NELLA tarda serata di lunedì 6 marzo, Gesù e i dieci apostoli arrivarono al campo di Pella. Questa fu l’ultima settimana di soggiorno di Gesù là, ed egli fu molto attivo nell’insegnare alla moltitudine e nell’istruire gli apostoli. Egli predicava ogni pomeriggio alla folla e rispondeva ogni sera alle domande degli apostoli e di alcuni dei discepoli più avanzati residenti nel campo.
La notizia della risurrezione di Lazzaro era giunta all’accampamento due giorni prima dell’arrivo del Maestro e tutta l’assemblea era eccitata. Dalla nutrizione dei cinquemila non era accaduto nulla che avesse così scosso l’immaginazione della gente. E fu dunque al culmine della seconda fase del ministero pubblico del regno che Gesù decise d’insegnare in questa sola breve settimana a Pella, e poi di cominciare il giro della Perea meridionale che portava direttamente alle esperienze finali e tragiche dell’ultima settimana a Gerusalemme.
I Farisei e i capi dei sacerdoti avevano cominciato a formulare le loro imputazioni e a definire le loro accuse. Essi contestavano gli insegnamenti del Maestro su questi punti:
1. Egli è amico dei Pubblicani e dei peccatori; riceve gli empi e persino mangia con loro.
2. È un bestemmiatore; parla di Dio come fosse suo Padre e si reputa uguale a Dio.
3. È un violatore della legge. Guarisce le malattie di sabato e disprezza in molte altre maniere la legge sacra d’Israele.
4. È in lega con i demoni. Opera prodigi e compie presunti miracoli con il potere di Belzebù, il principe dei demoni.
Giovedì pomeriggio Gesù parlò alla moltitudine sulla “Grazia della salvezza”. Nel corso di questo discorso egli raccontò di nuovo la storia della pecora smarrita e della dracma perduta e poi aggiunse la sua parabola favorita del figliol prodigo. Disse Gesù:
“Voi siete stati esortati dai profeti, da Samuele a Giovanni, a cercare Dio - a cercare la verità. Essi hanno sempre detto: ‘Cercate il Signore finché può essere trovato.’ E tutto questo insegnamento dovrebbe essere preso a cuore. Ma io sono venuto a mostrarvi che, mentre voi state cercando di trovare Dio, Dio sta similmente cercando di trovare voi. Vi ho raccontato molte volte la storia del buon pastore che abbandonò le novantanove pecore nell’ovile per andare alla ricerca di quella che si era perduta, e di come, quando ebbe trovato la pecora smarrita, la caricò sulle spalle e la riportò teneramente all’ovile. E quando la pecora smarrita fu riportata nell’ovile, vi ricordate che il buon pastore chiamò i suoi amici e li invitò a rallegrarsi con lui per aver trovato la pecora che era stata perduta. Io vi dico di nuovo che c’è più gioia in cielo per un peccatore che si pente che per novantanove giusti che non hanno bisogno di pentimento. Il fatto che delle anime siano perdute non fa che accrescere il desiderio del Padre Celeste. Io sono venuto in questo mondo per eseguire gli ordini di mio Padre, ed è stato detto giustamente del Figlio dell’Uomo che è un amico dei Pubblicani e dei peccatori.
“Vi è stato insegnato che l’accettazione divina avviene dopo il vostro pentimento e come risultato di tutte le vostre opere di sacrificio e di penitenza, ma io vi assicuro che il Padre vi accetta anche prima che vi siate pentiti e manda il Figlio ed i suoi collaboratori a trovarvi per ricondurvi con gioia all’ovile, al regno della filiazione e del progresso spirituali. Voi assomigliate tutti a delle pecore che si sono smarrite, ed io sono venuto a cercare e a salvare coloro che si sono perduti.
“E voi dovreste ricordarvi anche la storia della donna che, avendo avuto dieci monete d’argento infilate in una collana d’ornamento, perse una moneta, e di come lei accese la lampada e spazzò diligentemente la casa e proseguì la ricerca fino a che trovò la moneta d’argento perduta. E appena ebbe trovato la moneta che era perduta, riunì i suoi amici e i vicini dicendo: ‘Rallegratevi con me perché ho trovato la moneta che era perduta.’ Ripeto quindi che c’è sempre gioia nella presenza degli angeli del cielo per un peccatore che si pente e che ritorna all’ovile del Padre. Vi racconto questa storia per imprimere in voi che il Padre ed il Figlio vanno alla ricerca di coloro che sono perduti, ed in questa ricerca noi impieghiamo tutte le influenze suscettibili di aiutarci nei nostri sforzi diligenti per trovare coloro che sono perduti, coloro che hanno bisogno di essere salvati. E così, mentre il Figlio dell’Uomo va nei luoghi selvaggi a cercare la pecora smarrita, cerca anche la moneta che è perduta nella casa. La pecora si smarrisce involontariamente; la moneta è coperta dalla polvere del tempo ed oscurata dall’accumulo delle cose umane.
“Ed ora vorrei raccontarvi la storia di un figlio insensato di un ricco fattore che lasciò deliberatamente la casa di suo padre e se ne andò in un paese straniero, dove patì molte tribolazioni. Voi vi ricordate che la pecora si smarrì senza intenzione, ma questo giovane lasciò la sua casa con premeditazione. Avvenne questo:
“Un uomo aveva due figli; uno, il più giovane, era allegro e spensierato, e cercava sempre di divertirsi e di sottrarsi alle responsabilità, mentre suo fratello maggiore era serio, sobrio, gran lavoratore e pronto ad assumersi le responsabilità. Ora questi due fratelli non andavano d’accordo; essi discutevano e litigavano di continuo. Il ragazzo più giovane era gaio e vivace, ma indolente e inaffidabile. Il figlio maggiore era assiduo e industrioso, ma allo stesso tempo egocentrico, borioso e vanitoso. Il figlio più giovane amava il divertimento e scansava il lavoro; il più vecchio si dedicava al lavoro e si divertiva raramente. Questa associazione divenne così difficile che il più giovane andò da suo padre e disse: ‘Padre, dammi la terza parte dei tuoi beni che mi spetterebbe e permettimi di andare per il mondo in cerca di fortuna.’ Quando il padre udì questa richiesta, sapendo quanto fosse infelice il giovane in casa e con suo fratello maggiore, divise la sua proprietà e diede al giovane la sua parte.
“In capo a poche settimane il giovane riunì tutti i suoi averi a partì per un paese lontano, e non trovando niente di utile da fare che fosse anche piacevole, dilapidò ben presto tutta la sua eredità conducendo una vita dissoluta. E quando ebbe speso tutto, vi fu una prolungata carestia in quel paese, ed egli si trovò in miseria. Così, quando soffrì la fame e la sua indigenza fu grande, egli trovò impiego presso un abitante di quel paese, che lo mandò nei campi a nutrire i porci. Ed il giovane si sarebbe sfamato volentieri con i rifiuti che mangiavano i porci, ma nessuno gli dava niente.
“Un giorno in cui aveva molta fame, egli tornò in sé e disse: ‘Quanti servi salariati di mio padre hanno pane in abbondanza mentre io muoio di fame, nutrendo dei porci qui in un paese straniero! Mi alzerò e tornerò da mio padre, e gli dirò: padre, ho peccato contro il cielo e contro di te. Io non sono più degno di essere chiamato figlio tuo; accettami soltanto come uno dei tuoi servi a salario.’ E quando il giovane ebbe preso questa decisione, si alzò a partì per la casa di suo padre.
“Ora questo padre era molto addolorato per suo figlio; aveva perso l’allegro, benché sconsiderato, ragazzo. Questo padre amava questo figlio e stava sempre all’erta per il suo ritorno, cosicché il giorno in cui questi si avvicinò alla sua casa, sebbene fosse ancora molto lontano, il padre lo vide e, mosso da amorevole compassione, corse fuori per andargli incontro, e salutandolo affettuosamente lo abbracciò e lo baciò. Dopo che si furono incontrati così, il figlio guardò il viso pieno di lacrime di suo padre e disse: ‘Padre, ho peccato contro il cielo e dinanzi a te; io non sono più degno di essere chiamato figlio’ - ma il giovane non ebbe la possibilità di completare la sua confessione perché il padre pazzo di gioia disse ai servi che erano accorsi nel frattempo: ‘Prendete subito la sua veste migliore, quella che ho conservato, e fategliela indossare e ponetegli al dito l’anello di figlio e cercate dei sandali per i suoi piedi.’
“E poi, dopo che il padre felice ebbe condotto il ragazzo stanco e con i piedi doloranti in casa, gridò ai suoi servi: ‘Prendete il vitello grasso e uccidetelo, e mangiamo e facciamo festa, perché questo mio figlio era morto e vive di nuovo; era perduto ed è ritrovato.’ Ed essi si riunirono tutti attorno al padre per gioire con lui della restituzione di suo figlio.
“In questo momento, mentre essi stavano festeggiando, il figlio maggiore ritornò dalla sua giornata di lavoro nei campi, e avvicinandosi alla casa udì la musica e le danze. E quando giunse alla porta posteriore egli chiamò fuori uno dei servi e chiese il significato di tutti questi festeggiamenti. Ed allora il servo disse: ‘Tuo fratello perduto da lungo tempo è ritornato a casa e tuo padre ha ucciso il vitello grasso per festeggiare il ritorno in salvo di suo figlio. Entra anche tu a salutare tuo fratello e ad accoglierlo al ritorno nella casa di tuo padre.’
“Ma quando il fratello maggiore udì ciò, fu così addolorato ed irritato che non volle entrare in casa. Quando suo padre seppe del suo risentimento per il benvenuto dato a suo fratello più giovane, uscì per sollecitarlo. Ma il figlio maggiore non volle cedere alla persuasione di suo padre. Egli rispose a suo padre dicendo: ‘Per tutti questi anni io ti ho servito qui senza mai trasgredire minimamente i tuoi comandi, eppure tu non mi hai mai dato nemmeno un capretto per far festa con i miei amici. Io sono rimasto qui a prendermi cura di te per tutti questi anni, e tu non hai mai festeggiato il mio servizio fedele, ma quando questo tuo figlio ritorna, dopo aver dissipato la tua sostanza con le prostitute, tu ti affretti ad uccidere il vitello grasso e a far festa per lui.’
“Poiché questo padre amava sinceramente entrambi i suoi figli, tentò di ragionare con questo figlio maggiore: ‘Ma, figlio mio, tu sei sempre stato con me e tutto ciò che ho è tuo. Tu avresti potuto avere un capretto in ogni momento se ti fossi fatto degli amici per condividere la tua allegria. Ma è opportuno che tu ora ti unisca a me per essere felice e contento per il ritorno di tuo fratello. Pensa a ciò, figlio mio, tuo fratello era perduto ed è ritrovato; è ritornato vivo da noi!”
Questa fu una delle parabole più commoventi ed efficaci tra tutte quelle che Gesù presentò per imprimere nei suoi ascoltatori la compiacenza del Padre di accogliere tutti coloro che cercano di entrare nel regno dei cieli.
Gesù prediligeva raccontare queste tre storie allo stesso tempo. Egli presentava la storia della pecora perduta per mostrare che, quando gli uomini si allontanano involontariamente dal sentiero della vita, il Padre è conscio di questi figli perduti ed esce con i suoi Figli, i veri pastori del gregge, per cercare la pecora perduta. Egli raccontava poi la storia della moneta perduta nella casa per illustrare quanto sia accurata la ricerca divina di tutti coloro che sono confusi, sconcertati, o accecati spiritualmente in altro modo dalle preoccupazioni materiali e dal cumulo delle cose della vita. E poi intraprendeva a raccontare questa parabola del figlio perduto, dell’accoglimento del prodigo che torna, per mostrare quanto è completa la reintegrazione del figlio perduto nella casa e nel cuore di suo Padre.
Moltissime volte durante i suoi anni d’insegnamento Gesù raccontò e ripeté questa storia del figliol prodigo. Questa parabola e la storia del buon Samaritano erano i suoi modi favoriti d’insegnare l’amore del Padre e la socievolezza degli uomini.
Una sera Simone Zelota, commentando una delle dichiarazioni di Gesù, disse: “Maestro, che cosa volevi intendere oggi quando hai detto che molti figli del mondo sono più accorti nella loro generazione di quanto lo siano i figli del regno, perché essi sono abili a farsi degli amici con il mammona dell’iniquità?” Gesù rispose:
“Alcuni di voi, prima di entrare nel regno, erano molto abili nel trattare con i loro soci in affari. Se voi eravate ingiusti e spesso sleali, eravate tuttavia prudenti e lungimiranti, nel senso che trattavate i vostri affari con la sola preoccupazione del vostro profitto immediato e della vostra sicurezza futura. Similmente voi dovreste ora ordinare la vostra vita nel regno in modo da provvedere alla vostra gioia presente mentre vi assicurate anche il vostro godimento futuro dei tesori accumulati in cielo. Se eravate così diligenti nel fare dei guadagni per voi stessi quando eravate al servizio del vostro essere, perché dovreste mostrare minore diligenza nel conquistare delle anime per il regno, poiché siete ora i servitori della fraternità degli uomini e gli intendenti di Dio?
“Voi potete tutti imparare una lezione dalla storia di un uomo ricco che aveva un intendente accorto ma ingiusto. Questo intendente non solo aveva oppresso i clienti del suo padrone per il suo profitto personale, ma aveva anche completamente dissipato e sperperato i fondi del suo padrone. Quando tutto ciò venne infine alle orecchie del suo padrone, questi convocò l’intendente davanti a lui e chiese il significato di queste dicerie e pretese che gli rendesse immediatamente conto del suo incarico e si preparasse a passare gli affari del suo padrone ad un altro.
“Ora questo infedele intendente cominciò a dire a se stesso: ‘Che cosa farò poiché sto per perdere questo posto d’intendente? Io non ho la forza di zappare; a mendicare mi vergogno. Io so quello che dovrò fare per essere certo, quando sarò destituito da questo incarico d’intendente, di venire bene accolto nelle case di tutti coloro che fanno affari con il mio padrone.’ Ed allora, chiamando ciascuno dei debitori del suo signore, egli disse al primo: ‘Quanto devi al mio padrone?’ Egli rispose: ‘Cento misure d’olio.’ Allora l’intendente disse: ‘Prendi la tua tavoletta di cera, siediti subito e cambialo in cinquanta.’ Poi disse ad un altro debitore: ‘Quanto devi tu?’ Ed egli rispose: ‘Cento misure di frumento.’ Ed allora disse l’intendente: ‘Prendi la tua ricevuta e scrivi ottanta.’ Ed egli fece lo stesso con numerosi altri debitori. E così questo intendente disonesto cercò di farsi degli amici per dopo che sarebbe stato destituito dal suo incarico d’intendente. Anche il suo signore e padrone, quando scoprì successivamente questo fatto, fu costretto ad ammettere che il suo intendente infedele aveva almeno mostrato sagacia nella maniera in cui aveva cercato di premunirsi per i tempi futuri di bisogno e di avversità.
“È in tal modo che i figli di questo mondo mostrano talvolta più saggezza nel preparare il loro futuro rispetto ai figli della luce. Io dico a voi che professate di acquisire un tesoro in cielo: imparate da coloro che si fanno degli amici con il mammona dell’ingiustizia, e conducete similmente la vostra vita in modo da stabilire un’amicizia eterna con le forze della rettitudine affinché, quando tutte le cose terrene verranno a mancare, sarete gioiosamente ricevuti nelle dimore eterne.
“Io affermo che chi è fedele nel poco sarà fedele anche nel molto, mentre colui che è ingiusto nel poco sarà ingiusto anche nel molto. Se voi non avete mostrato previdenza ed integrità negli affari di questo mondo, come potete sperare di essere fedeli e prudenti quando vi sarà affidata l’amministrazione delle vere ricchezze del regno dei cieli? Se non siete buoni amministratori e fedeli banchieri, se non siete stati leali in ciò che appartiene agli altri, chi sarà così pazzo da affidarvi un grande tesoro da gestire?
“Io affermo nuovamente che nessuno può servire due padroni; o odierà l’uno e amerà l’altro, oppure si attaccherà all’uno mentre disdegnerà l’altro. Non si può servire Dio e mammona.”
Quando i Farisei che erano presenti udirono ciò, cominciarono a beffeggiare e a prendere in giro Gesù perché essi erano molto dediti all’acquisizione di ricchezze. Questi ascoltatori ostili cercarono di coinvolgere Gesù in discussioni sterili, ma egli rifiutò di argomentare con i suoi nemici. Quando i Farisei si misero a discutere tra loro, le loro grida attirarono un gran numero di persone accampate nei dintorni; e quando cominciarono a litigare uno con l’altro, Gesù si ritirò, andando nella sua tenda per la notte.
Quando la riunione divenne troppo rumorosa, Simon Pietro, alzandosi, prese il comando dicendo: “Uomini e fratelli, non è decoroso che litighiate in questo modo tra di voi. Il Maestro ha parlato e voi farete bene a meditare le sue parole. Questa che vi ha proclamato non è una nuova dottrina. Non avete anche udito l’allegoria dei Nazirei concernente l’uomo ricco e il mendicante? Alcuni di noi hanno sentito Giovanni il Battista gridare questa parabola di avvertimento a coloro che amano le ricchezze e bramano dei beni disonesti. Ed anche se questa vecchia parabola non è conforme al Vangelo che noi predichiamo, voi fareste tutti bene a prestare attenzione alle sue lezioni fino al momento in cui comprenderete la nuova luce del regno dei cieli. La storia che Giovanni raccontava era come questa:
“C’era un uomo ricco di nome Dives, il quale, vestito di porpora e di lino fine, viveva tutti i giorni in allegria e splendore. E c’era un mendicante di nome Lazzaro, che si metteva sulla porta di questo ricco, coperto di piaghe e desideroso di nutrirsi con le briciole che cadevano dalla tavola dell’uomo ricco; sì, anche i cani venivano a leccare le sue piaghe. Ed avvenne che il mendicante morì e fu portato via dagli angeli per riposare nel seno di Abramo. Poi, subito dopo, anche quest’uomo ricco morì e fu sepolto con grande pompa e sfarzo regale. Dopo che l’uomo ricco partì da questo mondo, si risvegliò nell’Ade, e trovandosi nei tormenti, alzò gli occhi e vide in lontananza Abramo insieme a Lazzaro. Ed allora Dives gridò ad alta voce: ‘Padre Abramo, abbi pietà di me e mandami Lazzaro che intinga la punta del suo dito nell’acqua per rinfrescare la mia lingua, perché sono in grande angustia a causa della mia punizione.’ Ed allora Abramo rispose: ‘Figlio mio, dovresti ricordare che durante la tua vita tu hai goduto delle buone cose mentre Lazzaro contemporaneamente soffriva il male. Ma ora tutto ciò è cambiato, poiché Lazzaro è confortato mentre tu sei tormentato. Inoltre, tra noi e te c’è un grande abisso, cosicché noi non possiamo venire da te, né tu puoi venire da noi.’ Allora Dives disse ad Abramo: ‘Ti prego di rimandare Lazzaro a casa di mio padre, poiché ho cinque fratelli, affinché egli possa testimoniare in modo da impedire ai miei fratelli di venire in questo luogo di tormento.’ Ma Abramo disse: ‘Figlio mio, essi hanno Mosè e i profeti; che li ascoltino.’ Ed allora Dives rispose: ‘No, no, Padre Abramo! Ma se qualcuno dei morti va da loro, essi si pentiranno.’ Ed allora Abramo disse: ‘Se non ascoltano Mosè e i profeti non saranno persuasi nemmeno se qualcuno fosse risuscitato dalla morte.’ ”
Dopo che Pietro ebbe raccontato questa vecchia parabola della confraternita nazirea, e poiché la folla si era calmata, Andrea si alzò e li congedò per la notte. Sebbene sia gli apostoli che i suoi discepoli avessero posto spesso delle domande a Gesù sulla parabola di Dives e di Lazzaro, egli non acconsentì mai a commentarla.
Gesù ebbe sempre difficoltà a tentare di spiegare agli apostoli che, quantunque essi proclamassero l’instaurazione del regno di Dio, il Padre che è nei cieli non era un re. All’epoca in cui Gesù viveva sulla terra ed insegnava nella carne, la popolazione sulla Terra conosceva soprattutto l’esistenza di re ed imperatori nei governi delle nazioni, e gli Ebrei avevano atteso a lungo la venuta del regno di Dio. Per queste ed altre ragioni il Maestro pensò fosse meglio designare la fraternità spirituale degli uomini come il regno dei cieli ed il capo spirituale di questa fraternità come il Padre che è nei Cieli. Gesù non fece mai riferimento a suo Padre come ad un re. Nelle sue conversazioni private con gli apostoli egli faceva sempre riferimento a se stesso come al Figlio dell’Uomo e come al loro fratello maggiore. Egli definì tutti i suoi seguaci come servitori dell’umanità e messaggeri del Vangelo del Regno.
Gesù non fece mai ai suoi apostoli una lezione sistematica sulla personalità e sugli attributi del Padre che è nei cieli. Non chiese mai agli uomini di credere in suo Padre; dava per scontato che lo facessero. Gesù non si abbassò mai a presentare degli argomenti di prova della realtà del Padre. Il suo insegnamento concernente il Padre era interamente incentrato sulla dichiarazione che egli e il Padre sono uno; che chiunque ha visto il Figlio ha visto il Padre; che il Padre, come il Figlio, conosce tutte le cose; che solo il Figlio conosce realmente il Padre, e coloro ai quali il Figlio lo rivelerà; che chiunque conosce il Figlio conosce anche il Padre; e che il Padre lo ha mandato nel mondo per rivelare le loro nature congiunte e per mostrare la loro opera congiunta. Egli non fece mai altre dichiarazioni su suo Padre, eccetto che alla donna di Samaria al pozzo di Giacobbe, quando dichiarò: “Dio è spirito.”
S’impara a conoscere Dio da Gesù osservando la divinità della sua vita, non basandosi sui suoi insegnamenti. Dalla vita del Maestro ciascuno di noi può assimilare quel concetto di Dio che rappresenta la misura della nostra capacità di percepire le realtà spirituali e divine, le verità reali ed eterne. Il finito non può mai sperare di comprendere l’Infinito, salvo quando l’Infinito è stato focalizzato nella personalità tempo-spazio dell’esperienza finita della vita umana di Gesù di Nazaret.
Gesù sapeva bene che Dio può essere conosciuto soltanto tramite le realtà dell’esperienza; che non può mai essere compreso mediante il semplice insegnamento della mente. Gesù insegnò ai suoi apostoli che, mentre essi non avrebbero mai potuto comprendere pienamente Dio, avrebbero potuto molto certamente conoscerlo, così come avevano conosciuto il Figlio dell’Uomo. Si può conoscere Dio non comprendendo ciò che Gesù ha detto, ma conoscendo ciò che Gesù era. Gesù era una rivelazione di Dio.
Salvo quando citava le Scritture ebraiche, Gesù si riferiva alla Deità soltanto con due nomi: Dio e Padre. E quando il Maestro faceva riferimento a suo Padre come Dio, impiegava di solito la parola ebrea che significava il Dio plurale (la Trinità) e non la parola Yahweh, che rappresentava la concezione progressiva del Dio tribale degli Ebrei.
Gesù non chiamò mai il Padre re, e si rammaricò moltissimo che gli Ebrei si aspettassero la restaurazione di un regno, e la proclamazione di Giovanni di un regno futuro lo obbligò a denominare la sua prefissa fraternità spirituale il regno dei cieli. Con una sola eccezione - la dichiarazione che “Dio è spirito” - Gesù non fece mai alcun riferimento alla Deità in altro modo che in termini che descrivevano la sua relazione personale con la Prima Sorgente e Centro del Paradiso.
Gesù impiegava la parola Dio per designare l’idea della Deità e la parola Padre per designare l’esperienza di conoscere Dio. Quando la parola Padre è impiegata per denotare Dio, dovrebbe essere compresa nel suo significato più ampio possibile. La parola Dio non può essere definita, e rappresenta dunque il concetto infinito del Padre, mentre il termine Padre, essendo suscettibile di definizione parziale, può essere impiegato per rappresentare il concetto umano del Padre divino qual è collaboratore all’uomo nel corso dell’esistenza mortale.
Per gli Ebrei, Elohim era il Dio degli dei, mentre Yahweh era il Dio d’Israele. Gesù accettò il concetto di Elohim e chiamò Dio questo gruppo di esseri supremi. In luogo del concetto di Yahweh, la deità di una razza, egli introdusse l’idea della paternità di Dio e della fratellanza mondiale degli uomini. Egli elevò il concetto di Yahweh di un Padre di una razza deificato all’idea di un Padre di tutti i figli degli uomini, un Padre divino del singolo credente. Ed inoltre insegnò che questo Dio degli universi e questo Padre di tutti gli uomini erano una sola e stessa Deità del Paradiso.
Gesù non pretese mai di essere la manifestazione di Elohim (Dio) nella carne. Non dichiarò mai di essere una rivelazione di Elohim (Dio) ai mondi. Non insegnò mai che chiunque aveva visto lui aveva visto Elohim (Dio). Ma proclamò che egli era la rivelazione del Padre nella carne, e disse che chiunque aveva visto lui aveva visto il Padre. In quanto Figlio divino egli pretese di rappresentare soltanto il Padre.
Egli era, in verità, il Figlio anche del Dio Elohim; ma nelle sembianze della carne mortale e per i figli mortali di Dio egli scelse di limitare la rivelazione della sua vita al ritratto del carattere di suo Padre, in modo che tale rivelazione potesse essere comprensibile all’uomo mortale. Per quanto concerne il carattere delle altre persone della Trinità del Paradiso, dovremo accontentarci dell’insegnamento che esse sono del tutto simili al Padre, che è stato rivelato nel ritratto personale nella vita del suo Figlio incarnato, Gesù di Nazaret.
Sebbene Gesù abbia rivelato la vera natura del Padre Celeste nella sua vita terrena, egli insegnò poco su di lui. Egli insegnò infatti soltanto due cose: che Dio è in se stesso spirito, e che, in tutte le questioni di relazione con le sue creature, egli è un Padre. Questa sera Gesù fece la dichiarazione finale della sua relazione con Dio quando dichiarò: “Io sono uscito dal Padre e sono venuto nel mondo; di nuovo, lascerò il mondo e andrò al Padre.”
Ma attenzione! Gesù non ha mai detto: “Chiunque ha udito me ha udito Dio.” Ma ha detto: “Colui che ha visto me ha visto il Padre.” Ascoltare l’insegnamento di Gesù non equivale a conoscere Dio, ma vedere Gesù è un’esperienza che è in se stessa una rivelazione del Padre all’anima. Il Dio degli universi regna sull’immensa creazione, ma è il Padre Celeste che manda il suo spirito a dimorare nella vostra mente.
Gesù è la lente spirituale in sembianze umane che rende visibile alla creatura materiale Colui che è invisibile. Egli è il vostro fratello maggiore che, nella carne, ci fa conoscere un Essere dagli attributi infiniti che nemmeno le schiere celesti possono pretendere di comprendere appieno. Ma tutto ciò deve consistere nell’esperienza personale del singolo credente. Dio, che è spirito, può essere conosciuto solo come un’esperienza spirituale. Dio può essere rivelato ai figli finiti dei mondi materiali dal Figlio divino dei regni spirituali solo come Padre. Voi potete conoscere l’Eterno come un Padre, ma potete adorarlo come il Dio degli universi, il Creatore infinito di tutte le esistenze.
SABATO pomeriggio, 11 marzo, Gesù predicò il suo ultimo discorso a Pella. Questo fu tra i discorsi più importanti del suo ministero pubblico, comprendente una discussione ampia e completa del regno dei cieli. Egli era consapevole della confusione che esisteva nella mente dei suoi apostoli e dei suoi discepoli riguardo al senso ed al significato dei termini “regno dei cieli” e “regno di Dio”, che impiegava come designazioni intercambiabili della sua missione di conferimento. Anche se il termine stesso di regno dei cieli avrebbe dovuto essere sufficiente a separare ciò che esso stava a significare da ogni connessione con i regni terrestri ed i governi temporali, non era così. L’idea di un re temporale era troppo profondamente radicata nella mente degli Ebrei per essere rimossa in una sola generazione. Perciò Gesù all’inizio non si oppose apertamente a questo concetto a lungo coltivato del regno.
Questo sabato pomeriggio il Maestro cercò di chiarire l’insegnamento sul regno dei cieli; egli discusse il tema sotto ogni punto di vista e si sforzò di rendere chiari i numerosi differenti sensi in cui il termine era stato impiegato. In questa esposizione amplieremo il discorso aggiungendo numerose dichiarazioni fatte da Gesù in occasioni precedenti ed includendovi alcune osservazioni fatte soltanto agli apostoli durante le discussioni serali di questo stesso giorno. Faremo anche alcuni commenti sullo sviluppo susseguente dell’idea del regno qual è collegata con la Chiesa cristiana successiva.
In connessione con il racconto del discorso di Gesù, si dovrebbe notare che nell’insieme delle Scritture ebraiche c’era un duplice concetto del regno dei cieli. I profeti presentarono il regno di Dio come:
1. Una realtà presente; e come
2. Una speranza futura - quando il regno fosse stato realizzato nella sua pienezza all’apparizione del Messia. Questo è il concetto del regno che insegnava Giovanni il Battista.
Fin dall’inizio Gesù e gli apostoli insegnarono entrambi questi concetti. C’erano altre due idee del regno che bisognerebbe tenere presenti:
3. Il concetto ebraico successivo di un regno mondiale e trascendentale d’origine soprannaturale e d’inaugurazione miracolosa.
4. Gli insegnamenti persiani che descrivevano l’instaurazione di un regno divino come raggiungimento del trionfo del bene sul male alla fine del mondo.
Poco prima della venuta di Gesù sulla terra, gli Ebrei combinavano e confondevano tutte queste idee del regno nel loro concetto apocalittico della venuta del Messia per stabilire l’era del trionfo del popolo ebraico, l’era eterna della sovranità suprema di Dio sulla terra, il nuovo mondo, l’era in cui tutta l’umanità avrebbe adorato Yahweh. Scegliendo di utilizzare questo concetto del regno dei cieli, Gesù decise di appropriarsi dell’eredità più essenziale ed importante di entrambe le religioni ebraica e persiana.
Il regno dei cieli, qual è stato compreso e mal compreso attraverso i secoli dell’era cristiana, abbraccia quattro gruppi distinti d’idee:
1. Il concetto degli Ebrei.
2. Il concetto dei Persiani.
3. Il concetto dell’esperienza personale di Gesù - “il regno dei cieli dentro di voi”.
4. I concetti compositi e confusi che i fondatori e promulgatori del Cristianesimo hanno cercato d’inculcare nel mondo.
In tempi differenti ed in circostanze diverse sembra che Gesù abbia presentato numerosi concetti del “regno” nei suoi insegnamenti pubblici, ma ai suoi apostoli egli insegnò sempre il regno come qualcosa che comprendesse l’esperienza personale di un uomo in relazione, da un lato, ai suoi simili sulla terra e dall’altro al Padre nei cieli. Riguardo al regno, le sue ultime parole erano sempre: “Il regno è dentro di voi”.
Secoli di confusione sul significato del termine “regno dei cieli” sono stati dovuti a tre fattori:
1. La confusione causata dall’osservare l’idea del “regno” qual è passata per le varie fasi progressive della sua riproposizione da parte di Gesù e dei suoi apostoli.
2. La confusione che accompagnò inevitabilmente il trapianto del Cristianesimo primitivo dal suolo ebraico a quello gentile.
3. La confusione inerente al fatto che il Cristianesimo divenne una religione che fu organizzata attorno all’idea centrale della persona di Gesù; il Vangelo del Regno divenne sempre più una religione su Gesù.
Il Maestro chiarì che il regno dei cieli deve cominciare col duplice concetto della verità della paternità di Dio e del fatto correlato della fratellanza degli uomini, e che deve essere incentrato in questo duplice concetto. L’accettazione di un tale insegnamento, dichiarò Gesù, avrebbe liberato l’uomo dalla schiavitù millenaria della paura animale ed allo stesso tempo avrebbe arricchito la vita umana con le doti della nuova vita di libertà spirituale:
1. Il possesso di un coraggio nuovo e di un potere spirituale accresciuto. Il Vangelo del Regno doveva liberare l’uomo ed ispirarlo ad osare di sperare nella vita eterna.
2. Il Vangelo portava un messaggio di nuova fiducia e di vera consolazione a tutti gli uomini, anche e soprattutto ai poveri.
3. Il Vangelo era in se stesso una nuova scala di valori morali, un nuovo criterio etico con cui misurare la condotta umana. Esso descriveva l’ideale di un conseguente ordine nuovo di società umana.
4. Esso insegnava la preminenza dello spirituale rispetto al materiale; glorificava le realtà spirituali ed esaltava gli ideali super-umani.
5. Questo nuovo Vangelo presentava la realizzazione spirituale come il vero scopo della vita. La vita umana riceveva una nuova dotazione di valore morale e di dignità divina.
6. Gesù insegnò che le realtà eterne erano il risultato (la ricompensa) dei retti sforzi terreni. Il soggiorno dei mortali sulla terra acquisiva nuovi significati conseguenti al riconoscimento di un nobile destino.
7. Il nuovo Vangelo affermava che la salvezza umana è la rivelazione di un proposito divino di vasta portata che doveva essere compiuto e realizzato nel destino futuro dell’amorevole servizio senza fine dei figli salvati di Dio.
Questi insegnamenti abbracciano l’idea ampliata del regno che fu insegnata da Gesù. Questo grande ed entusiasmante concetto non era incluso negli insegnamenti elementari e confusi sul regno di Giovanni il Battista.
Gli apostoli erano incapaci di cogliere il significato reale delle espressioni del Maestro concernenti il regno. La deformazione successiva degli insegnamenti di Gesù, quali sono registrati nel Nuovo Testamento, derivano dal fatto che il concetto degli scrittori dei vangeli era intriso della credenza che Gesù sarebbe stato assente dal mondo solo per un breve periodo; che sarebbe tornato presto per stabilire il regno in potenza e gloria - esattamente l’idea che essi avevano mentre egli era con loro nella carne. Ma Gesù non collegò l’instaurazione del regno all’idea del suo ritorno in questo mondo. Che i secoli siano trascorsi senza alcun segno dell’apparizione della “Nuova Era” non è in alcun modo in contrasto con l’insegnamento di Gesù.
Quando Gesù diceva che il regno era vicino, intendeva che nel momento in cui l’uomo avesse riconosciuto dopo la Pentecoste il frammento di Dio dentro la sua mente, l’accettasse, l’amasse e desiderasse di fare la sua volontà, in quel preciso istante sarebbe entrato di fatto nel Regno dei Cieli.
Il grande sforzo incorporato in questo discorso fu il tentativo di trasferire il concetto del regno dei cieli nell’ideale dell’idea di accettare di fare la volontà di Dio. Da lungo tempo il Maestro aveva insegnato ai suoi discepoli a pregare: “Venga il tuo regno, sia fatta la tua volontà”; ed in questo periodo egli cercò con fervore d’indurli ad abbandonare l’uso del termine regno di Dio in favore di un equivalente più pratico, la volontà di Dio. Ma non vi riuscì molto.
Gesù desiderava sostituire all’idea di regno, di re e di sudditi, il concetto della famiglia celeste, del Padre Celeste e dei figli di Dio liberati, impegnati nel servizio gioioso e volontario a favore dei loro simili e nell’adorazione sublime e intelligente di Dio il Padre.
Fino a questo momento gli apostoli avevano acquisito un duplice punto di vista del regno; essi lo consideravano come:
1. Una questione d’esperienza personale allora presente nel cuore dei veri credenti, e
2. Una questione di fenomeno di una singola razza o mondiale; che il regno era nel futuro, qualcosa da attendere con impazienza.
Essi consideravano la venuta del regno nel cuore degli uomini come uno sviluppo graduale, simile al lievito nella pasta o alla crescita del grano di senape. Credevano che la venuta del regno in senso razziale o mondiale sarebbe stata sia improvvisa che spettacolare. Gesù non si stancò mai di dire loro che il regno dei cieli era la loro esperienza personale di realizzare le qualità superiori della vita spirituale; che queste realtà dell’esperienza spirituale sono progressivamente trasferite a livelli nuovi e più elevati di certezza divina e di grandiosità eterna.
Questo pomeriggio il Maestro insegnò distintamente un nuovo concetto della duplice natura del regno, nel senso che ne descrisse le due fasi seguenti:
“Primo. Il regno di Dio in questo mondo, il desiderio supremo di fare la volontà di Dio, l’amore disinteressato degli uomini che dà i buoni frutti di una condotta etica e morale migliorata.
“Secondo. Il regno di Dio nei cieli, la meta dei credenti mortali, lo stato in cui l’amore per Dio si è perfezionato ed in cui la volontà di Dio è compiuta più divinamente.”
Gesù insegnò che, grazie alla fede, il credente entra ora nel regno. Nei vari discorsi egli insegnò che due cose sono essenziali per entrare nel regno attraverso la fede:
1. Fede, sincerità. Venire come un bambino, ricevere il conferimento della filiazione come un dono; sottomettersi alla volontà del Padre senza discutere e nella piena confidenza e sincera fiducia della saggezza del Padre; entrare nel regno liberi da pregiudizi e preconcetti; essere di mente aperta e ricettivi come un bambino non viziato.
2. Fame di verità. La sete di rettitudine, un cambiamento di mente, l’acquisizione del movente d’essere simili a Dio e di trovare Dio.
Gesù insegnò che il peccato non è il figlio di una natura imperfetta, ma piuttosto il frutto di una mente cosciente dominata da una volontà non sottomessa. Riguardo al peccato egli insegnò che Dio ha perdonato; che noi rendiamo tale perdono personalmente valido con l’atto di perdonare il nostro prossimo. Quando voi perdonate vostro fratello nella carne, create in tal modo nella vostra anima la capacità di ricevere la realtà del perdono di Dio per i vostri errori.
All’epoca in cui l’apostolo Giovanni cominciò a scrivere la storia della vita e degli insegnamenti di Gesù, i primi cristiani avevano avuto così tanti problemi con l’idea del regno di Dio come generatrice di persecuzioni che avevano largamente abbandonato l’uso del termine. Giovanni parla molto della “vita eterna”. Gesù ne parlò spesso come del “regno della vita”. Sovente egli faceva anche allusione al “regno di Dio dentro di voi”. Egli parlò una volta di una tale esperienza come di “comunione familiare con Dio il Padre”. Gesù cercò di sostituire molti termini alla parola regno, ma sempre senza successo. Tra gli altri egli usò: la famiglia di Dio, la volontà del Padre, gli amici di Dio, la comunità dei credenti, la fraternità degli uomini, l’ovile del Padre, i figli di Dio, la comunità dei fedeli, il servizio del Padre ed i figli liberati di Dio.
Ma egli non poté evitare l’uso dell’idea del regno. Fu più di cinquant’anni più tardi, dopo la distruzione di Gerusalemme da parte degli eserciti romani, che questo concetto del regno cominciò a cambiare nel concetto della vita eterna, mentre i suoi aspetti sociali ed istituzionali erano presi in carico dalla Chiesa cristiana in rapida estensione e cristallizzazione.
Gesù si sforzò sempre d’imprimere nei suoi apostoli e discepoli che dovevano acquisire, per mezzo della fede, una rettitudine che superasse quella delle opere servili che alcuni Scribi e Farisei mostravano con tanta vanagloria davanti al mondo.
Benché Gesù insegnasse che la fede, la semplice credenza infantile, è la chiave della porta del regno, insegnò anche che, dopo aver superato la porta, vi sono i gradini progressivi di rettitudine che ogni figlio credente deve salire per raggiungere la statura completa dei robusti figli di Dio.
È nella considerazione della tecnica per ricevere il perdono di Dio che è rivelato il raggiungimento della rettitudine del regno. La fede è il prezzo da pagare per entrare nella famiglia di Dio; ma il perdono è l’atto di Dio che accetta la vostra fede come prezzo d’ammissione. Ed il ricevimento del perdono di Dio da parte di un credente al regno implica un’esperienza precisa e reale e consiste nei quattro gradini seguenti, i gradini di rettitudine interiore del regno:
1. Il perdono di Dio è reso effettivamente disponibile ed è personalmente sperimentato dall’uomo nell’esatta misura in cui egli perdona i suoi simili.
2. Un uomo non perdona veramente i suoi simili se non li ama come se stesso.
3. Amare così il proprio prossimo come se stessi è l’etica più elevata.
4. La condotta morale, la vera rettitudine, diviene allora il risultato naturale di questo amore.
È quindi evidente che la religione vera ed interiore del regno tende infallibilmente e sempre di più a manifestarsi nelle vie pratiche del servizio sociale. Gesù insegnò una religione vivente che obbligava i suoi credenti ad impegnarsi in azioni di servizio amorevole. Ma Gesù non pose l’etica al posto della religione. Egli insegnò la religione come una causa e l’etica come un risultato.
La rettitudine di un atto deve essere misurata dal movente; le forme più elevate del bene sono perciò incoscienti. Gesù non s’interessò mai della morale e dell’etica in quanto tali. Egli si occupò totalmente della comunione interiore e spirituale con Dio il Padre, che si manifesta così certamente e direttamente come servizio esteriore ed amorevole verso gli uomini. Egli insegnò che la religione del regno è un’esperienza personale autentica che nessun uomo può contenere dentro se stesso; che la coscienza di essere un membro della famiglia di credenti porta inevitabilmente alla pratica dei precetti della condotta familiare, del servizio dei propri fratelli e sorelle nello sforzo di elevare ed espandere la fratellanza.
La religione del regno è personale, individuale; i frutti, i risultati, sono familiari, sociali. Gesù non mancò mai di esaltare la sacralità dell’individuo in confronto alla comunità. Ma egli riconosceva anche che l’uomo sviluppa il suo carattere mediante il servizio disinteressato; che mostra la sua natura morale nelle relazioni amorevoli con i suoi simili.
Ma insegnando che il regno è dentro di noi, esaltando l’individuo, Gesù diede il colpo di grazia al vecchio ordine sociale, nel senso che inaugurò la nuova dispensazione della vera rettitudine sociale. Il mondo ha poco conosciuto questo nuovo ordine sociale perché ha rifiutato di praticare i princìpi del Vangelo del Regno dei cieli. E quando questo regno di preminenza spirituale si stabilirà sulla terra, non si manifesterà nel semplice miglioramento delle condizioni sociali e materiali, ma piuttosto nelle glorie di quei valori spirituali superiori ed arricchiti che sono caratteristici dell’avvicinarsi dell’era delle relazioni umane migliorate e dei compimenti spirituali in progresso.
Gesù non diede mai una definizione precisa del regno. Talvolta egli parlò di una fase del regno e altre volte discusse un aspetto differente della fratellanza del regno di Dio nel cuore degli uomini. Nel corso del discorso di questo sabato pomeriggio Gesù indicò non meno di cinque fasi, od epoche, del regno, ed esse erano:
1. L’esperienza personale ed interiore della vita spirituale della comunione del singolo credente con Dio il Padre.
2. L’ampliamento della fraternità dei credenti del Vangelo, gli aspetti sociali della morale superiore e dell’etica vivificata risultanti dal regno dello spirito di Dio nel cuore dei singoli credenti.
3. La fraternità super-mortale degli esseri spirituali invisibili che prevale sulla terra ed in cielo, il regno super-umano di Dio.
4. La prospettiva del compimento più perfetto della volontà di Dio, il progresso verso l’aurora di un nuovo ordine sociale in connessione con una vita spirituale migliorata - l’era successiva dell’uomo.
5. Il regno nella sua pienezza, la futura era spirituale di luce e vita sulla terra.
Per questo noi dobbiamo sempre analizzare l’insegnamento del Maestro per accertare a quale di queste cinque fasi egli si riferisca quando fa uso del termine regno dei cieli. Con questo processo di cambiamento graduale della volontà dell’uomo e modificando in tal modo le decisioni umane, Gesù ed i suoi collaboratori cambiano similmente, con gradualità ma con certezza, l’intero corso dell’evoluzione umana.
In questa occasione il Maestro pose l’accento sui cinque punti seguenti che rappresentano le caratteristiche cardinali del Vangelo del Regno:
1. La preminenza dell’individuo.
2. La volontà come fattore determinante nell’esperienza umana.
3. La comunione spirituale con Dio il Padre.
4. Le soddisfazioni supreme del servizio amorevole dell’uomo.
5. La trascendenza dello spirituale sul materiale nella personalità umana.
Questo mondo non ha mai seriamente, sinceramente od onestamente messo alla prova queste idee dinamiche e questi ideali divini della dottrina di Gesù del regno dei cieli. Ma non dovremmo lasciarci scoraggiare dall’apparente lentezza del progresso dell’idea del regno sulla Terra. Bisogna ricordare che l’ordine di evoluzione progressiva è soggetto a cambiamenti periodici, improvvisi ed inattesi sia nel mondo materiale che in quello spirituale. Il conferimento di Gesù come Figlio incarnato fu proprio uno di questi eventi strani ed inattesi nella vita spirituale del mondo. Non bisogna nemmeno commettere l’errore fatale, cercando la manifestazione del regno nell’era contemporanea, di omettere di stabilirla nella vostra anima.
Anche se Gesù fece allusione ad una fase del regno nel futuro e dichiarò in numerose occasioni che un tale evento poteva apparire come parte di una crisi mondiale; e sebbene egli promise con tutta certezza, in parecchie occasioni, che un giorno sarebbe sicuramente tornato sulla Terra, si dovrebbe tenere presente che egli non ha mai collegato positivamente queste due idee. Egli promise una nuova rivelazione del regno sulla terra in un dato momento del futuro; promise anche che un giorno sarebbe tornato su questo mondo di persona; ma non disse che questi due avvenimenti sarebbero coincisi. Queste promesse possono, o non possono, riferirsi allo stesso avvenimento.
I suoi apostoli e discepoli collegarono molto certamente questi due insegnamenti. Quando il regno non si materializzò come loro avevano sperato, si ricordarono l’insegnamento del Maestro concernente un regno futuro, e rammentando la sua promessa di ritornare, conclusero subito che queste promesse si riferivano ad uno stesso evento. Essi quindi vissero nella speranza della sua seconda venuta immediata per instaurare il regno nella sua pienezza e con potenza e gloria. E così generazioni successive di credenti hanno vissuto sulla terra con la stessa ispirante ma deludente speranza.
Dopo aver riassunto questi insegnamenti di Gesù sul regno dei cieli, possiamo permetterci di ipotizzare l’evolversi di questo concetto nell’era futura.
Durante i primi secoli della crescita cristiana, l’idea del regno dei cieli fu enormemente influenzata dalle nozioni dell’idealismo greco allora in rapida diffusione, l’idea del naturale come ombra dello spirituale - del temporale come ombra nel tempo dell’eterno.
Ma il grande passo che segnò il trapianto degli insegnamenti di Gesù da un terreno ebraico ad un terreno gentile fu fatto quando il Messia del regno divenne il Redentore della Chiesa, un’organizzazione religiosa e sociale sorta dalle attività di Paolo e dei suoi successori e basata sugli insegnamenti di Gesù, ai quali furono aggiunte le idee di Filone e le dottrine persiane del bene e del male.
Le idee e gli ideali di Gesù, incorporati nell’insegnamento del Vangelo del Regno, quasi non si riconobbero più quando i suoi discepoli alterarono progressivamente le sue dichiarazioni. Il concetto del regno del Maestro fu notevolmente modificato da due grandi tendenze:
1. I credenti ebrei persistevano nel considerarlo come il Messia. Essi credevano che Gesù sarebbe effettivamente tornato molto presto per instaurare il regno mondiale e più o meno materiale.
2. I cristiani gentili cominciarono molto presto ad accettare le dottrine di Paolo, che portarono sempre più alla credenza generale che Gesù era il Redentore dei figli della Chiesa, il nuovo successore istituzionale del concetto iniziale della fratellanza puramente spirituale del regno.
La Chiesa, come conseguenza sociale del regno, sarebbe stata totalmente naturale ed anche desiderabile. Il male della Chiesa non fu la sua esistenza, ma piuttosto il fatto che soppiantò quasi completamente il concetto di Gesù del regno. La Chiesa istituzionalizzata di Paolo divenne un sostituto virtuale del regno dei cieli che Gesù aveva proclamato.
Ma questo stesso regno dei cieli che il Maestro ha insegnato esistere nel cuore dei credenti, sarà di nuovo proclamato a questa Chiesa cristiana, così come a tutte le altre religioni, razze e nazioni sulla Terra - ed anche ad ogni individuo.
Il regno insegnato da Gesù, l’ideale spirituale di rettitudine individuale ed il concetto di comunione divina dell’uomo con Dio, è gradualmente immersa nella concezione mistica della persona di Gesù come Redentore-Creatore e capo spirituale di una comunità religiosa socializzata. In questo modo una Chiesa ufficiale ed istituzionale diviene il sostituto della fratellanza individualmente spiritualizzata del regno.
La Chiesa fu un risultato sociale inevitabile ed utile della vita e degli insegnamenti di Gesù; la tragedia consisté nel fatto che questa reazione sociale agli insegnamenti del regno rimpiazzò così completamente il concetto spirituale del vero regno quale Gesù lo aveva insegnato e vissuto.
Il regno, per gli Ebrei, era la comunità israelita; per i Gentili esso divenne la Chiesa cristiana. Per Gesù il regno era l’insieme di quegli Individui che avevano confessato la loro fede nella paternità di Dio, proclamando così la loro consacrazione sincera a fare la volontà di Dio, divenendo in tal modo membri della fraternità spirituale degli uomini.
Il Maestro comprendeva pienamente che certi risultati sociali sarebbero apparsi nel mondo come conseguenza della diffusione del Vangelo del Regno; ma egli intendeva che tutte queste manifestazioni sociali desiderabili apparissero come risultanze inconsapevoli e inevitabili, o come frutti naturali, di questa esperienza personale interiore dei singoli credenti, di questa associazione e comunione puramente spirituale con lo spirito divino che dimora in tutti questi credenti e li attiva.
Gesù prevedeva che un’organizzazione sociale, o Chiesa, sarebbe seguita al progresso del vero regno spirituale, ed è per questo che egli non si oppose mai al fatto che gli apostoli praticassero il rito del battesimo di Giovanni. Egli insegnò che l’anima amante della verità, quella che ha fame e sete di rettitudine, di Dio, è ammessa per fede al regno spirituale; allo stesso tempo gli apostoli insegnarono che un tale credente è ammesso all’organizzazione sociale dei discepoli con il rito esteriore del battesimo.
Quando i discepoli immediati di Gesù riconobbero il loro fallimento parziale nel realizzare il suo ideale dell’instaurazione del regno nel cuore degli uomini mediante il governo e la guida dello spirito del singolo credente, cercarono di evitare che il suo insegnamento andasse interamente perduto, sostituendo all’ideale del regno del Maestro la creazione graduale di un’organizzazione sociale visibile, la Chiesa cristiana. E quando ebbero completato questo programma di sostituzione, al fine di mantenere la coerenza ed assicurare il riconoscimento dell’insegnamento del Maestro sul fatto del regno, essi procedettero a collocare il regno nel futuro. La Chiesa, appena fu bene stabilizzata, cominciò ad insegnare che il regno sarebbe apparso in realtà al culmine dell’era cristiana, alla seconda venuta di Cristo.
In questo modo il regno divenne il concetto di un’era, l’idea di una visitazione futura, e l’ideale della redenzione finale dei santi dell’Altissimo. I cristiani primitivi (e troppi di quelli successivi) persero generalmente di vista l’idea di Padre-e-figlio incorporata nell’insegnamento di Gesù sul regno, mentre vi sostituivano la comunità sociale bene organizzata della Chiesa. La Chiesa divenne così, nel complesso, una fraternità sociale che rimpiazzò effettivamente il concetto e l’ideale di Gesù di una fraternità spirituale.
Il concetto ideale di Gesù in larga misura fallì, ma sulle fondamenta della vita e degli insegnamenti personali del Maestro, integrati dai concetti greci e persiani della vita eterna ed accresciuti dalla dottrina di Filone del contrasto tra il temporale e lo spirituale, Paolo e i discepoli si misero a costruire una delle società umane più progressive che siano mai esistite sulla Terra.
Il concetto di Gesù è ancora vivo nelle religioni evolute del mondo. La Chiesa cristiana di Paolo e dei discepoli è l’ombra socializzata ed umanizzata di quello che Gesù intendeva divenisse il regno dei cieli - e tale diverrà ancora con tutta certezza. Paolo ed i suoi successori trasferirono parzialmente i problemi della vita eterna dall’individuo alla Chiesa. Cristo divenne così il capo della Chiesa piuttosto che il fratello maggiore di ogni singolo credente nella famiglia del Padre del regno. Paolo ed i suoi contemporanei applicarono tutte le implicazioni spirituali di Gesù concernenti se stesso ed il singolo credente alla Chiesa, in quanto gruppo di credenti; e facendo ciò, essi inflissero un colpo mortale al concetto di Gesù del regno divino nel cuore del singolo credente.
E così, per secoli, la Chiesa cristiana ha lavorato con grande difficoltà perché ha osato attribuirsi quei poteri e privilegi misteriosi del regno, poteri e privilegi che potevano essere esercitati e sperimentati solo tra Gesù ed i suoi fratelli spirituali credenti. Diviene così evidente che l’appartenenza alla Chiesa non significa necessariamente comunione nel regno; l’uno è spirituale, l’altra principalmente sociale.
Presto o tardi un altro e più grande Giovanni il Battista dovrà sorgere proclamando “il regno di Dio è a portata di mano” - intendendo un ritorno all’alto concetto spirituale di Gesù, il quale proclamò che il regno è la volontà di suo Padre Celeste, dominante e trascendente, nel cuore dei credenti - e facendo tutto ciò senza riferirsi in alcun modo né alla Chiesa visibile sulla terra né alla prevista seconda venuta di Cristo. Deve avvenire un risveglio degli insegnamenti effettivi di Gesù, una riesposizione tale da distruggere il lavoro dei suoi primi discepoli, che si occuparono di creare un sistema socio-filosofico di credenze concernenti il fatto temporale del soggiorno di Gesù sulla terra. In breve tempo l’insegnamento di questa storia “su” Gesù soppiantò quasi del tutto la predicazione del Vangelo “di” Gesù sul regno. In questo modo una religione storica rimpiazzò l’insegnamento in cui Gesù aveva fuso le idee morali e gli ideali spirituali più elevati degli uomini con le loro speranze più sublimi per il futuro - la vita eterna. E questo era il Vangelo del Regno.
È proprio perché il Vangelo di Gesù fu così poliedrico che nello spazio di pochi secoli gli studiosi degli scritti dei suoi insegnamenti si divisero in così tanti culti e sette. Questa penosa suddivisione dei credenti cristiani risulta dall’incapacità di discernere nei molteplici insegnamenti del Maestro l’unicità divina della sua incomparabile vita. Ma un giorno i veri credenti in Gesù non saranno così divisi spiritualmente nel loro atteggiamento verso i non credenti. Ci può sempre essere diversità di comprensione e d’interpretazione intellettuale, anche diversi gradi di socializzazione, ma la mancanza di fratellanza spirituale è imperdonabile e riprovevole.
Sicuramente negli insegnamenti di Gesù c’è una natura eterna che non permetterà loro di rimanere per sempre sterili nel cuore degli uomini riflessivi. Il regno che Gesù aveva concepito è in larga misura fallito sulla terra; per il momento, una Chiesa esteriore ha preso il suo posto; ma questa Chiesa è solo lo stato embrionale del contrastato regno spirituale, che porterà attraverso quest’era materiale fino ad una dispensazione più spirituale in cui gli insegnamenti del Maestro godranno di maggiori opportunità per svilupparsi. In tal modo la cosiddetta Chiesa cristiana diviene il bozzolo in cui dorme attualmente il concetto di Gesù del regno. Il regno della fraternità divina è ancora vivo ed alla fine uscirà certamente da questa lunga sommersione, altrettanto sicuramente quanto la farfalla emerge alla fine come la splendida evoluzione della sua meno attraente creatura da cui si è metamorficamente sviluppata.