Andamento ICT in Italia ed Impatti

 

 

Queste bervi note hanno lo scopo di analizzare il recente andamento del mercato mondiale ed Italiano dell’ ICT (Information and Communication Technology), di cercare di individuarne le motivazioni della recente caduta degli investimenti per essere in grado di capire ed interpretare il tipo di crescita che comincia nuovamente a prospettarsi.

 

 

Infatti sarebbe troppo semplice analizzare i trend percentuali in caduta libera di seguito riportati (Fig. 1), come una naturale de-enfasi sugli investimenti ICT dovuti allo sgonfiamento della bolla speculativa della net-economy.

 

 

Così come potrebbe essere pericoloso valutare i nuovi trend positivi, dopo la “curva della disillusione”,  come una crescita naturale ed organica , con la stessa tipologia, le stesse caratteristiche e gli stessi tassi di crescita degli investimenti del passato.

 

 

Dalla analisi di questa nuova crescita, queste brevi note si soffermeranno sul possibile nuovo modo di fare ed utilizzare l’informatica, sugli impatti organizzativi che necessariamente ne deriveranno ed il relativo impatto sulle professionalità. Cercare di prevedere questo cambiamento strutturale può essere utile per prevenire prima, che curare dopo.

 

 

 

Andamento degli incrementi/decrementi percentuali sugli investimenti ICT.

 

                                                       FIG  1                           

 

Da questa analisi (fig. 1) si evidenzia che il periodo più negativo sugli investimenti ICT è stato tra il 2000 e la fine del 2002. La ripresa è ricominciata quindo alla fine del 2002 e dal 2003 con tassi di crescita più sostenuti (fonte Assinform / NetConsulting).

 

 

                                                        FIG 2

In Italia invece (fig. 2) siamo ancora in zona di crescita negativa, tuttavia i valori sono meno negativi e quindi si può ipotizzare per il 2004 una prima crescita positiva per tutti i comparti dell’ IT.

 

 

 

 

Possibili motivi della discesa 2000-2003

 

I possibili motivi ovviamente sono molteplici, ci possono essere concause; tuttavia in questo tipo di analisi ho preferito andare con l’accetta ed individuare in maniera univoca almeno le cause principali che possono aver causato questa de-enfasi negli investimenti  informatici.

 

Analizziamo prima lo scenario aziendale come è cambiato, specialmente durante questo periodo.

 

La globalizzazione dei mercati degli ultimi anni ha praticamente costretto ogni azienda, piccola, media o grande che sia, a fare i conti non più sul proprio orticello e dintorni (clienti/fornitori/concorrenti) ma a dover considerare ormai il proprio mercato come un mercato globale, ad altissima competitività, con conseguente esigenza di crescita in produttività aziendale ad almeno due digit ogni anno. E questo solo per rimanere nel mercato.

 

Le aziende si sono riorganizzate più volte, da funzionali ad organizzazioni per processo, poi di nuovo funzionali, poi a matrice. I Centri di Costo sono diventati Centri di Profitto. L’Azienda si è decentrata, delocata, esterizzata. Alcune funzioni all’interno dell’ Azienda sono diventate virtuali,  esternalizzate; tutto con il fondamentale obiettivo di cercare di mantenere la qualità dei servizi o prodotti offerti, al minor costo possibile; ovvero con la più alta produttività possibile.

 

Eccetto i Sistemi Informativi.

 

In tutta questa attività di ricerca della produttività perduta, i Sistemi Informativi hanno fatto eccezione. I responsabili della Tecnologia hanno potuto richiedere ed ottenere tutto ciò di cui avevano bisogno,  protetti da un paravento di imprescindibili esigenze tecnologiche, poco comprensibili ai più ed assolutamente indecifrabili per il management delle aziende.

 

La richiesta di continui investimenti tecnologici è potuta continuare nel tempo, nella remota ed inconfessata speranza del Management che i problemi aziendali potessero essere risolti con qualche MIPS (Million Instructions Per Second) in più.

 

La desolante conferma di questo sperpero di risorse aziendali viene dalle solite statistiche che dicono (Meta Group) che il tasso di utilizzo dei calcolatori aziendali in giro per il mondo non supera in media il 6% dell’effettivo potenziale e che la media di utilizzo della banda IP non supera il 10%, sempre come media mondiale.

 

Ovvero una azienda paga 100 per un calcolatore e ne utilizza il 6%.

 

La società McKinsey ha calcolato il ROI (Return On Investment) dei maggiori progetti informatici negli ultimi venti anni e ne ha ricavato un -80% (meno 80%) come rapporto tra investimenti e benefici di business ricevuti. Il che dimostra che negli anni passati gli investimenti in Information Technology erano più dettati da esigenze tecnologiche (miglioramenti delle prestazioni, aggiornamenti dettati dalla nuova tecnologia, etc.) piuttosto che investimenti dettati da esigenze di business.

 

 

 

De-enfasi sugli investimenti in IT?

Questa cruda analisi su come nel passato gli investimenti in IT non siano stati sempre dettati da esigenze di business, può portare a credere che le aziende abbiano cominciato a ritenere gli investimenti in tecnologia non più così importanti come una volta. Che magari pensino di fare a meno della tecnologia reinvestendo in altre risorse aziendali.

 

Ma ovviamente la strada da percorrere non è questa.

 

 

 

                                                           FIG N.3

 

 

Senza commentare la figura N.3, è piuttosto facile dimostrare come non sia possibile essere una nazione (ovvero una azienda) competitiva, senza essere una nazione (ovvero azienda) che investe molto in innovazione, di cui la tecnologia  ne è l’infrastruttura portante. (Dalla tabella precedente si nota come la Svezia abbia i più alti indicatori sull’uso dell’ Information Technologi e che la stessa Svezia abbia il più alto indice potenziale di competitività).

 

 

So what? E’ una semplice espressione inglese per sintetizzare una situazione complessa che sembra senza soluzione. Da una parte le aziende che danno l’impressione di non voler più investire in IT e dall’altra parte la conferma che senza investimenti in tecnologia, l’azienda non rimane competitiva.

 

 

L’interpretazione più giusta è che le aziende non vogliono più investire in IT come hanno fatto nel passato. Con ritorni di investimento lunghi nel tempo, poco quantificabili, con progetti che spesso evidenziavano i costi nascosti un poco per volta etc.

 

E’ stato il ROI negativo degli investimenti in IT che ha determinato lo sboom degli investimenti e non la bolla speculativa della Net-Economy. Erano i fondamentali dell’ investimento IT a non essere corretti, non l’investimento IT per se stesso.

 

  

La quadratura del cerchio.

Analizziamo un altro fenomeno.

Uno studio IDC sulle maggiori 200 aziende in Italia dice che nei prossimi anni, almeno cinque, la direzione IT riceverà un budget di spesa decurtato almeno del 10% all’anno. Ad oggi il budget di spesa IT brucia il 95% delle risorse nella gestione dell’ esistente (manutenzione correttiva ed evolutiva delle applicazioni, nuove release dei sistemi operativi, manutenzione dell’ hardware, etc.) lasciando il solo 5% del budget totale alle nuove iniziative, alle nuove soluzioni informatiche.

 

Una azienda oggi, in un mercato a dinamica globale, non può non dedicare almeno tra il 15% ed il 25% del budget annuale IT per le nuove iniziative. Altrimenti non sopravvive. E questo in una situazione di valore globale del budget IT  già decurtato mediamente del 10% ogni anno.

 

 

 

Cominciamo a tirare alcune logiche conseguenze a breve termine

 

- Le aziende devono continuare ad investire in IT se vogliono sopravvivere e rimanere in un contesto innovativo in continua evoluzione.

 

- Le aziende devono investire in IT in MANIERA diversa da prima, ovvero con investimenti IT orientati al business, in modo che anche questi siano soggetto al ROI e quindi economicamente valutabili in ambito aziendale come qualunque altro progetto di investimento di business.

 

- Gli IT manager dovranno ridurre la percentuale del budget IT per la gestione dell’esistente cominciando a valutare progetti di outsourcing, cioè esternalizzare infrastrutture ed applicazioni informatiche ottenendo risparmi tra il 10% ed il 15%, risparmi da reinvestire nelle nuove iniziative di business come dettato dalla propria direzione.  Negli Stati Uniti la percentuale dei servizi IT presso ESP (External Services Provider) è del 40% rispetto al 60% dei servizi IT in-house. In Italia è ancora all’ 80% in-house e 20% con gli ESP.

 

- Gli IT manager dovranno valutare le nuove iniziative richieste dal management, considerando nuove soluzioni informatiche oggi disponibili sul mercato, come le applicazioni on-demand  il cui prezzo è a canone e comunque proporzionale all’utilizzo. Soluzioni che non appesantiscono di nuovo i propri sistemi informativi con ulteriori computer da installare, nuovi skill da reperire sul mercato e nuovo personale necessario per la gestione delle nuove applicazioni.

 

  

 

Scenario a medio termine e professionalità.

 

Da quanto sommariamente accennato ne deriva che l’informatica è destinata a seguire la strada delle Utility (gas, luce, telefono, etc.) ovvero a diventare una energia informatica prodotta da centri specializzati, distribuita attraverso le rete telematiche, utilizzata dalle aziende e famiglie attraverso allacciameti alla rete telematica e pagata a canoni in funzione dell’ utilizzo.

 

In questo scenario prossimo venturo alcune professionalità rimarranno; ma migreranno nel tempo dalle singole aziende per concentrarsi nelle “Fabbriche di Informatica”. Programmatori, sistemisti, capi progetto, etc. si ritroveranno a sviluppare e mantenere applicazioni informatiche esattamente come prima, ma in una logica di uno-a-molti rispetto alla precedente logica di uno-a-uno. Ovvero le applicazioni sviluppate saranno disponibili a più clienti contemporaneamente su piattaforme informatiche condivise, abbattendo ovviamente i costi sia di produzione che di mantenimento a causa della maggiore massa critica di utilizzatori.

 

Nelle aziende si svilupperanno nuove professionalità come il responsabile dei contratti informatici di outsourcing (in una prima fase transitoria) e di sourcing successivamente. Con OUT-SOURCING si intende la esternalizzazione delle infrastrutture ed applicazioni già esistenti in aziende, mentre per SOURCING si intende l’immediato approvvigionamento delle nuove applicazioni in modalità on-demand.

 

Il responsabile IT, diventerà CIO (Chief Information Officer) ovvero una responsabilità da Management Team, con capacità consulenziale a 360 gradi sull’ Information Technology in grado di suggerire e successivamente di implementare l’ innovazione coordinando risorse interne cross-funzionali e risorse esterne dei produttori di soluzioni on-demand.

 

L’ Azienda diverrà effettivamente una azienda estesa, delocata e virtuale con terziarizzazione parziale o totale di molte funzioni aziendali, dalla produzione alla vendita, alle funzioni di staff,  avendo al contempo come potente alleata la tecnologia che le permetterà di mantenere unita e sincronizzata ogni componente ed attività, decentralizzando le attività ma centralizzando il controllo e la decisione.

 

 

 

 

Conclusioni.

Ho cercato in poche righe di sintetizzare quello che a mio avviso è lo scenario dello sviluppo dell’ Information Technology e della sua mutazione (cambiamento di pelle) nei prossimi anni. I tempi e le modalità saranno dettati da fattori molteplici che possono ritardare o al contrario anticipare tale sviluppo.

 

Non è uno sviluppo dell’ IT né bello né brutto, è logico. E’ dettato dalla logica dell’attuale modello business che richiede tempi sempre più brevi per le decisioni (e le relative implementazioni) e strutture organizzative sempre più flessibili e dinamiche.

 

 

L’obiettivo finale di queste righe è duplice.

 

Da una parte suggerire alle aziende, piccole o grandi che siano, di valutare attentamente questi segnali. Farli propri, prepararsi per le nuove sfide, innovare, vedere nel cambiamento un vantaggio competitivo piuttosto che un fastidioso impedimento alla crescita. Captare i segnali deboli dei cambiamenti, quando ancora non sono alla portata di tutti, qui è la capacità imprenditoriale dell’ innovatore.

 

Dall’altra parte considerare che ogni mutazione comporta cambiamenti organizzativi con risvolti più o meno pesanti sulle persone e le loro professionalità. Ma altresì rassicurare che c’ è tutto il tempo per permettere a chiunque, entità e persone, di prepararsi con calma, in maniera programmatica, a questi cambiamenti strutturali, in un settore così delicato e strategico come quello informatico, senza arrivare all’ultimo momento, colti da violente crisi respiratorie e scaricando presunte colpe e sacrifici sugli anelli più deboli della catena del lavoro.

 

 

 

 

Maurizio Ammannato