza è il dono di Dio a tutti coloro che credono di essere figli suoi. Ma non ingannatevi; benché la salvezza sia il dono gratuito di Dio e sia effuso su tutti coloro che lo accettano per fede, ne segue l’esperienza di portare i frutti di questa vita spirituale qual è vissuta nella carne. L’accettazione della dottrina della paternità di Dio implica che voi accettiate apertamente anche la verità associata della fratellanza degli uomini. E se un uomo è vostro fratello, egli è ancora più che il vostro prossimo, che il Padre esige voi amiate come voi stessi. Il vostro fratello, essendo della vostra stessa famiglia, non lo amerete soltanto con affetto familiare, ma lo servirete anche come servireste voi stessi. E voi amerete e servirete così vostro fratello perché, essendo miei fratelli, siete stati amati e serviti così da me. Andate, dunque, in tutto il mondo a proclamare questa buona novella a tutte le creature di ogni razza, tribù e nazione. Il mio spirito vi precederà, ed io sarò sempre con voi.”
Questi Samaritani furono grandemente stupefatti da questa apparizione del Maestro, e partirono subito per le città ed i villaggi vicini, dove diffusero la notizia che avevano visto Gesù e che egli aveva parlato loro. E questa fu la diciassettesima apparizione semi-spirituale del Maestro.
La diciottesima apparizione in forma semi-spirituale del Maestro avvenne a Tiro, martedì 16 maggio, poco prima delle nove di sera. Egli apparve di nuovo al termine di una riunione di credenti, mentre essi stavano per separarsi, dicendo:
“La pace sia su di voi. Voi vi rallegrate di sapere che il Figlio dell’Uomo è risuscitato dalla morte perché sapete con ciò che anche voi e i vostri fratelli sopravvivrete alla morte mortale. Ma tale sopravvivenza dipende dal fatto che siate prima nati dallo spirito per cercare la verità e trovare Dio. Il pane della vita e l’acqua della vita sono dati soltanto a coloro che hanno fame di verità e sete di giustizia - di Dio. Il fatto che i morti risuscitino non è il Vangelo del Regno. Queste grandi verità e questi fatti universali sono tutti legati a questo Vangelo perché fanno parte del risultato di credere alla buona novella, e sono inclusi nell’esperienza successiva di coloro che, per mezzo della fede, divengono di fatto e in verità i figli perpetui del Dio eterno. Mio Padre mi ha mandato nel mondo a proclamare questa salvezza della filiazione a tutti gli uomini. E così io mando voi lontano a predicare questa salvezza della filiazione. La salvezza è il dono spontaneo di Dio, ma coloro che sono nati dallo spirito cominceranno immediatamente a mostrare i frutti dello spirito nel servizio amorevole verso i loro simili creature. Ed i frutti dello spirito divino che sono prodotti nella vita dei mortali nati dallo spirito e che conoscono Dio sono: servizio amorevole, devozione disinteressata, fedeltà coraggiosa, sincera equità, onestà illuminata, speranza eterna, fiducia senza sospetti, ministero di misericordia, bontà inesauribile, tolleranza comprensiva e pace duratura. Se dei credenti professati non portano questi frutti dello spirito divino nella loro vita, sono morti; lo Spirito della Verità non è in loro; essi sono dei tralci inutili della vite vivente e saranno presto tagliati. Mio Padre chiede ai figli della fede di portare molti frutti dello spirito. Se quindi voi non portate frutti, egli scaverà attorno alle vostre radici e taglierà i vostri tralci improduttivi. Voi dovete produrre sempre più i frutti dello spirito via via che progredite verso il cielo nel regno di Dio. Voi potete entrare nel regno come dei bambini, ma il Padre esige che cresciate, per mezzo della grazia, fino alla completa statura di adulti spirituali. E quando andrete lontano a proclamare a tutte le nazioni la buona novella di questo Vangelo, io vi precederò, ed il mio Spirito della Verità dimorerà nel vostro cuore. Lascio con voi la mia pace.”
E poi il Maestro scomparve dalla loro vista. Il giorno successivo partirono da Tiro coloro che portarono questa storia a Sidone ed anche ad Antiochia e a Damasco. Gesù era stato con questi credenti quando era nella carne, ed essi lo riconobbero subito quando egli cominciò ad insegnare loro. Anche se i suoi amici non riuscivano a riconoscere prontamente la sua forma semi-spirituale quando si rendeva visibile, non erano mai lenti ad identificare la sua personalità quando egli parlava loro.
Giovedì mattina presto, 18 maggio, Gesù fece la sua ultima apparizione sulla terra come personalità semi-spirituale. Mentre gli undici apostoli stavano per sedersi a colazione nella stanza al piano superiore della casa di Maria Marco, Gesù apparve loro e disse:
“La pace sia su di voi. Vi ho chiesto di rimanere qui a Gerusalemme fino alla mia ascensione al Padre, e fino a quando vi manderò lo Spirito della Verità, che sarà presto sparso su tutta la carne e che vi conferirà un potere dall’alto.” Simone Zelota interruppe Gesù chiedendo: “Allora, Maestro, ristabilirai il regno e vedremo la gloria di Dio manifestata sulla terra?” Quando Gesù ebbe ascoltato la domanda di Simone, rispose: “Simone, tu resti ancora attaccato alle tue vecchie idee sul Messia degli Ebrei e sul regno materiale. Ma riceverai un potere spirituale dopo che lo spirito sarà disceso su di te, e andrai subito nel mondo intero a predicare questo Vangelo del Regno. Come il Padre ha mandato me nel mondo, così io mando voi. Io desidero che vi amiate e che abbiate fiducia l’uno nell’altro. Giuda non è più con voi perché il suo amore si era raffreddato e perché rifiutava di aver fiducia in voi, suoi fratelli leali. Non avete letto nelle Scritture dov’è scritto: ‘Non è bene per l’uomo essere solo. Nessuno vive per se stesso’? Ed anche dov’è detto: ‘Chi vuole avere degli amici deve mostrarsi amichevole’? Ed io non vi ho mandato ad insegnare a due a due affinché non vi sentiste soli e non cadeste nei mali e nelle sofferenze dell’isolamento? Voi sapete bene anche che, mentre ero nella carne, non mi sono mai permesso di restare da solo per lunghi periodi. Fin dall’inizio della nostra associazione ho sempre avuto due o tre di voi costantemente accanto a me o nelle vicinanze, anche quando comunicavo con il Padre. Abbiate fiducia, quindi, e confidate l’uno nell’altro. Tutto ciò è tanto più necessario oggi che sto per lasciarvi soli nel mondo. L’ora è venuta; io sono sul punto di andare dal Padre.”
Dopo aver parlato, egli fece loro segno di seguirlo, e li condusse sul Monte degli Olivi, dove diede loro i suoi saluti di addio preliminari alla sua partenza da questo mondo. Questo tragitto fino all’Oliveto fu solenne. Nessuna parola fu pronunciata da alcuno di loro da quando lasciarono la stanza al piano superiore fino al momento in cui Gesù si fermò con loro sul Monte degli Olivi.
Fu nella prima parte del messaggio di addio del Maestro ai suoi apostoli che egli fece allusione alla perdita di Giuda e rilevò la tragica sorte del loro compagno di lavoro traditore come un solenne avvertimento contro i pericoli dell’isolamento sociale e fraterno. Può essere utile ripassare brevemente le cause della rovina di Giuda alla luce delle osservazioni del Maestro e dei chiarimenti accumulati nei secoli successivi.
Se consideriamo retrospettivamente questa tragedia, concepiamo che Giuda ha agito male, in primo luogo perché era molto marcatamente una personalità isolata, una personalità chiusa e lontana dai contatti sociali ordinari. Egli rifiutò persistentemente di confidarsi con i suoi compagni apostoli o di fraternizzare apertamente con loro. Ma il fatto che fosse una persona isolata non avrebbe causato di per sé un tale disastro per Giuda se non fosse stato che egli mancò anche di crescere in amore e in grazia spirituale. E poi, quasi a rendere peggiore una cosa cattiva, egli covò persistentemente del rancore e nutrì dei nemici psicologici quali la vendetta e il desiderio generalizzato di “vendicarsi” con qualcuno per tutte le sue delusioni.
Questa sfortunata combinazione di caratteristiche individuali e di tendenze mentali concorse a distruggere un uomo ben intenzionato che non era riuscito a soggiogare questi mali con l’amore, la fede e la fiducia. Che Giuda non dovesse necessariamente fallire è ben dimostrato dai casi di Tommaso e Natanaele, entrambi afflitti dallo stesso tipo di sospetto e di eccessiva tendenza all’individualismo. Anche Andrea e Matteo avevano forti propensioni in questa direzione; ma tutti questi uomini, con il passare del tempo, accrebbero e non diminuirono l’amore per Gesù e per i loro compagni apostoli. Essi crebbero in grazia e in conoscenza della verità.
Essi divennero sempre più fiduciosi verso i loro fratelli e svilupparono lentamente l’attitudine a confidarsi con i loro compagni. Giuda rifiutò con persistenza di confidarsi con i suoi fratelli. Quando era costretto, per l’accumulo dei suoi conflitti emozionali, a cercare sollievo in uno sfogo, egli andava invariabilmente a chiedere il consiglio e a ricevere l’incauta consolazione dei suoi parenti non inclini allo spirito, o di quelle conoscenze occasionali che erano o indifferenti o addirittura ostili al benessere e al progresso delle realtà spirituali del regno dei cieli, di cui egli era uno dei dodici ambasciatori consacrati sulla terra.
Giuda incontrò la sconfitta nelle sue battaglie della lotta terrena a causa dei seguenti fattori concernenti le sue tendenze personali e le sue debolezze di carattere:
1. Egli era un tipo di essere umano solitario. Era altamente individualista e scelse di crescere come un inveterato tipo di persona “chiusa” e asociale.
2. Da ragazzo la vita gli era stata resa troppo facile. Egli si risentiva aspramente se era contrastato. Pretendeva sempre di aver ragione; non sapeva assolutamente perdere.
3. Egli non acquisì mai una tecnica filosofica per affrontare la delusione. Invece di accettare le delusioni come un benefico avvenimento normale e corrente dell’esistenza umana, ricorreva infallibilmente alla pratica di biasimare qualcuno in particolare, o i suoi collaboratori collettivamente, per tutte le sue difficoltà e le sue delusioni personali.
4. Egli aveva tendenza a serbare rancore; nutriva sempre idee di vendetta.
5. Egli non amava affrontare apertamente i fatti; era disonesto nel suo comportamento verso le situazioni della vita.
6. Detestava discutere i suoi problemi personali con i suoi collaboratori immediati; rifiutava di parlare delle sue difficoltà con i suoi veri amici e con coloro che l’amavano realmente. In tutti gli anni della loro associazione egli non andò una sola volta dal Maestro con un problema puramente personale.
7. Egli non imparò mai che le ricompense reali di una vita nobile sono, dopotutto, dei premi spirituali che non sono sempre distribuiti durante questa sola breve vita nella carne.
Come risultato del persistente isolamento della sua personalità, le sue lagnanze si moltiplicarono, i suoi dispiaceri si accrebbero, le sue ansietà aumentarono e la sua disperazione raggiunse una profondità quasi insopportabile.
Questi, dunque, sono i fattori mentali e le influenze negative che, prese nel loro insieme, spiegano perché un credente in Gesù un tempo ben intenzionato e sincero, anche dopo parecchi anni d’intima associazione con questa personalità trasformatrice, abbandonò i suoi compagni, ripudiò una causa sacra, rinunciò alla sua santa vocazione e tradì il suo divino Maestro.
Erano quasi le sette e mezzo di questo giovedì mattina, 18 maggio, quando Gesù arrivò sul versante occidentale del Monte Oliveto con i suoi undici apostoli silenziosi ed un po’ sconcertati. Da questo luogo, a circa due terzi di strada dalla vetta, essi potevano vedere lontano Gerusalemme e sotto di loro Getsemani. Gesù si preparò ora a dare i suoi ultimi saluti di addio agli apostoli prima di lasciare la Terra. Mentre egli stava là davanti a loro, senza che glielo avesse ordinato essi s’inginocchiarono in cerchio attorno a lui, e il Maestro disse:
“Vi ho chiesto di rimanere a Gerusalemme fino a che foste dotati di potere dall’alto. Io sono ora sul punto di lasciarvi; sto per ascendere a mio Padre, e presto, molto presto, noi manderemo a questo mondo dove ho soggiornato lo Spirito della Verità. E quando egli sarà venuto, voi comincerete la nuova proclamazione del Vangelo del Regno, prima a Gerusalemme e poi sino alle parti più lontane del mondo. Amate gli uomini con l’amore con cui io ho amato voi e servite i vostri simili mortali come io ho servito voi. Mediante i frutti spirituali della vostra vita spingete le anime a credere la verità che l’uomo è un figlio di Dio e che tutti gli uomini sono fratelli. Ricordatevi di tutto ciò che vi ho insegnato e della vita che ho vissuto tra di voi. Il mio amore vi copre con la sua ombra, il mio spirito abiterà in voi e la mia pace dimorerà su di voi. Addio.”
Dopo che il Maestro in forma semi-spirituale ebbe parlato così, scomparve dalla loro vista. Questa cosiddetta ascensione di Gesù non fu in alcun senso differente dalle altre sue scomparse dalla vista mortale durante i quaranta giorni del suo percorso semi-spirituale sulla Terra.
Erano circa le sette e quarantacinque di questa mattina quando il Gesù semi-spirituale scomparve dal campo d’osservazione dei suoi undici apostoli per iniziare l’ascensione alla destra di suo Padre, per ricevervi la conferma ufficiale del completamento della sua sovranità sull’intero Universo.
Agendo secondo le istruzioni di Pietro, Giovanni Marco ed altri andarono a convocare i discepoli più eminenti per una riunione a casa di Maria Marco. Alle dieci e mezzo centoventi dei principali discepoli di Gesù che vivevano a Gerusalemme si erano riuniti per ascoltare il resoconto del messaggio di addio del Maestro e per sapere della sua ascensione. In questo gruppo si trovava Maria la madre di Gesù. Essa era ritornata a Gerusalemme con Giovanni Zebedeo quando gli apostoli tornarono dal loro recente soggiorno in Galilea. Poco dopo la Pentecoste essa tornò a casa di Salomè a Betsaida. Giacomo, il fratello di Gesù, era anche lui presente a questa riunione, la prima dei discepoli del Maestro ad essere convocata dopo la fine del suo percorso planetario.
Simon Pietro s’incaricò di parlare a nome dei suoi compagni apostoli e fece un resoconto appassionante dell’ultimo incontro degli undici con il loro Maestro, e descrisse nella maniera più toccante il saluto di addio finale del Maestro e la sua scomparsa per l’ascensione. Non c’era mai stata prima una riunione simile in questo mondo. Questa parte della riunione durò meno di un’ora. Pietro spiegò poi che essi avevano deciso di scegliere un successore a Giuda Iscariota, e che vi sarebbe stata una pausa per consentire agli apostoli di decidere tra due uomini che erano stati proposti per questo posto, Mattia e Giusto.
Gli undici apostoli scesero allora al pianterreno, dove si accordarono di trarre a sorte per determinare quale di questi uomini sarebbe divenuto apostolo per servire al posto di Giuda. La sorte cadde su Mattia, ed egli fu proclamato il nuovo apostolo. Egli fu debitamente insediato nel suo incarico e poi nominato tesoriere. Ma Mattia partecipò poco alle attività successive degli apostoli.
Poco dopo la Pentecoste i gemelli ritornarono alle loro case in Galilea. Simone Zelota si isolò per qualche tempo prima di partire per andare a predicare il Vangelo. Tommaso meditò per un periodo più breve e poi riprese il suo insegnamento. Natanaele dissentì sempre di più da Pietro circa la predicazione a proposito di Gesù invece di proclamare il precedente Vangelo del Regno. Questo disaccordo divenne così acuto verso la metà del mese seguente che Natanaele si ritirò e andò a Filadelfia a trovare Abner e Lazzaro. E dopo essere rimasto là per più di un anno, egli andò nei paesi situati oltre la Mesopotamia a predicare il Vangelo come lo comprendeva lui.
Ciò lasciò soltanto sei degli originali dodici apostoli per divenire attori sulla scena della proclamazione iniziale del Vangelo a Gerusalemme: Pietro, Andrea, Giacomo, Giovanni, Filippo e Matteo.
A mezzogiorno circa gli apostoli ritornarono dai loro fratelli nella stanza al piano superiore ed annunciarono che Mattia era stato scelto come nuovo apostolo. E poi Pietro invitò tutti i credenti a mettersi in preghiera per essere preparati a ricevere il dono dello spirito che il Maestro aveva promesso di mandare.
VERSO l’una del pomeriggio, mentre i centoventi credenti stavano pregando, divennero tutti coscienti di una strana presenza nella stanza. Allo stesso tempo questi discepoli divennero coscienti di un nuovo e profondo senso di gioia, di sicurezza e di fiducia spirituali. Questa nuova coscienza di forza spirituale fu immediatamente seguita da un potente impulso ad uscire per proclamare pubblicamente il Vangelo del Regno e la buona novella che Gesù era risuscitato dalla morte.
Pietro si alzò e dichiarò che questa doveva essere la venuta dello Spirito della Verità che il Maestro aveva promesso loro e propose di andare al tempio e di cominciare la proclamazione della buona novella affidata loro. Ed essi fecero ciò che Pietro aveva suggerito.
Questi uomini erano stati preparati ed istruiti che il Vangelo che dovevano predicare era la paternità di Dio e la filiazione dell’uomo, ma in questo particolare momento d’estasi spirituale e di trionfo personale la notizia migliore, la più importante alla quale questi uomini potevano pensare era il fatto del Maestro risorto. E così essi uscirono, dotati di un potere proveniente dall’alto, a predicare la felice novella al popolo - la salvezza attraverso Gesù.
Il Vangelo del Regno è Dio al centro: il fatto della paternità di Dio, collaboratore alla verità risultante della filiazione-fratellanza degli uomini. Il Cristianesimo, quale s’è sviluppato da quel giorno si è di fatto leggermente modificato mettendo maggiormente al centro Gesù: il fatto di Dio in quanto Padre del Signore Gesù Cristo, collaboratore all’esperienza della credenza-comunione con il Cristo risorto e glorificato.
Ma bisogna considerare che questi uomini infusi di spirito abbiano colto questa opportunità per esprimere i loro sentimenti di trionfo sulle forze che avevano cercato di distruggere il loro Maestro e di porre fine all’influenza dei suoi insegnamenti. In un momento simile era più facile ricordare la loro associazione personale con Gesù ed essere galvanizzati dalla certezza che il Maestro viveva ancora, che la loro amicizia non era finita e che lo spirito era veramente venuto su di loro come egli aveva promesso.
Questi credenti si sentirono improvvisamente trasportati in un altro mondo, in una nuova esistenza di gioia, di potenza e di gloria. Il Maestro aveva detto loro che il regno sarebbe venuto con potenza, e alcuni di loro credettero di cominciare a discernere ciò che egli intendeva.
Gli apostoli erano rimasti nascosti per quaranta giorni. Questo giorno si trovò ad essere la festività ebraica di Pentecoste, e migliaia di visitatori provenienti da tutte le parti del mondo erano a Gerusalemme. Molti arrivarono per questa festa, ma la maggior parte si era fermata in città dalla Pasqua. Ora questi apostoli spaventati emersero dalle loro settimane di reclusione per mostrarsi coraggiosamente nel tempio, dove cominciarono a predicare il nuovo messaggio di un Messia risorto. E tutti i discepoli erano similmente coscienti di aver ricevuto una nuova dotazione spirituale di percezione e di potere.
Erano circa le due quando Pietro si mise nello stesso posto in cui il suo Maestro aveva insegnato l’ultima volta in questo tempio e pronunciò quell’appassionato appello che riuscì a conquistare più di duemila anime. Il Maestro era partito, ma essi scoprirono subito che questa storia su di lui aveva una grande presa sul popolo. Nessuna meraviglia che essi abbiano continuato la proclamazione di ciò che giustificava la loro precedente devozione a Gesù e che allo stesso tempo costringeva gli uomini a credere in lui. Sei degli apostoli parteciparono a questa riunione: Pietro, Andrea, Giacomo, Giovanni, Filippo e Matteo. Essi parlarono per più di un’ora e mezza ed espressero i loro messaggi in greco, in ebraico e in aramaico, e pronunciarono alcune parole anche in altre lingue di cui avevano qualche nozione.
I dirigenti degli Ebrei furono stupefatti dall’audacia degli apostoli, ma essi temevano di molestarli a causa del gran numero di persone che credevano al loro racconto.
Verso le quattro e mezzo, più di duemila nuovi credenti seguirono gli apostoli alla piscina di Siloe dove Pietro, Andrea, Giacomo e Giovanni li battezzarono nel nome del Maestro. Ed era buio quando finirono di battezzare questa moltitudine.
La Pentecoste era la grande festa del battesimo, il momento in cui si ammettevano alla comunità i proseliti della porta, quei Gentili che desideravano servire Yahweh. Era quindi più facile per un gran numero di Ebrei e di Gentili credenti sottoporsi al battesimo in questo giorno. Facendo ciò, essi non si staccavano in alcun modo dalla fede ebraica. Per qualche tempo i credenti in Gesù formarono anche una setta interna al Giudaismo. Tutti loro, compresi gli apostoli, erano ancora fedeli alle esigenze essenziali del sistema cerimoniale ebraico.
Gesù visse ed insegnò sulla terra un Vangelo che affrancò l’uomo dalla superstizione di essere un figlio del demonio e lo elevò alla dignità di figlio per fede di Dio. Il messaggio di Gesù, quale egli predicò e visse ai suoi giorni, risolveva in modo efficace le difficoltà spirituali dell’uomo al tempo della sua enunciazione. Ed ora che egli ha lasciato personalmente il mondo, invia al suo posto il suo Spirito della Verità che è destinato a vivere nell’uomo e a riaffermare il messaggio di Gesù per ogni nuova generazione, in modo che ogni nuovo gruppo di mortali che appare sulla faccia sulla Terra abbia una versione nuova ed aggiornata del Vangelo, quell’illuminazione personale e quella guida collettiva che permettono all’uomo di risolvere efficacemente le sue difficoltà spirituali sempre nuove e diverse.
La prima missione di questo spirito è di sostenere con vigore la verità, perché è l’ accesso alla verità di Dio, e quindi la sua comprensione, che costituisce la forma più elevata della libertà umana. Il proposito di questo spirito è inoltre di rimuovere la sensazione del credente di essere rimasto solo, con un Dio lontano. Poiché Gesù ha vissuto tra gli uomini, tutti i credenti proverebbero un senso di solitudine se lo Spirito della Verità non fosse venuto a dimorare stabilmente nel cuore degli uomini.
Questa effusione dello spirito del Figlio preparò efficacemente la mente di tutti gli uomini normali alla successiva effusione nell’Universo dello spirito del Padre su tutta l’umanità. In un certo senso, questo Spirito della Verità è lo spirito sia del Padre Universale che del Figlio Creatore.
Non si può avere una coscienza intellettuale dello Spirito della Verità effuso. Lo spirito non crea mai una coscienza di se stesso, ma solo una coscienza di Gesù, il Figlio. Fin dall’inizio Gesù insegnò che lo spirito non avrebbe parlato di se stesso. La prova della comunione con lo Spirito della Verità non va cercata, quindi, nella presa di coscienza di questo spirito, ma piuttosto nella accresciuta esperienza di amore e di comunione con Gesù.
Lo spirito è venuto anche per aiutare gli uomini a sempre meglio comprendere le parole del Maestro, il cammino verso Dio, come pure per illuminare e reinterpretare la sua vita sulla terra.
Poi, lo Spirito della Verità è venuto ad aiutare il credente a testimoniare le realtà degli insegnamenti di Gesù e della sua vita, quale egli visse nella carne e quale vive ora di nuovo nel singolo credente di ogni generazione successiva di figli di Dio ripieni dello spirito.
Così è evidente che lo Spirito della Verità viene realmente a condurre tutti i credenti in tutta la verità, nella conoscenza sempre maggiore dell’esperienza della coscienza spirituale vivente e crescente della realtà della filiazione eterna ed ascendente con Dio.
Gesù visse una vita che è una rivelazione dell’uomo sottomesso alla volontà del Padre, non un esempio che ciascuno dovrebbe tentare di seguire alla lettera. Questa vita di Gesù nella carne, con la sua morte sulla croce e la risurrezione successiva, divennero da subito quasi un nuovo Vangelo come di un riscatto che doveva essere pagato per liberare l’uomo dalla presa del maligno – per liberare l’uomo dalla condanna di un Dio offeso.
Ciò nonostante, benché il Vangelo sia stato distorto in questa maniera, rimane il fatto che questo nuovo messaggio ‘su’ Gesù (e non ‘di’ Gesù) conservò comunque molte delle verità e degli insegnamenti fondamentali del Vangelo iniziale del regno. E presto o tardi queste verità nascoste del Vangelo ‘di’ Gesù, ovvero della paternità di Dio e della fratellanza degli uomini, emergeranno per trasformare efficacemente la civiltà di tutta l’umanità.
Ma questi errori intellettuali non interferirono in alcun modo con il grande progresso dei credenti nella crescita dello spirito. In meno di un mese dopo l’effusione dello Spirito della Verità, gli apostoli fecero maggiori progressi spirituali individuali che durante i loro quasi quattro anni di associazione personale ed affettuosa con il Maestro. Né questa sostituzione del ‘fatto’ della risurrezione di Gesù alla ‘verità’ del Vangelo salvifico della filiazione con Dio, non interferì in alcun modo con la rapida diffusione dei loro insegnamenti; al contrario, questa de-enfatizzazione del messaggio di Gesù da parte dei nuovi insegnamenti sulla sua persona e sulla sua risurrezione sembrò facilitare grandemente la predicazione della buona novella.
L’espressione “battesimo dello spirito”, che divenne di uso così generale in questo tempo, significava semplicemente il ricevimento cosciente di questo dono dello Spirito della Verità ed il riconoscimento personale di questo nuovo potere spirituale come un accrescimento di tutte le influenze spirituali precedentemente sperimentate dalle anime che conoscevano Dio.
In tempi successivi gli avvenimenti di questo giorno, in cui lo Spirito della Verità, il nuovo maestro, venne ad abitare l’umanità, divennero confusi e dettati più dall’emotività che dai reali avvenimenti. La principale missione di questo spirito sparso dal Padre e dal Figlio è di insegnare agli uomini le verità dell’amore del Padre e della misericordia del Figlio. Queste sono le verità della divinità che gli uomini possono comprendere più pienamente di tutti gli altri tratti divini del carattere. Lo Spirito della Verità è interessato in primo luogo alla rivelazione della natura spirituale del Padre e del carattere morale del Figlio. Il Figlio Creatore, nella carne, rivelò Dio agli uomini; lo Spirito della Verità, nel cuore, rivela il Figlio Creatore agli uomini.
Quando un uomo produce nella sua vita i “frutti dello spirito”, mette in pratica i fatti e gli insegnamenti che il Maestro manifestò nella sua vita terrena. Quando Gesù era sulla terra, visse la sua vita come una personalità unica - Gesù di Nazaret. Come spirito interiore del “Nuovo Maestro”, il Signore, dopo la Pentecoste, ha potuto vivere di nuovo la sua vita nell’esperienza di ogni credente istruito dalla verità.
Molti avvenimenti che accadono nel corso di una vita umana sono duri da comprendere, difficili da conciliare con l’idea che questo è un Universo in cui la verità prevale ed in cui la rettitudine trionfa. Sembra così spesso che la calunnia, la menzogna, la disonestà e l’iniquità - il peccato - prevalgano. Ma è vero che la fede trionfa sul male, sul peccato e sull’iniquità? Sì. E la vita e la morte di Gesù sono la prova eterna che la verità della bontà e la fede delle creature guidate dallo spirito saranno sempre giustificate.
Essi sfidarono Gesù sulla croce dicendo: “Vediamo se Dio verrà a liberarlo.” Il giorno della crocifissione sembrò buio, ma il mattino della risurrezione fu gloriosamente splendido; il giorno di Pentecoste fu ancora più brillante e gioioso. Le religioni della disperazione pessimistica cercano di liberarsi dei fardelli della vita; esse desiderano ardentemente l’annientamento nel sonno e nel riposo senza fine. Queste sono le religioni della paura e del timore primitivi. La religione di Gesù è un magnifico nuovo Vangelo di fede da proclamare all’umanità in lotta. Questa nuova religione è fondata sulla fede, sulla speranza e sull’amore.
A Gesù la vita mortale vibrò i suoi colpi più duri, più crudeli e più amari; e quest’uomo affrontò queste situazioni di disperazione e di incredibile cattiveria con fede, coraggio ed incrollabile determinazione a fare sempre la volontà di suo Padre. Gesù affrontò la vita in tutta la sua terribile realtà e la dominò - anche nella morte. Egli non si servì della religione come di un palliativo dal dolore o come una liberazione dalla vita. Non considerò la vita come una ‘valle di lacrime’, un duro passaggio obbligato per avere un bene futuro. La religione di Gesù non cerca di sfuggire a questa vita per godere la beatitudine che attende in un’altra esistenza. La religione di Gesù procura la gioia e la pace di un’altra esistenza spirituale che eleva e nobilita la vita che gli uomini vivono adesso nella carne, ora per ora, minuto per minuto.
Se una religione è un sedativo per il popolo, non è la religione di Gesù. Sulla croce egli rifiutò di bere il narcotico che mitigava il dolore, ed il suo spirito, sparso su tutta la carne, è una potente influenza mondiale che eleva l’uomo e lo spinge a progredire. Lo stimolo al progresso spirituale è l’impulso più potente presente in questo mondo; il credente che apprende la verità e accede alla Sapienza di Dio, è la sola anima progressiva e dinamica sulla terra.
Nel giorno di Pentecoste la religione di Gesù ruppe tutte le restrizioni nazionali e i vincoli razziali. È eternamente vero che “Dov’è lo spirito del Signore, là c’è la libertà”. In questo giorno lo Spirito della Verità divenne il dono personale del Maestro ad ogni mortale. Questo spirito fu effuso allo scopo di qualificare i credenti a predicare più efficacemente il Vangelo del Regno.
È un fatto che lo Spirito della Verità fu effuso su tutti i credenti sinceri; questo dono dello spirito non venne soltanto sugli apostoli. I centoventi uomini e donne riuniti nella stanza al piano superiore ricevettero tutti il nuovo maestro, come tutti gli onesti di cuore del mondo intero. Questo nuovo maestro fu effuso sull’umanità, ed ogni anima lo ricevette secondo l’amore per la verità e la capacità di cogliere e di comprendere le realtà spirituali. Alla fine la vera religione è liberata dalla tutela e dalla mediazione dei sacerdoti e da tutte le classi sacre, e trova la sua manifestazione reale nelle singole anime degli uomini.
La religione di Gesù favorisce il tipo più elevato di civiltà umana, nel senso che crea il tipo più elevato di personalità spirituale e proclama la sacralità di quella persona.
La venuta dello Spirito della Verità alla Pentecoste rese possibile una religione che non è né radicale né conservatrice; essa non è né vecchia né nuova; essa non deve essere dominata né dai vecchi né dai giovani. Il fatto della vita terrena di Gesù fornisce un punto d’appoggio per l’ancora del tempo, mentre l’effusione dello Spirito della Verità assicura l’espansione perpetua e la crescita indefinita della religione che egli ha vissuto e del Vangelo che ha proclamato. Lo spirito guida in tutta la verità; esso è l’insegnante di una religione in espansione ed in continua crescita di progresso senza fine e di rivelazione divina. Questo nuovo maestro svelerà perpetuamente ai credenti che cercano la verità ciò che fu così divinamente rivelato nella persona e nella natura del Figlio dell’Uomo.
Le manifestazioni associate all’effusione del “nuovo maestro” e l’accoglimento della predicazione degli apostoli da parte degli uomini delle diverse razze e nazioni riunite a Gerusalemme, indicano l’universalità della religione di Gesù. Il Vangelo del Regno non doveva identificarsi con nessuna razza, cultura o lingua particolare. Questo giorno di Pentecoste segnò il grande sforzo dello spirito per liberare la religione di Gesù dai vincoli ebraici ereditati. Anche dopo questa dimostrazione di fecondazione dello spirito su tutta la carne, gli apostoli si sforzarono inizialmente d’imporre le esigenze del Giudaismo ai loro convertiti. Anche Paolo ebbe delle difficoltà con i suoi fratelli di Gerusalemme perché rifiutava di sottoporre i Gentili a queste pratiche ebraiche. Nessuna religione rivelata può diffondersi in tutto il mondo se commette il grave errore di lasciarsi permeare da qualche cultura nazionale o di associarsi a pratiche razziali, sociali o economiche consolidate nel tempo.
L’effusione dello Spirito della Verità fu indipendente da tutte le forme, cerimonie, luoghi sacri e abitudini particolari di coloro che ricevettero la pienezza della sua manifestazione. Quando lo spirito venne su coloro che erano riuniti nella stanza superiore, essi erano semplicemente seduti là, impegnati da poco in una preghiera silenziosa. Lo spirito fu effuso nella campagna come pure nella città. Gli apostoli non dovettero appartarsi in luoghi isolati per anni di solitaria meditazione al fine di ricevere lo spirito. La Pentecoste dissocia definitivamente l’idea di esperienza spirituale dalla nozione di ambienti particolarmente favorevoli.
La Pentecoste, con la sua dotazione spirituale, era destinata a staccare per sempre la religione del Maestro da ogni dipendenza dalla forza fisica; gli insegnanti di questa nuova religione sono ora muniti di armi spirituali. Essi stanno per andare alla conquista del mondo con inesauribile indulgenza, ineguagliabile buona volontà e abbondante amore. Essi sono attrezzati per trionfare sul male con il bene, per vincere l’odio con l’amore, per distruggere la paura con una fede coraggiosa e vivente nella verità. Gesù aveva già insegnato ai suoi seguaci che la sua religione non era mai passiva; i suoi discepoli dovevano essere sempre attivi e positivi nel loro ministero di misericordia e nelle loro manifestazioni d’amore. Questi credenti non consideravano più Yahweh come “il Signore degli Eserciti”. Essi consideravano ora la Deità eterna come il “Dio e Padre del Signore Gesù Cristo”. Essi fecero almeno questo progresso, anche se in qualche misura non arrivarono ad afferrare pienamente la verità che Dio è anche il Padre spirituale di ciascun individuo.
La Pentecoste dotò l’uomo mortale del potere di perdonare le ingiurie personali, di conservarsi gentile in mezzo alle più gravi ingiustizie, di restare impassibile di fronte ai pericoli che atterriscono e di sfidare i mali dell’odio e della collera con intrepidi atti d’amore e di tolleranza. La Terra è passata attraverso le devastazioni di grandi guerre distruttive nella sua storia. Tutti i partecipanti a questi conflitti terribili sono stati sconfitti. È rimasto un solo vincitore; solo uno è uscito da queste lotte accanite con una reputazione accresciuta - Gesù di Nazaret e il suo Vangelo del trionfo sul male con il bene. Il segreto di una civiltà migliore è contenuto negli insegnamenti del Maestro sulla fratellanza degli uomini, la buona disposizione all’amore e alla fiducia reciproca.
Fino alla Pentecoste la religione aveva rivelato soltanto l’uomo che cerca Dio; dopo la Pentecoste l’uomo cerca ancora Dio, ma brilla sul mondo anche lo spettacolo di Dio che cerca l’uomo e che manda il suo spirito a dimorare in lui quando l’ha trovato.
Prima degli insegnamenti di Gesù, che culminarono nella Pentecoste, le donne avevano poca o nessuna considerazione nelle dottrine delle religioni antiche. Dopo la Pentecoste, nella fraternità del regno la donna fu di fronte a Dio su un piano d’uguaglianza con l’uomo. Tra i centoventi che ricevettero questa visitazione speciale dello spirito c’erano molte delle donne discepole, ed esse condivisero queste benedizioni equamente con gli uomini credenti. L’uomo non può più pretendere di monopolizzare il ministero del servizio religioso. Il Fariseo poteva andare a ringraziare Dio per “non essere nato donna, lebbroso o Gentile”; ma tra i credenti in Gesù le donne sono state liberate per sempre da ogni discriminazione religiosa basata sul sesso. La Pentecoste ha cancellato ogni discriminazione religiosa fondata sulla distinzione razziale, sulle differenze culturali, sulle caste sociali o sul pregiudizio del sesso. Non c’è da meravigliarsi che questi credenti nella nuova religione abbiano esclamato: “Dov’è lo spirito del Signore, là c’è la libertà.”
La madre ed un fratello di Gesù erano presenti tra i centoventi credenti, e come membri di questo gruppo comune di discepoli ricevettero anch’essi lo spirito diffuso. Essi non ricevettero questo valido dono in misura maggiore dei loro simili. Nessun dono speciale fu conferito ai membri della famiglia terrena di Gesù. La Pentecoste segnò la fine del sacerdozio speciale e di ogni credenza nelle famiglie sacre.
Prima della Pentecoste gli apostoli avevano rinunciato a molte cose per Gesù. Essi avevano sacrificato le loro case, le famiglie, gli amici, i beni terreni e le loro posizioni. A partire dalla Pentecoste essi donarono se stessi a Dio, e il Padre ed il Figlio risposero donando se stessi agli uomini - mandando i loro spiriti a vivere negli uomini. Questa esperienza di perdere se stessi e di trovare lo spirito non fu nulla di emozionante; fu un atto di resa intelligente di sé e di consacrazione senza riserve.
La Pentecoste fu la chiamata all’unità spirituale tra i credenti al Vangelo. Quando lo spirito discese sui discepoli a Gerusalemme, la stessa cosa avvenne a Filadelfia, ad Alessandria ed in tutti gli altri luoghi in cui abitavano dei credenti sinceri. Fu letteralmente vero che “c’era un solo cuore ed una sola anima tra la moltitudine dei credenti”. La religione di Gesù è la più potente influenza unificatrice che il mondo abbia mai conosciuto.
La Pentecoste era destinata a diminuire l’autoritarismo degli individui, dei gruppi, delle nazioni e delle razze. È questo spirito egoistico di autoaffermazione che cresce talmente di forza nell’uomo al punto da scatenare periodicamente delle guerre distruttive. L’umanità può essere unificata soltanto dall’approccio spirituale, e lo Spirito della Verità è un’influenza mondiale che è universale.
La venuta dello Spirito della Verità purifica il cuore umano e porta il beneficiario a formulare un solo proposito di vita verso la volontà di Dio ed il benessere degli uomini. Lo spirito materiale dell’egoismo è stato inghiottito in questo nuovo dono spirituale dell’altruismo. La Pentecoste, sia allora che ora, significa che il Gesù della storia è divenuto il Figlio divino dell’esperienza vivente. La gioia di questo spirito sparso, quando è coscientemente sperimentata nella vita umana, è un tonico per la salute, uno stimolo per la mente e un’energia inesauribile per l’anima.
La preghiera non portò lo spirito nel giorno di Pentecoste, ma contribuì molto a determinare la capacità ricettiva che caratterizzò i singoli credenti. La preghiera non spinge il cuore divino a donarsi liberamente, ma apre spesso dei canali più larghi e profondi in cui i doni divini possono fluire verso il cuore e l’anima di coloro che si ricordano così di mantenere una comunione ininterrotta con il loro Creatore mediante la preghiera sincera e la vera adorazione.
GESÙ aveva una fede sublime e sincera in Dio. Egli sperimentò i normali alti e bassi dell’esistenza mortale, ma religiosamente non dubitò mai della certezza della cura e della guida di Dio. La sua fede era frutto della percezione nata dall’attività della presenza divina, il suo Spirito interiore. La sua fede non era né tradizionale né semplicemente intellettuale; era totalmente personale e puramente spirituale.
Il Gesù umano vedeva Dio santo, giusto e grande, come pure vero, bello e buono. Ed egli focalizzò tutti questi attributi di divinità nella sua mente come “volontà del Padre che è nei cieli”. Il Dio di Gesù era simultaneamente “Il Santo d’Israele” e “Il Padre vivente ed amorevole che è nei cieli”. Il concetto di Dio come Padre non era originale in Gesù, ma egli esaltò ed elevò l’idea ad un’esperienza sublime compiendo una nuova rivelazione di Dio e proclamando che ogni creatura mortale è un figlio di questo Padre d’amore, un figlio di Dio.
Gesù non si aggrappò alla fede in Dio come un’anima che si batte in una guerra con l’Universo ed in una lotta mortale contro un mondo ostile e peccatore; egli non fece ricorso alla fede soltanto come una consolazione in mezzo alle difficoltà o come un conforto alla minaccia della disperazione; la fede non era una semplice compensazione illusoria delle realtà spiacevoli e delle cose tristi della vita. Davanti a tutte le difficoltà naturali e alle contraddizioni temporali dell’esistenza mortale, egli sperimentava la tranquillità di una fiducia in Dio suprema e indiscussa e provava la straordinaria sensazione di vivere, grazie alla fede, alla presenza stessa del Padre Celeste. E questa fede trionfante era un’esperienza vivente di un effettivo conseguimento spirituale. Il grande contributo di Gesù ai valori dell’esperienza umana non fu di aver rivelato così tante idee nuove sul Padre che è nei cieli, ma piuttosto di aver dimostrato così magnificamente ed umanamente un tipo nuovo e superiore di fede vivente in Dio. Su tutti i mondi di questo Universo, nella vita di ciascun singolo mortale, Dio non divenne mai una tale realtà vivente come nell’esperienza umana di Gesù di Nazaret.
Nella vita del Maestro sulla Terra, questo e tutti gli altri mondi della creazione scoprono un tipo di religione nuovo e più elevato, una religione basata sulle relazioni spirituali personali con il Padre Universale ed interamente convalidata dall’autorità suprema di un’esperienza personale autentica. Questa fede vivente di Gesù era più che una riflessione intellettuale e non era una meditazione mistica.
La teologia può fissare, formulare, definire e dogmatizzare la fede, ma nella vita umana di Gesù la fede era personale, vivente, originale, spontanea e puramente spirituale. Questa fede non era né rispetto per la tradizione né una semplice credenza intellettuale da considerare come un credo sacro, ma piuttosto un’esperienza sublime ed una profonda convinzione che lo rassicuravano. La sua fede era così reale ed onnicomprensiva che spazzò via completamente qualsiasi dubbio spirituale e distrusse efficacemente ogni desiderio conflittuale. Niente fu in grado di strapparlo dall’ancoraggio spirituale di questa fede fervente, sublime ed intrepida. Anche di fronte all’apparente sconfitta, o nell’angoscia della delusione e di un dispiacere incombente, egli stava tranquillo nella presenza divina, libero da paure e pienamente cosciente della sua invincibilità spirituale. Gesù godeva dell’assicurazione tonificante di possedere una fede inflessibile, ed in ciascuna delle situazioni difficili della vita egli mostrò infallibilmente una fedeltà assoluta alla volontà del Padre. E questa fede superba non fu scossa nemmeno dalla minaccia crudele ed opprimente di una morte ignominiosa.
In un genio religioso, una forte fede spirituale porta molto spesso direttamente ad un fanatismo disastroso, all’esagerazione dell’ego religioso, ma non fu così per Gesù. Nella sua vita pratica egli non fu influenzato sfavorevolmente dalla sua fede straordinaria e dal suo conseguimento spirituale, perché questa esaltazione spirituale era un’espressione totalmente inconscia e spontanea dell’anima nella sua esperienza personale con Dio.
La fede spirituale ardente e indomabile di Gesù non divenne mai fanatica, perché essa non tentò mai d’imporsi ai suoi giudizi intellettuali ben equilibrati concernenti i valori proporzionali delle situazioni pratiche e ordinarie della vita sociale, economica e morale. Il Figlio dell’Uomo era una personalità umana splendidamente unificata; egli era un essere divino perfettamente dotato; era anche magnificamente coordinato quale essere umano e divino congiunto, funzionante sulla terra come un’unica personalità. Il Maestro coordinava sempre la fede dell’anima con le sagge valutazioni di un’esperienza matura. La fede personale, la speranza spirituale e la devozione morale erano sempre correlate in un’incomparabile unità religiosa, armoniosamente associata alla percezione acuta della realtà e della sacralità di tutte le fedeltà umane - onore personale, amore per la famiglia, obbligo religioso, dovere sociale e necessità economica.
La fede di Gesù visualizzava tutti i valori spirituali che si possono trovare nel regno di Dio; per questo egli disse: “Cercate prima di tutto il regno dei cieli.” Gesù vedeva nella comunità avanzata e ideale del regno la realizzazione ed il compimento della “volontà di Dio”. L’essenza della preghiera che egli insegnò ai suoi discepoli era: “Venga il tuo regno; sia fatta la tua volontà.” Avendo così concepito il regno come includente la volontà di Dio, egli si consacrò alla causa di realizzarlo con una stupefacente dimenticanza di sé ed un entusiasmo illimitato. Ma in tutta la sua intensa missione e per tutta la sua vita straordinaria non apparve mai l’accanimento del fanatico né l’esaltazione superficiale del religioso egocentrico.
Tutta la vita del Maestro fu costantemente condizionata da questa fede vivente, da questa sublime esperienza religiosa. Questo atteggiamento spirituale dominava totalmente i suoi pensieri ed i suoi sentimenti, le sue credenze e le sue preghiere, il suo insegnamento e la sua predicazione. Questa fede personale di un figlio nella certezza e nella sicurezza della guida e della protezione del Padre Celeste conferì alla sua vita straordinaria un profondo contenuto di realtà spirituale. E tuttavia, malgrado questa profondissima coscienza di stretta relazione con la divinità, quando si rivolsero a lui chiamandolo Buon Maestro, replicò immediatamente: “Perché mi chiami buono?” Quando ci troviamo di fronte a questa splendida dimenticanza di sé, noi cominciamo a comprendere come il Padre Universale trovò possibile manifestarsi così pienamente a lui e rivelarsi tramite lui ai mortali dei regni.
Gesù portò a Dio, come uomo del regno, la più grande di tutte le offerte: la consacrazione e la dedizione della propria volontà al maestoso servizio di fare la volontà divina. Gesù interpretò sempre e concretamente la religione totalmente in termini di volontà del Padre. Quando si studia l’incarico del Maestro, per quanto concerne la preghiera od ogni altro aspetto della vita religiosa, non si deve guardare tanto a ciò che ha insegnato ma a ciò che ha fatto. Gesù non pregò mai per dovere religioso. Per lui la preghiera era un’espressione sincera dell’atteggiamento spirituale, una dichiarazione della fedeltà dell’anima, un’esposizione della devozione personale, un’espressione di ringraziamento, un sottrarsi alla tensione emotiva, un prevenire il conflitto, un’esaltazione dell’intelletto, una nobilitazione del desiderio, una rivendicazione delle decisioni morali, un arricchimento del pensiero, un rinvigorimento delle inclinazioni superiori, una consacrazione dell’impulso, un chiarimento del punto di vista, una dichiarazione di fede, una resa trascendentale della volontà, un’affermazione sublime della fiducia, una rivelazione del coraggio, la proclamazione di una scoperta, una confessione della devozione suprema, la conferma della consacrazione, una tecnica per appianare le difficoltà e la mobilitazione potente dei poteri congiunti dell’anima per resistere a tutte le tendenze umane all’egoismo, al male e al peccato.
Egli visse giusto una tale vita di devota consacrazione a fare la volontà di suo Padre e terminò la sua vita trionfalmente proprio con una tale preghiera. Il segreto della sua incomparabile vita religiosa era questa coscienza della presenza di Dio; ed egli la raggiunse mediante preghiere intelligenti ed un’adorazione sincera - una comunione ininterrotta con Dio - e non in virtù di direttive, di voci, di visioni o di pratiche religiose straordinarie.
Nella vita terrena di Gesù la religione fu un’esperienza vivente, un movimento diretto e personale dalla venerazione spirituale alla rettitudine pratica. La fede di Gesù portò i frutti trascendenti dello spirito divino. La sua fede non era né immatura e credulona come quella di un bambino, ma sotto molti aspetti assomigliava alla candida fiducia della mente infantile. Gesù nutriva fiducia in Dio in modo molto simile a quella di un bambino verso un genitore. Egli aveva una fiducia profonda nell’Universo - una fiducia come quella che il bambino ha per il suo ambiente familiare. La fede sincera di Gesù nella bontà fondamentale dell’Universo assomigliava moltissimo alla fiducia di un bambino nella sicurezza del suo ambiente terreno. Egli dipendeva dal Padre Celeste come un bimbo si appoggia ai suoi genitori terreni, e la sua fede fervente non dubitò mai per un solo istante della certezza che il Padre Celeste vegliasse su di lui. Egli non fu seriamente turbato da paure, da dubbi e da scetticismo. La non credenza non inibiva l’espressione libera ed originale della sua vita. Egli sommava il coraggio fermo ed intelligente di un uomo maturo con l’ottimismo sincero e fiducioso di un bambino che crede. La sua fede era cresciuta ad un tale grado di fiducia da essere priva di paura.
La fede di Gesù raggiungeva la purezza della fiducia di un bambino. La sua fede era così assoluta e priva di dubbi che rispondeva al fascino del contatto con i suoi simili e alle meraviglie dell’Universo. Il suo senso di dipendenza dal divino era così completo e fiducioso da procurargli la gioia e l’assicurazione di una sicurezza personale assoluta. Non c’era finzione esitante nella sua esperienza religiosa. In questo intelletto gigante di uomo maturo la fede del bambino regnava suprema in tutte le materie concernenti la coscienza religiosa. Non è strano che egli abbia detto una volta: “Se non divenite come bambini non entrerete nel regno.” Benché la fede di Gesù fosse simile a quella di un bambino, non era in alcun senso infantile.
Gesù non chiede ai suoi discepoli di credere in lui, ma piuttosto di credere con lui, di credere nella realtà dell’amore di Dio e di accettare con piena fiducia la sicurezza dell’assicurazione della filiazione con il Padre Celeste. Il Maestro desidera che tutti i suoi seguaci condividano pienamente la sua fede trascendente. Nel modo più toccante Gesù sfidò i suoi discepoli, non solo a credere a ciò che egli credeva, ma anche a credere come egli credeva. Questo è il pieno significato del suo unico comandamento supremo: “Seguimi.”
La vita terrena di Gesù fu consacrata ad un solo grande proposito - fare la volontà del Padre, vivere la vita umana religiosamente e con fede. La fede di Gesù era fiduciosa, come quella di un bambino, ma era totalmente libera da presunzione. Egli prese decisioni ferme e virili, affrontò coraggiosamente molteplici delusioni, superò risolutamente difficoltà straordinarie e fece fronte senza cedimenti alle severe esigenze del dovere. Ci voleva una forte volontà ed una fiducia inesauribile per credere a ciò che Gesù credeva e come egli credeva.
La devozione di Gesù alla volontà del Padre e al servizio dell’uomo era più che una decisione mortale e una determinazione umana; era una consacrazione sincera di se stesso a questa effusione d’amore incondizionata. Per quanto grande sia il fatto della sovranità di Gesù, non si deve separare il Gesù umano dagli uomini. Il Maestro è asceso al cielo come uomo così come Dio; egli appartiene agli uomini; gli uomini appartengono a lui. Che peccato che la religione stessa sia così male interpretata da allontanare il Gesù umano dai mortali che si dibattono! Le discussioni sull’umanità o sulla divinità del Cristo non oscurino la verità salvifica che Gesù di Nazaret era un uomo religioso che, per mezzo della fede, giunse a conoscere e a fare la volontà di Dio; egli fu veramente l’uomo più religioso che sia mai vissuto sulla Terra.
I tempi sono maturi per assistere alla risurrezione simbolica del Gesù umano dalla tomba delle tradizioni teologiche e dei dogmi religiosi di venti secoli. Gesù di Nazaret non deve più essere sacrificato nemmeno allo splendido concetto del Cristo glorificato. Quale servizio trascendente se, grazie a questa rivelazione, il Figlio dell’Uomo potesse essere recuperato dalla tomba della teologia tradizionale ed essere presentato come il Gesù vivente alla Chiesa che porta il suo nome e a tutte le altre religioni! La comunità cristiana dei credenti non esiterebbe certamente a fare i dovuti aggiustamenti di fede e di pratiche di vita in modo da poter “seguire” il Maestro nella dimostrazione della sua vita reale di devozione religiosa a fare la volontà di suo Padre e di consacrazione al servizio disinteressato degli uomini.
Il Cristianesimo istituzionale teme che sia messa in pericolo, od anche rovesciata, l’autorità ecclesiastica tradizionale se il Gesù di Galilea venisse ristabilito nella mente e nell’anima degli uomini mortali come l’ideale della vita religiosa personale? In verità, i raggiustamenti sociali, le trasformazioni economiche, le rigenerazioni morali e le revisioni religiose della civiltà cristiana sarebbero drastici e rivoluzionari se improvvisamente la religione vivente di Gesù soppiantasse la sterilizzata religione teologica a proposito di Gesù.
Seguire Gesù significa condividere personalmente la sua fede religiosa ed entrare nello spirito della vita del Maestro di servizio disinteressato verso l’uomo. Una delle cose più importanti della vita umana è scoprire ciò che Gesù credeva, scoprire i suoi ideali e sforzarsi di raggiungere lo scopo elevato della sua vita. Di tutta la conoscenza umana, ciò che è di maggior valore è conoscere la vita religiosa di Gesù ed il modo in cui egli l’ha vissuta.
Le persone del popolo ascoltano Gesù con gioia, ed esse risponderanno di nuovo alla presentazione della sua vita umana sincera di motivazione religiosa consacrata, se tali verità saranno proclamate di nuovo al mondo. Il popolo lo ascolta volentieri perché egli era uno di loro, un laico senza pretese; il più grande maestro religioso del mondo era in verità un laico.
L’aspirazione dei credenti al regno non dovrebbe essere quella d’imitare alla lettera la vita esteriore di Gesù nella carne, ma piuttosto di condividere la sua fede; di avere fiducia in Dio come egli aveva fiducia in Dio e di credere negli uomini come egli credeva negli uomini. Gesù non argomentò mai sulla paternità di Dio o sulla fratellanza degli uomini; egli era un’illustrazione vivente dell’una ed una manifestazione profonda dell’altra.
Come gli uomini devono progredire dalla coscienza dell’umano alla realizzazione del divino, così Gesù ascese dalla natura dell’uomo alla coscienza della natura di Dio. Ed il Maestro effettuò questa grande ascesa dall’umano al divino mediante il compimento congiunto della fede del suo intelletto mortale e degli atti del suo Spirito interiore. La realizzazione del fatto del raggiungimento della totalità di divinità (in ogni momento pienamente cosciente della realtà della sua umanità) avvenne attraverso la progressione attraverso sette stadi di coscienza per fede della sua divinizzazione. Questi stadi di autorealizzazione progressiva furono segnati dai seguenti avvenimenti straordinari nell’esperienza di conferimento del Maestro:
1. L’arrivo dello Spirito di Pensiero.
2. Il messaggero di Emanuele che gli apparve a Gerusalemme quando egli aveva circa dodici anni.
3. Le manifestazioni che accompagnarono il suo battesimo.
4. Le esperienze sul Monte della Trasfigurazione.
5. La risurrezione.
6. L’ascensione in spirito.
7. L’abbraccio finale del Padre del Paradiso, che gli conferiva la sovranità illimitata sul suo Universo.
Un giorno una riforma nella Chiesa cristiana potrà incidere abbastanza a fondo da ricondurre agli insegnamenti religiosi non adulterati di Gesù, l’autore ed il rifinitore della nostra fede. Si può predicare una religione ‘di’ Gesù, ma, necessariamente, si deve vivere la religione di Gesù. Nell’entusiasmo della Pentecoste, Pietro diede avvio senza volerlo ad una nuova religione, la religione del Cristo risorto e glorificato. L’apostolo Paolo trasformò più tardi questo nuovo Vangelo nel Cristianesimo, una religione che incorpora i suoi punti di vista teologici e descrive la sua esperienza personale con il Gesù della strada di Damasco.
Il Vangelo del Regno è fondato sull’esperienza religiosa personale del Gesù di Galilea (fare la volontà del Padre e la fratellanza tra gli uomini); il Cristianesimo è fondato quasi esclusivamente sull’esperienza religiosa personale dell’apostolo Paolo. Quasi tutto il Nuovo Testamento è consacrato non alla descrizione della vita religiosa significativa ed ispirante di Gesù, ma alla disamina dell’esperienza religiosa di Paolo e alla descrizione delle sue convinzioni religiose personali. Anche Pietro, nei suoi scritti, solo una volta è tornato sulla vita religiosa personale del suo Maestro. Il Nuovo Testamento è un superbo documento cristiano, ma riflette scarsamente la religione di Gesù.
La vita di Gesù nella carne descrive una crescita religiosa trascendente dalle idee iniziali di primitivo timore reverenziale e di rispetto umano, passando per gli anni di comunione spirituale personale, sino ad arrivare infine a quello status avanzato ed esaltato della coscienza della sua unità con il Padre. E così, in una sola breve vita, Gesù passò per quell’esperienza di progressione spirituale religiosa che l’uomo comune inizia sulla terra e completa generalmente solo alla conclusione del suo lungo soggiorno nelle sfere celesti di formazione spirituale dei livelli successivi dell’incarico pre-paradisiaco.
Gesù progredì da una coscienza puramente umana delle certezze della fede di un’esperienza religiosa personale, fino alle altezze spirituali sublimi della realizzazione positiva della sua natura divina e fino alla coscienza della sua stretta associazione con il Padre Universale nell’amministrazione dell’ Universo. Egli progredì dall’umile status di dipendenza mortale, che lo indusse a dire spontaneamente a colui che l’aveva chiamato Buon Maestro, “Perché mi chiami buono? Nessuno è buono se non Dio”, fino a quella sublime coscienza del raggiungimento della divinità che lo portò ad esclamare: “Chi di voi mi convince di peccato?” E questa ascesa progressiva dall’umano al divino fu un compimento esclusivamente mortale. E quando egli ebbe raggiunto così la divinità, era ancora lo stesso Gesù umano, il Figlio dell’Uomo così come il Figlio di Dio.
Marco, Matteo e Luca conservano qualcosa del ritratto del Gesù umano, quale s’impegnò nella superba lotta per conoscere la volontà divina e per compiere quella volontà. Giovanni presenta un ritratto del Gesù trionfante, quale egli fu sulla terra nella piena coscienza della sua divinità. Il grande errore commesso da coloro che hanno studiato la vita del Maestro è che alcuni l’hanno concepito come interamente umano, mentre altri l’hanno immaginato come soltanto divino. Durante tutta la sua esperienza egli fu veramente sia umano che divino, come egli è ancora.
Il più grande valore della vita del Gesù umano, realmente umano, risiede nel fatto che mediante il valore della sua fede religiosa personale e l’eroismo del suo Spirito interiore, ascese dai livelli più bassi dell’umanità per divenire uno con la divinità, divenendo così la via nuova e vivente per la quale tutti i mortali possono ascendere allo stesso modo dall’umanità alla divinità. In tutti gli stadi di spiritualità i mortali possono trovare nella vita personale di Gesù ciò che li fortificherà e li ispirerà mentre progrediscono dai livelli spirituali più bassi ai valori divini più elevati, dall’inizio sino alla fine di tutta l’esperienza religiosa personale.
All’epoca in cui fu scritto il Nuovo Testamento, gli autori non solo credevano molto profondamente nella divinità del Cristo risorto, ma credevano anche devotamente e sinceramente nel suo ritorno immediato sulla terra per completare il regno dei cieli. Questa fede solida nel ritorno immediato del Signore contribuì molto alla tendenza di omettere negli scritti quei riferimenti che descrivevano le esperienze e gli attributi puramente umani del Maestro. L’intero movimento cristiano tese ad allontanarsi dal ritratto umano di Gesù di Nazaret per orientarsi verso l’esaltazione del Cristo risorto, il Signore Gesù Cristo glorificato che sarebbe presto tornato.
Gesù fondò la religione dell’esperienza personale facendo la volontà di Dio e servendo la fratellanza umana; Paolo fondò una religione in cui il Gesù glorificato diveniva l’oggetto di adorazione e la fratellanza era costituita dai credenti nel Cristo divino. Nel conferimento di Gesù questi due concetti erano potenziali nella sua vita divina-umana, ed è veramente un peccato che i suoi proseliti non siano riusciti a creare una religione unificata che avesse dato un riconoscimento appropriato sia alla natura umana che alla natura divina del Maestro, quali erano inseparabilmente legate nella sua vita terrena e così gloriosamente espresse nel Vangelo originale del regno.
No si sarebbe né sorpresi né turbati da nessuna delle forti dichiarazioni di Gesù se soltanto si ricordasse che egli era l’uomo religioso più sincero e devoto del mondo. Egli era un mortale interamente consacrato, dedito senza riserve a fare la volontà di suo Padre. Molte delle sue affermazioni apparentemente dure erano più una professione personale di fede e un pegno di devozione che dei comandi ai suoi discepoli. E furono queste stesse unità di proposito e devozione disinteressata che gli consentirono di compiere in una sola breve vita tali progressi straordinari nella conquista della mente umana. Molte delle sue dichiarazioni dovrebbero essere considerate come una confessione di ciò che egli esigeva da se stesso piuttosto di ciò che richiedeva da tutti i suoi discepoli. Nella sua devozione alla causa del regno Gesù bruciò tutti i ponti dietro di lui; sacrificò tutto ciò che gli impediva di fare la volontà di suo Padre.
Gesù benediceva i poveri perché erano solitamente sinceri e devoti; condannava i ricchi perché erano solitamente licenziosi ed irreligiosi. Egli condannava egualmente il povero irreligioso e lodava il ricco consacrato e devoto.
Gesù portò gli uomini a sentirsi a casa loro nel mondo; li liberò dalla schiavitù dei tabù ed insegnò loro che il mondo non era fondamentalmente cattivo. Egli non anelava a fuggire dalla sua vita terrena; mentre era nella carne s’impadronì di una tecnica per compiere in modo soddisfacente la volontà del Padre. Egli raggiunse una vita religiosa idealistica in mezzo ad un mondo realistico. Il Maestro considerava gli uomini come figli di Dio e prevedeva un futuro eterno e stupendo per coloro che avessero scelto di sopravvivere. Egli non era uno scettico morale; guardava agli uomini positivamente, non negativamente. Egli considerava la maggior parte degli uomini deboli piuttosto che cattivi, più sviati che depravati. Ma qualunque fosse il loro status, essi erano tutti figli di Dio e suoi fratelli.
Egli insegnò agli uomini ad attribuire un alto valore a se stessi nel tempo e nell’eternità. A causa di questa alta stima che Gesù aveva degli uomini, era pronto a porsi al servizio ininterrotto dell’umanità. E fu questo valore infinito del finito che fece della regola d’oro un fattore essenziale della sua religione. Quale mortale può non essere elevato dalla fede straordinaria che Gesù ha in lui?
Gesù non offrì delle regole per il progresso sociale; la sua era una missione religiosa, e la religione è un’esperienza esclusivamente individuale. Lo scopo ultimo del compimento più avanzato della società non può mai sperare di trascendere la fratellanza degli uomini basata sul riconoscimento della paternità di Dio insegnata da Gesù. L’ideale di ogni conseguimento sociale può essere realizzato soltanto dalla venuta di questo regno divino.
L’esperienza religiosa spirituale personale risolve efficacemente la maggior parte delle difficoltà mortali; essa seleziona, valuta ed aggiusta efficacemente tutti i problemi umani. La religione non rimuove né distrugge le difficoltà umane, ma le dissolve, le assorbe, le illumina e le trascende. La vera religione unifica la personalità per un efficace aggiustamento a tutte le necessità mortali. La fede religiosa - la guida positiva della presenza interiore divina - consente infallibilmente all’uomo che conosce Dio di gettare un ponte sull’abisso esistente tra la logica intellettuale che riconosce la Causa Prima Universale come Essa e quelle affermazioni positive dell’anima che dichiarano che questa Causa Prima è Lui, il Padre Celeste del Vangelo di Gesù, il Dio personale della salvezza umana.
Vi sono esattamente tre elementi nella realtà universale: il fatto, l’idea e la relazione. La coscienza religiosa identifica queste realtà come scienza, filosofia e verità. La filosofia sarebbe incline a considerare queste attività come ragione, saggezza e fede - realtà fisica, realtà intellettuale e realtà spirituale. Noi siamo soliti designare queste realtà come cosa, significato e valore.
La comprensione progressiva della realtà equivale ad avvicinarsi a Dio. La scoperta di Dio, la coscienza dell’identità con la realtà, equivale a fare l’esperienza del completamento di sé - dell’interezza di sé, della totalità di sé. Sperimentare la realtà totale è la piena realizzazione di Dio, la finalità dell’esperienza di conoscere Dio.
La somma totale della vita umana è la conoscenza che l’uomo è educato dai fatti, nobilitato dalla saggezza e salvato - giustificato - dalla fede religiosa.
La certezza fisica consiste nella logica della scienza; la certezza morale, nella saggezza della filosofia; la certezza spirituale, nella verità dell’esperienza religiosa autentica.
La mente dell’uomo può raggiungere dei livelli elevati d’intuizione spirituale e sfere corrispondenti di divinità dei valori perché essa non è interamente materiale. C’è un nucleo spirituale nella mente dell’uomo - Lo Spirito della presenza divina. Vi sono tre prove distinte che questo spirito dimora nella mente umana:
1. La comunione umanitaria - l’amore. La mente puramente animale può essere gregaria per proteggersi, ma soltanto l’intelletto abitato dallo spirito è disinteressatamente altruista ed incondizionatamente amorevole.
2. L’interpretazione dell’Universo - la saggezza. Solo la mente abitata dallo spirito può comprendere che l’Universo è benevolo nei confronti dell’individuo.
3. La valutazione spirituale della vita - l’adorazione. Solo l’uomo abitato dallo spirito può realizzare la presenza divina e cercare di raggiungere un’esperienza più completa in questo anticipo di divinità, e con esso.
La mente umana non crea valori reali; l’esperienza umana non produce la percezione dell’Universo. Per ciò che concerne la percezione, il riconoscimento di valori morali e il discernimento di significati spirituali, tutto ciò che la mente umana può fare è scoprire, riconoscere, interpretare e scegliere.
I valori morali dell’Universo divengono acquisizioni intellettuali mediante l’esercizio dei tre giudizi, o scelte, fondamentali della mente mortale:
1. Il giudizio di sé - la scelta morale.
2. Il giudizio sociale - la scelta etica.
3. Il giudizio di Dio - la scelta religiosa.
In tal modo risulta che ogni progresso umano avviene mediante una tecnica congiunta di evoluzione-rivelazione; più si fa la volontà del Padre, e più si ama; più si ama, e più si accede alla sua Sapienza.
Se un amante divino non vivesse nell’uomo, questi non potrebbe amare disinteressatamente e spiritualmente. Se un interprete non vivesse nella sua mente, l’uomo non potrebbe realizzare veramente l’unità dell’Universo. Se un valutatore non dimorasse nell’uomo, non gli sarebbe possibile apprezzare i valori morali e riconoscere i significati spirituali. E questo amante viene dalla fonte stessa dell’amore infinito; questo interprete è parte dell’Unità Universale; questo valutatore è il figlio della Sorgente e Centro di tutti i valori assoluti della realtà divina ed eterna.
La valutazione morale con un significato religioso - l’intuizione spirituale - implica la scelta dell’individuo tra il bene ed il male, tra la verità e l’errore, tra il materiale e lo spirituale, tra l’umano e il divino, tra il tempo e l’eternità. La sopravvivenza umana dipende in gran parte dalla consacrazione della volontà umana a scegliere quei valori vagliati da questo selezionatore dei valori spirituali - l’interprete e l’unificatore interiore. L’esperienza religiosa personale consiste in due fasi: la scoperta nella mente umana e la rivelazione da parte dello spirito divino interiore. Per eccessiva sofisticheria o a seguito della condotta irreligiosa di persone che si professano religiose, un uomo, od anche una generazione di uomini, possono scegliere di sospendere i loro sforzi per scoprire il Dio che dimora in loro; possono cessare di progredire nella rivelazione divina e di raggiungerla. Ma tali atteggiamenti di non progressione spirituale non possono persistere a lungo a causa della presenza e dell’influenza dei Conciliatori di Pensiero interiori (l’iniziale frammento di Dio).
Questa profonda esperienza della realtà della presenza divina interiore trascende per sempre la rozza tecnica materialistica delle scienze fisiche. Non si può mettere la gioia spirituale sotto un microscopio; non si può pesare l’amore su una bilancia; non si possono misurare i valori morali; né si può stimare la qualità dell’adorazione spirituale.
Gli Ebrei avevano una religione di sublimità morale; i Greci svilupparono una religione di bellezza; Paolo ed i suoi confratelli fondarono una religione di fede, di speranza e di carità. Gesù rivelò ed esemplificò una religione d’amore: la sicurezza nell’amore del Padre, con la gioia e la soddisfazione risultanti dal condividere questo amore nel servizio della fratellanza umana.
Ogni volta che un uomo fa una scelta morale meditata, fa immediatamente l’esperienza di una nuova invasione divina della sua anima. La scelta morale costituisce la religione come motivo di risposta interiore alle condizioni esteriori. Ma una tale vera religione non è un’esperienza puramente soggettiva. Essa significa che l’insieme della soggettività dell’individuo è impegnato in una risposta significativa ed intelligente all’obiettività totale - all’Universo e al suo Autore.
L’esperienza squisita e trascendente di amare e di essere amati non è soltanto un’illusione psichica perché è così puramente soggettiva. La sola realtà veramente divina e realmente oggettiva che è associata agli esseri mortali, Lo Spirito di Pensiero, funziona all’osservazione umana apparentemente come un fenomeno esclusivamente soggettivo. Il contatto dell’uomo con la realtà oggettiva più elevata, Dio, avviene soltanto attraverso l’esperienza puramente soggettiva di conoscerlo, di adorarlo e di realizzare la filiazione con lui.
La vera adorazione religiosa non è un monologo futile di autoillusione. L’adorazione è una comunione personale con ciò che è divinamente reale, con ciò che è la fonte stessa della realtà. Per mezzo dell’adorazione l’uomo aspira ad essere migliore e a raggiungere così alla fine il meglio.
L’idealizzazione della verità, della bellezza e della bontà, ed il tentativo di servirle, non è un sostituto dell’esperienza religiosa autentica - la realtà spirituale. La psicologia e l’idealismo non sono l’equivalente della realtà religiosa. Le proiezioni dell’intelletto umano possono in verità originare dei falsi dei - degli dei ad immagine dell’uomo - ma la vera coscienza di Dio non ha una tale origine. La coscienza di Dio risiede nello spirito interiore. Molti dei sistemi religiosi dell’uomo provengono dalle formulazioni dell’intelletto umano, ma la coscienza di Dio non è necessariamente una parte di questi grotteschi sistemi di schiavitù religiosa.
Dio non è la semplice invenzione dell’idealismo dell’uomo; egli è la fonte stessa di tutti questi valori e percezioni super-animali. Dio non è un’ipotesi formulata per unificare i concetti umani della verità, della bellezza e della bontà; egli è la personalità d’amore da cui derivano tutte queste manifestazioni dell’Universo. La verità, la bellezza e la bontà del mondo degli uomini sono unificate dalla spiritualità crescente dell’esperienza dei mortali che si elevano verso le realtà del Paradiso.
La bontà, il desiderio di aiutare chi ha bisogno, la gioia che ne deriva; non sono attributi o caratteristiche ‘animali’. La legge animale della sopravvivenza anzi spingerebbe al comportamento contrario: alla soppressione del più debole, all’affermazione del più forte, alla supremazia della propria progenie. Ma questo desiderio di bontà, questa unità della verità e della bellezza non possono che essere realizzate soltanto nell’esperienza realmente spirituale della personalità che conosce Dio ed è da lui conosciuta.
La moralità è il terreno essenziale preesistente della coscienza personale di Dio, della realizzazione personale della presenza interiore del Spirito , ma tale moralità non è la fonte dell’esperienza religiosa e l’intuizione spirituale che ne risulta. La natura morale è super-animale, ma sub-spirituale. La moralità equivale al riconoscimento del dovere, alla realizzazione dell’esistenza del bene e del male. La zona morale s’interpone tra il tipo di mente animale e quello umano, come la fase semi-spirituale funziona tra la sfera materiale e quella spirituale di compimento della personalità.
La mente evoluzionaria è capace di scoprire la legge, la morale e l’etica; ma lo spirito conferito, lo Spirito interiore, rivela alla mente umana in evoluzione il legislatore, il Padre-sorgente di tutto ciò che è vero, bello e buono; ed un tale uomo illuminato ha una religione ed è spiritualmente dotato per iniziare la lunga ed avventurosa ricerca di Dio.
La moralità non è necessariamente spirituale; essa può essere interamente e puramente umana, benché la vera religione elevi tutti i valori morali e li renda più significativi. La moralità senza religione non riesce a rivelare la bontà ultima, né riesce ad assicurare la sopravvivenza nemmeno ai propri valori morali. La religione favorisce l’elevazione, la glorificazione, ed assicura la sopravvivenza di tutto ciò che la moralità riconosce ed approva.
La religione sta sopra alla scienza, all’arte, alla filosofia, all’etica e alla morale, ma non è indipendente da esse. Esse sono tutte indissolubilmente interrelate nell’esperienza umana, personale e sociale. La religione è l’esperienza suprema dell’uomo nella sua natura mortale, ma il linguaggio finito rende per sempre impossibile alla teologia descrivere in maniera adeguata la vera esperienza religiosa.
La percezione religiosa possiede il potere di trasformare una sconfitta in desideri superiori ed in nuove determinazioni. L’amore è la motivazione più elevata che l’uomo possa utilizzare nella sua ascensione nell’Universo. Ma l’amore, quando è spogliato della verità, della bellezza e della bontà, è soltanto un sentimento, una deformazione filosofica, un’illusione psichica e un inganno spirituale. L’amore deve sempre essere ridefinito su livelli successivi di progressione semi-spirituale e spirituale.
L’arte ha origine dal tentativo dell’uomo di sfuggire alla mancanza di bellezza nel suo ambiente materiale; è un gesto verso il livello semi-spirituale. La scienza è lo sforzo dell’uomo per risolvere gli enigmi apparenti dell’Universo materiale. La filosofia è il tentativo dell’uomo di unificare l’esperienza umana. La religione è il gesto supremo dell’uomo, la sua magnifica tensione verso la realtà finale, la sua determinazione a trovare Dio e ad essere simile a lui.
Nel regno dell’esperienza religiosa, la possibilità spirituale è una realtà potenziale. La spinta in avanti spirituale dell’uomo non è un’illusione psichica. Tutto il favoleggiare dell’uomo sull’Universo può non corrispondere a dei fatti, ma molto, moltissimo, è verità.
La vita di alcuni uomini è troppo grande e nobile per abbassarsi al livello di una semplice riuscita casuale. L’animale deve adattarsi all’ambiente, ma l’uomo religioso trascende il suo ambiente ed in questo modo sfugge ai limiti del mondo materiale presente per mezzo di questa percezione dell’amore divino. Questo concetto dell’amore ingenera nell’anima dell’uomo quello sforzo super-animale per trovare la verità, la bellezza e la bontà; e quando le trova, egli è glorificato nel loro abbraccio; è consumato dal desiderio di viverle, di agire rettamente.
L’evoluzione umana sta ancora progredendo e la rivelazione di Dio al mondo, in Gesù e per mezzo di Gesù, non mancherà.
La grande sfida per l’uomo moderno è di giungere ad una comunicazione migliore con Lo Spirito divino che dimora nella mente umana. La più grande avventura dell’uomo nella carne consiste nello sforzo ben equilibrato e sensato di avanzare oltre i confini dell’autocoscienza attraverso i regni indistinti della coscienza embrionale dell’anima, in uno sforzo sincero di raggiungere la zona di confine della coscienza dello spirito - il contatto con la presenza divina. Una tale esperienza costituisce la coscienza di Dio, un’esperienza che conferma potentemente la verità preesistente dell’esperienza religiosa di conoscere Dio. Questa coscienza dello spirito equivale alla coscienza della realtà della filiazione con Dio. Altrimenti, l’assicurazione della filiazione è l’esperienza della fede.
E la coscienza di Dio equivale all’integrazione del sé con l’Universo e sui suoi livelli più elevati della realtà spirituale. Solo il contenuto spirituale di un valore qualunque è imperituro. Anche ciò che è vero, bello e buono può non perire nell’esperienza umana. Se l’uomo non sceglie di sopravvivere, allora Lo Spirito sopravvivente conserva quelle realtà nate dell’amore e nutrite nel servizio.
E tutte queste cose sono parte del Padre Universale. Il Padre è amore vivente, e questa vita del Padre è nei suoi Figli. E lo spirito del Padre è nei figli dei suoi Figli - negli uomini mortali. Quando tutto è detto e fatto, l’idea di Padre è ancora il concetto umano più elevato di Dio.
I RISULTATI della predicazione di Pietro nel giorno di Pentecoste furono tali da decidere la politica futura, e da determinare i piani, della maggior parte degli apostoli nei loro sforzi per proclamare il Vangelo del Regno. Pietro fu il vero fondatore della Chiesa cristiana; Paolo portò il messaggio cristiano ai Gentili, e i credenti greci lo portarono in tutto l’Impero Romano.
Anche se gli Ebrei legati alla tradizione e dominati dai sacerdoti, rifiutarono come popolo di accettare sia il Vangelo di Gesù sulla paternità di Dio e sulla fratellanza degli uomini che la proclamazione di Pietro e di Paolo sulla risurrezione e l’ascensione di Cristo (il Cristianesimo successivo), il resto dell’Impero Romano fu incline ad accogliere gli insegnamenti cristiani in evoluzione. La civiltà occidentale in quest’epoca era intellettuale, stanca di guerre e completamente scettica su tutte le religioni esistenti e le filosofie universali. I popoli del mondo occidentale, beneficiari della cultura greca, avevano una tradizione riverita di un grande passato. Essi potevano contemplare l’eredità di grandi realizzazioni nella filosofia, nell’arte, nella letteratura e nel progresso politico. Ma con tutti questi conseguimenti essi non avevano una religione che soddisfacesse l’anima. I loro profondi desideri spirituali rimanevano insoddisfatti.
Su un tale quadro della società umana, gli insegnamenti di Gesù contenuti nel messaggio cristiano furono proiettati all’improvviso. Un nuovo ordine di vita fu così presentato al cuore affamato di questi popoli occidentali. Questa situazione significava un conflitto immediato tra le pratiche religiose più vecchie e la nuova versione cristianizzata del messaggio di Gesù al mondo. Un tale conflitto doveva terminare o con una netta vittoria per il nuovo o per il vecchio, o con una qualche sorta di compromesso. La storia mostra che la lotta terminò in un compromesso. Il Cristianesimo ebbe la presunzione di abbracciare un programma troppo vasto perché un qualunque popolo lo assimilasse nello spazio di una o due generazioni. Esso non era un semplice appello spirituale, quale Gesù aveva presentato all’anima degli uomini; ben presto esso assunse un atteggiamento deciso su rituali religiosi, educazione, magia, medicina, arte, letteratura, legge, governo, morale, regolamentazione sessuale, poligamia e, in misura limitata, anche sulla schiavitù. Il Cristianesimo non emerse semplicemente come una nuova religione - come qualcosa che tutto l’Impero Romano e tutto l’Oriente stavano aspettando - ma come un nuovo ordine di società umana. E con tale pretesa esso precipitò rapidamente lo scontro socio-morale delle ere. Gli ideali di Gesù, quali furono reinterpretati dalla filosofia greca e socializzati nel Cristianesimo, sfidavano ora audacemente le tradizioni della razza umana incorporate nell’etica, nella moralità e nelle religioni della civiltà occidentale.
In principio il Cristianesimo fece delle conversioni soltanto negli strati sociali ed economici più bassi. Ma con l’inizio del secondo secolo l’élite della cultura greco-romana si orientò sempre di più verso questo nuovo ordine di credenza cristiana, verso questo nuovo concetto della ragione del vivere e dello scopo dell’esistenza.
Come fece questo nuovo messaggio di origine ebraica, che era quasi fallito nel suo paese natale, a conquistare così rapidamente ed efficacemente le menti migliori dell’Impero Romano? Il trionfo del Cristianesimo sulle religioni filosofiche e sui culti dei misteri fu dovuto ai seguenti fattori:
1. L’organizzazione. Paolo era un grande organizzatore ed i suoi successori furono alla sua altezza.
2. Il Cristianesimo era completamente ellenizzato. Esso inglobava il meglio della filosofia greca come pure la crema della teologia ebraica.
3. Ma, più di tutto, esso conteneva un nuovo e grande ideale, l’eco della vita di conferimento di Gesù e il riflesso del suo messaggio di salvezza per tutta l’umanità.
4. I dirigenti cristiani erano disposti a fare dei compromessi tali con il Mitraismo che la metà migliore dei suoi aderenti furono conquistati al culto di Antiochia.
5. Similmente la generazione successiva, e quelle che seguirono, di dirigenti cristiani fecero tali ulteriori compromessi con il paganesimo che lo stesso imperatore romano Costantino fu conquistato alla nuova religione.
Ma i cristiani fecero un patto accorto con i pagani, nel senso che adottarono l’apparato ritualistico pagano mentre costrinsero i pagani ad accettare la versione ellenizzata del Cristianesimo paolino. Essi fecero un patto migliore con i pagani che con il culto mitraico, ma anche in quel primo compromesso uscirono più che vincitori, nel senso che riuscirono ad eliminare le grossolane immoralità ed anche numerose altre pratiche riprovevoli dei misteri persiani.
A torto o a ragione questi primi dirigenti del Cristianesimo accettarono deliberatamente di venire ad un compromesso sugli ideali di Gesù nello sforzo di salvare e di propagare molte delle sue idee. Ed essi riportarono grandi successi. Ma non ingannatevi! Questi ideali del Maestro oggetto di compromesso sono ancora latenti nel suo Vangelo ed affermeranno alla fine il loro pieno potere sul mondo.
Con questa paganizzazione del Cristianesimo il vecchio ordine di cose conquistò molte vittorie minori di natura ritualistica, ma i cristiani ebbero la meglio nel senso che:
1. Fu suonata una nota nuova ed enormemente più elevata nella morale umana.
2. Fu dato al mondo un concetto di Dio nuovo e considerevolmente ampliato.
3. La speranza dell’immortalità divenne parte dell’assicurazione di una religione riconosciuta.
4. Gesù di Nazaret fu offerto all’anima affamata dell’uomo.
Molte delle grandi verità insegnate da Gesù furono quasi perdute in questi primi compromessi, ma esse dormono ancora in questa religione del Cristianesimo paganizzato, che era a sua volta la versione paolina della vita e degli insegnamenti del Figlio dell’Uomo. E il Cristianesimo, prima ancora di essere paganizzato, fu completamente ellenizzato. Il Cristianesimo deve molto, moltissimo ai Greci. Fu un Greco d’Egitto che si fece avanti così coraggiosamente a Nicea e sfidò questa assemblea con tale intrepidezza che essa non osò offuscare il concetto della natura di Gesù al punto che la verità stessa del suo conferimento corresse il pericolo di essere persa per il mondo. Il nome di questo greco era Attanasio, e senza l’eloquenza e la logica di questo credente, le persuasioni di Ario avrebbero trionfato.
Quando Gesù fu arrestato così improvvisamente dai suoi nemici e così rapidamente crocifisso tra due ladri, i suoi apostoli e i suoi discepoli furono completamente annientati. Il pensiero del Maestro arrestato, legato, flagellato e crocifisso era insopportabile anche per gli apostoli. Essi dimenticarono i suoi insegnamenti ed i suoi avvertimenti. Egli poteva, in verità, essere stato “un potente profeta in fatti e in parole davanti a Dio e a tutto il popolo”, ma non poteva essere il Messia che essi avevano sperato restaurasse il regno d’Israele.
Poi venne la risurrezione, con la sua liberazione dalla disperazione ed il ritorno della loro fede nella divinità del Maestro. A più riprese essi lo vedono e parlano con lui, ed egli li conduce sull’Oliveto, dove dà loro il suo saluto di addio e dice loro che sta tornando dal Padre. Egli disse loro di restare a Gerusalemme fino a quando fossero stati dotati di potere - fino a quando fosse venuto lo Spirito della Verità. E nel giorno di Pentecoste questo nuovo maestro arriva, ed essi escono immediatamente a predicare il loro Vangelo con nuova potenza. Sono gli arditi e coraggiosi seguaci di un Signore vivente, non di un capo morto e sconfitto. Il Maestro vive nel cuore di questi evangelisti; Dio non è una dottrina nella loro mente; egli è divenuto una presenza vivente nella loro anima.
“Giorno dopo giorno essi perseveravano risolutamente e di comune accordo nel tempio e spezzavano il pane in casa. Essi prendevano il loro cibo con gioia e unità di cuore, lodando Dio ed avendo il favore di tutto il popolo. Essi erano tutti ripieni dello spirito e proclamavano la parola di Dio con audacia. E le moltitudini di coloro che credevano erano un solo cuore e una sola anima; e nessuno di loro diceva che i beni che possedeva gli appartenevano, ed essi avevano tutte le cose in comune.”
Che cosa è accaduto a questi uomini che Gesù aveva ordinato per andare a predicare il Vangelo del Regno, la paternità di Dio e la fratellanza degli uomini? Essi hanno un nuovo Vangelo; ardono di una nuova esperienza; sono pieni di una nuova energia spirituale. Il loro messaggio si è improvvisamente spostato sulla proclamazione del Cristo risorto: “Gesù di Nazaret, un uomo che Dio approvò con opere e prodigi potenti; colui che, essendo stato consegnato conformemente al consiglio determinato e alla precognizione di Dio, è stato crocifisso e ucciso. Le cose che Dio aveva preannunciato per bocca di tutti i profeti, egli le ha compiute. Questo Gesù, Dio l’ha risuscitato. Dio l’ha fatto Signore e Cristo. Essendo stato elevato alla destra di Dio ed avendo ricevuto dal Padre la promessa dello spirito, egli ha sparso ciò che vedete e udite. Pentitevi, affinché i vostri peccati possano essere cancellati; affinché il Padre possa mandare il Cristo, che è stato designato per voi, Gesù stesso, che i cieli devono accogliere fino al giorno del ristabilimento di tutte le cose.”
Il Vangelo del Regno, il messaggio di Gesù, era stato improvvisamente cambiato nel Vangelo del Signore Gesù Cristo. Essi proclamavano ora i fatti della sua vita, della sua morte e della sua risurrezione, e predicavano la speranza del suo sollecito ritorno in questo mondo per terminare l’opera che aveva cominciato. Così il messaggio dei primi credenti concerneva la predicazione sui fatti della sua prima venuta e l’insegnamento della speranza della sua seconda venuta, un avvenimento che essi ritenevano molto vicino.
Gesù stava per divenire il vero credo della Chiesa in rapida formazione. Gesù vive; egli è morto per gli uomini; ha donato lo spirito; egli sta per tornare. Gesù occupò tutti i loro pensieri e determinò tutti i loro nuovi concetti di Dio e di ogni altra cosa. Essi erano troppo entusiasti della nuova dottrina in cui “Dio è il Padre del Signore Gesù” per occuparsi del vero messaggio in cui “Dio è il Padre amorevole di tutti gli uomini”, ed anche di ogni singolo individuo.
Indubbiamente una nuova comunità stava nascendo nel mondo. “La moltitudine che credeva fermamente nell’insegnamento e nella comunione degli apostoli, rompendo il pane e pregando.” Essi si chiamavano l’un l’altro fratello e sorella; si salutavano l’un l’altro con un bacio santo; assistevano i poveri. Era una comunità di vita come pure di adorazione. Essi non vivevano in comunità per decreto, ma per il desiderio di spartire i loro beni con i loro compagni credenti. Essi aspettavano con fiducia che Gesù tornasse per completare l’instaurazione del regno del Padre durante la loro generazione. Questa spartizione spontanea dei beni terreni non era una caratteristica diretta dell’insegnamento di Gesù; essa si verificò perché questi uomini e queste donne credevano così sinceramente e fiduciosamente che egli sarebbe tornato da un momento all’altro per completare la sua opera e per instaurare il regno.
Ma i risultati finali di questa credenza causarono inizialmente dei dispiaceri. Migliaia di credenti sinceri vendettero le loro proprietà e distribuirono tutti i loro capitali ed altri beni produttivi. Con il passare del tempo le decrescenti risorse della cristiana “equa spartizione” finirono per esaurirsi. Molto presto i credenti di Antiochia fecero una colletta per impedire ai loro compagni credenti di Gerusalemme di morire di fame.
In quest’epoca essi celebravano la Cena del Signore nella maniera in cui era stata istituita; cioè si riunivano per un pasto sociale al fine di stare in compagnia e condividere il sacramento alla fine del pasto. All’inizio essi battezzavano nel nome di Gesù; fu circa venti anni dopo che cominciarono a battezzare “nel nome del Padre, del Figlio e dello Spirito Santo”. Il battesimo era tutto ciò che era richiesto per l’ammissione alla comunità dei credenti. Essi non avevano ancora alcuna organizzazione; era semplicemente la comunità di Gesù.
Questa comunità di Gesù stava crescendo rapidamente, e ancora una volta i Sadducei s’interessarono a loro. I Farisei erano poco risentiti dalla situazione, vedendo che nessuno degli insegnamenti interferiva minimamente con l’osservanza delle leggi ebraiche. Ma i Sadducei cominciarono a mettere in prigione i dirigenti della comunità di Gesù, fino a che essi furono indotti ad accettare il consiglio di uno dei principali rabbini, Gamaliele, che ordinò loro: “Astenetevi dal toccare questi uomini e lasciateli tranquilli, perché se questo disegno o questo lavoro è degli uomini sarà ridotto al niente; ma se è di Dio non riuscirete a distruggerli, e forse vi troverete anche a lottare contro Dio.” Essi decisero di seguire il consiglio di Gamaliele, e ne seguì un periodo di pace e di tranquillità a Gerusalemme, durante il quale il nuovo Vangelo su Gesù si diffuse rapidamente.
E così tutto proseguì bene a Gerusalemme fino al momento in cui dei Greci vennero in gran numero da Alessandria. Due allievi di Rodano arrivarono a Gerusalemme e fecero molte conversioni tra gli Ellenisti. Tra i loro primi convertiti c’erano Stefano e Barnaba. Questi abili Greci non condividevano molto il punto di vista ebreo, e non si conformavano adeguatamente al sistema di adorazione ebraico e ad altre pratiche cerimoniali. E furono gli atti di questi credenti greci che misero fine ai rapporti pacifici tra la confraternita di Gesù, i Farisei e i Sadducei. Stefano e il suo compagno greco cominciarono a predicare più conformemente all’insegnamento di Gesù, e ciò li portò ad un immediato conflitto con i dirigenti ebrei. Durante uno dei sermoni pubblici di Stefano, quando egli giunse alla parte del discorso giudicata deplorevole, essi si ritennero dispensati da ogni formalità giuridica e lo lapidarono a morte sul posto.
Stefano, il capo della colonia greca dei credenti in Gesù a Gerusalemme, divenne così il primo martire della nuova fede e la causa specifica dell’organizzazione ufficiale della Chiesa cristiana primitiva. Questa nuova crisi indusse i credenti a constatare che non potevano più continuare come una comunità interna alla fede ebraica. Essi convennero che bisognava separarsi dai non credenti; e in capo ad un mese dalla morte di Stefano la Chiesa di Gerusalemme era stata organizzata sotto la direzione di Pietro, e Giacomo, il fratello di Gesù, ne era stato nominato capo titolare.
Ed allora scoppiarono le nuove ed implacabili persecuzioni da parte degli Ebrei, cosicché gli insegnanti attivi della nuova religione su Gesù, che successivamente ad Antiochia fu chiamata Cristianesimo, si dispersero sino ai confini dell’impero proclamando Gesù. Nella diffusione di questo messaggio, prima dell’epoca di Paolo, la direzione fu in mano ai Greci; e questi primi missionari, così come i successivi, seguirono l’itinerario della marcia di Alessandro di un tempo, andando per la via di Gaza e Tiro ad Antiochia e poi per l’Asia Minore in Macedonia, poi a Roma e nelle parti più lontane dell’impero.