Il Libro dell'Apocalisse


Pandemia, terremoti, grandinate, tornado, maremoti, cavallette, luna arrossata, incendi spaventosi... ne abbiamo viste (e ne stiamo vedendo) di tutte. E allora viene in mente l'Apocalisse, i suoi 4 Cavalieri, i sui 7 Sigilli, le sue 7 Coppe e i suoi segni premonitori di una non lontana e terribile fine del mondo. Visioni tristi, "apocalittiche" che incutono paura se non terrore. Ma non è così.  

La forma letteraria apocalittica è stata abbondantemente usata nel Vecchio Testamento (Ezechiele, Zaccaria e Daniele) per rafforzare la fede in Dio, specialmente in periodi molto difficili per le tribù di Israele; tanto difficili da creare sfiducia nell'amore e la potenza di Dio. Questa forma letteraria ebbe il duplice scopo di deciso ammonimento e di stimolo per rinnovarne la fiducia.

Giovanni, probabilmente l'Evangelista, ha la paternità di questo libro nato all’interno della sua comunità di Efeso, nella provincia romana d’Asia. Il colto ambiente efesino rappresenta dunque la cornice storica in cui si trova a vivere la Chiesa dell’Apocalisse, la quale, nella seconda metà del I secolo d.C., sperimenta molte situazioni di difficoltà, se non di conflitto verso l’esterno ma anche al suo stesso interno. Sono due i principali interlocutori con cui il gruppo cristiano entra in conflitto: l’autorità romana, forte della cultura ellenistica, e le comunità giudaiche che rifiutano Gesù come il Figlio di Dio. Fin dall’inizio del libro l’Apocalisse, emergono queste difficoltà, dovute anche all’assenza di Giovanni da Efeso a causa del suo confino nell’isola di Patmos a seguito di una condanna per motivi religiosi.  

Durante il regno dell’imperatore Domiziano (81-96) le scelte della politica romana, che mirano ad intensificare il culto dell’imperatore, provocano reazioni nell’ambiente cristiano: non si può parlare di vere persecuzioni, ma in molte parti dell’impero la vita della Chiesa si fa difficile e conosce contrasti e ingiuste discriminazioni. I cristiani si trovano confusi di fronte a questo nuovo aspetto della politica romana; sanno di dover compiere precise scelte di opposizione, ma sono anche consapevoli del rischio che ne consegue.

In quest’epoca, però, il pericolo più grave è rappresentato dal paganesimo intellettuale e dalla cultura ellenistica molto diffusa nella zona di Efeso, soprattutto con connotazioni religiose di esoterismo e magia. Molte di queste idee vengono conosciute dai cristiani dell’Apocalisse e non sempre sono in grado di valutarle nel loro giusto contesto e di respingerle in conseguenza; talvolta, troppo spesso, si deve assistere a pericolose deviazioni dottrinali e a compromessi vergognosi con la cultura dominante.

Inoltre la comunità cristiana si trova in grave difficoltà di rapporti anche con il mondo giudaico , che proprio in quegli anni si stava riorganizzando, tracciando una netta separazione con i fedeli a Gesù Cristo. I due gruppi, entrambi forti nella zona di Efeso, si contrappongono nella vita di tutti i giorni: i cristiani devono subire emarginazione e soprusi, ma, a loro volta, considerano la comunità giudaica come la «sinagoga di satana».

Anche all’interno della comunità cristiana esistono pericolose relazioni conflittuali. La questione fondamentale che emerge, soprattutto dalle lettere alle Chiese, è la presenza dell’errore all’interno delle comunità: si accenna talvolta ai Nicolaiti e in genere a persone che insegnano e compiono il male. Si diffonde quindi nelle chiese cristiane una diffusa mentalità di tipo giudeo-cristiano e gnostico-ellenistico, che produce l’iniziale eresia di considerare normale e ragionevole l’adattamento a tutti gli aspetti della vita pagana.

Giovanni combatte decisamente questo atteggiamento, rimprovera le comunità tiepide e arrendevoli, elogia quelle fedeli e decise; tutte le esorta alla costanza e alla coerenza. E’ facile dedurre da tale insistenza, la reale esistenza di una situazione religiosa alquanto instabile, con la presenza preoccupante di cristiani tiepidi e insicuri, paurosi e incoerenti, indecisi e inclini al compromesso.

A tutto questo si aggiunge una diffusa delusione del mancato arrivo imminente del Regno dei Cieli come proclamato da Gesù stesso (siamo circa 60 anni dopo la sua morte e resurrezione). Giovanni intravede allora la necessità di intervenire non più con lettere o prediche o bonari ammonimenti, ma di ricorrere invece alla forma letteraria apocalittica, strumento estremo per reindirizzare il gregge nella giusta direzione.

Quindi, lungi dall’essere una previsione di future disgrazie, l’Apocalisse riparte dall'Antico Testamento riutilizzando il suo simbolismo apocalittico, riaggiornandolo alla luce della Buona Novella di Gesù, nello sforzo di far tornare ad aderire il nuovo popolo di Dio al suo nuovo piano, secondo le varie fasi del suo continuo svolgimento.  

È l’unico libro della Sacra Scrittura in cui viene promessa una benedizione speciale a chi lo legge: «Beato chi legge e beati quelli che ascoltano le parole di questa profezia e fanno tesoro delle cose che vi sono scritte, perché il tempo è vicino!» (Apocalisse 1:3).

Ing. Emerito Maurizio Ammannato